19 Agosto 2025
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Un progetto interessante a salvaguardia della democrazia

Giornalismo a scuola per combattere le fake news: il modello Finlandia

E’ essenziale promuovere un’alfabetizzazione intergenerazionale. Se le nuove generazioni devono essere guidate nel distinguere tra contenuto e contenitore, tra informazione e manipolazione, anche gli adulti e gli anziani, spesso esposti alla disinformazione tramite smartphone, social e app di messaggistica, vanno coinvolti. È necessario insegnare a tutti come si verifica una notizia, come si riconosce una fonte attendibile, come funziona un algoritmo

Crowd of people at the street

Francesco Pira

Nel cuore della Scandinavia si sperimenta una soluzione culturale alla manipolazione dell’informazione: si chiama educazione ai media ed è parte integrante del sistema scolastico finlandese.

In un’epoca in cui la fiducia nelle istituzioni informative si sgretola sotto i colpi della disinformazione, la Finlandia si distingue per un modello virtuoso che mette al centro l’alfabetizzazione mediatica e il pensiero critico.

Un esempio che, come sociologo della comunicazione, sento il dovere di analizzare, soprattutto per comprendere le implicazioni sociali di questo approccio e il suo valore strategico per le democrazie contemporanee.

Perché in Finlandia c’è più fiducia nei media

Queste riflessioni nascono da un articolo pubblicato su L’Espresso dal titolo “In Finlandia si studia come difendersi dalle fake news. E la fiducia nei media è la più alta al mondo, che documenta come, nel Paese nordico, la media education sia una priorità nazionale, insegnata sin dalle scuole elementari e radicata in un sistema coordinato che coinvolge istituzioni, media pubblici, scuole e famiglie.

Nella scuola Hiidenkiven di Helsinki due studenti di 13 anni parlano di fake news con la loro insegnante. ‘Non ci caschiamo. Sappiamo distinguere le notizie vere da quelle false’. […] La professoressa Laura Kahlos è una dei 25 mila insegnanti finlandesi registrati a Triplet, il portale della tv pubblica Yle che ogni giorno produce notizie da commentare in classe”.

Questo approccio trasversale alla media education non è frutto del caso. In Finlandia si parla di educazione ai media dagli anni ’70, e da oltre vent’anni esiste una strategia educativa interdisciplinare che accompagna i cittadini dalla scuola all’età adulta. Il risultato? La Finlandia è al primo posto nel Media Literacy Index 2022 e al vertice mondiale per fiducia nel giornalismo, con il 69% della popolazione che dichiara di fidarsi delle notizie, contro il 35% degli italiani.

Una strada diversa contro le fake news

Il modello finlandese dimostra che contrastare la disinformazione non è solo una questione di debunking, ma di formazione continua e consapevolezza collettiva.

È tra i primi cinque Paesi al mondo per la libertà di stampa e il più resistente all’impatto negativo delle fake news”, spiega l’Open Society Institute Sofia.

Gli studenti imparano il processo di nascita delle news, la differenza tra disinformazione (false informazioni diffuse in modo doloso) e misinformazione (false informazioni diffuse senza sapere che siano tali), le strategie pubblicitarie e propagandistiche, la manipolazione di statistiche, immagini e profili social”.

La presenza di un servizio di fact-checking come Faktabaari, attivo dal 2014 e riconosciuto a livello internazionale, ha consolidato ulteriormente questo ecosistema informativo sano e partecipato, coinvolgendo anche giornalisti italiani tramite progetti Erasmus.

Il paragone con l’Italia

In Italia, invece, il panorama è tutt’altro che coordinato. Non esiste un sistema nazionale per la media education”, afferma Luciano Di Mele, segretario nazionale di Med-Associazione Italiana Media Education. “A livello ministeriale manca la figura del media educator”. Nonostante alcune iniziative come l’animatore digitale o i contenuti di Rai Kids, il nostro Paese resta indietro: 23° nel Media Literacy Index e 58° nel World Press Freedom Index.

Nelle mie ricerche ho evidenziato come le fake news non siano più un fenomeno episodico, ma un elemento strutturale del nuovo ecosistema informativo. Attraverso la collaborazione con Andrea Altinier ho sviluppato l’Esagono delle fake news, un modello che descrive sei caratteristiche fondamentali: appeal, viralità, velocità, crossmedialità, flusso e forza. Ogni notizia falsa è costruita per attrarre, diffondersi rapidamente, attraversare diversi media e imprimersi nella memoria collettiva.

Le dinamiche delle piattaforme digitali

Le dinamiche delle piattaforme digitali amplificano questo fenomeno, creando ecosistemi chiusi – le echo chamber – dove regna il pregiudizio di conferma: la tendenza a cercare informazioni che rafforzano le nostre convinzioni preesistenti.

E essenziale promuovere un’alfabetizzazione intergenerazionale. Se le nuove generazioni devono essere guidate nel distinguere tra contenuto e contenitore, tra informazione e manipolazione, anche gli adulti e gli anziani, spesso esposti alla disinformazione tramite smartphone, social e app di messaggistica, vanno coinvolti. È necessario insegnare a tutti come si verifica una notizia, come si riconosce una fonte attendibile, come funziona un algoritmo– dove regna il pregiudizio di conferma: la tendenza a cercare informazioni che rafforzano le nostre convinzioni preesistenti. In questi spazi, il pensiero critico viene anestetizzato, sostituito da emozioni primarie che favoriscono la polarizzazione.

L’influsso sui processi democratici

Questa realtà non è neutra: ha implicazioni politiche e sociali gravi. La disinformazione mina i processi democratici, compromette la fiducia nelle istituzioni e può portare all’ascesa di modelli autoritari.

Nell’era del capitalismo dei like il consenso si ottiene anche a costo di distorcere la realtà. Contro questa deriva, la risposta è culturale e strutturale insieme. L’unica difesa realmente efficace è un investimento serio, sistemico e permanente nell’educazione alla cittadinanza digitale, che coinvolga non solo bambini e ragazzi, ma anche genitori, adulti e anziani. È su questo punto che, da anni, si concentra il mio lavoro di analisi, ricerca e progettazione nell’ambito della buona educomunicazione.

L’obiettivo non è solo contrastare le fake news, ma costruire una nuova coscienza mediatica, capace di unire intelligenza emotiva e responsabilità sociale. Serve un nuovo approccio pedagogico che non si limiti a “insegnare la tecnologia”, ma che renda le persone capaci di abitare consapevolmente l’ambiente digitale.

Tre pilastri per il futuro

La buona educomunicazione è un processo che si fonda su tre pilastri: alfabetizzazione mediatica di base, per fornire strumenti di comprensione del linguaggio giornalistico, delle fonti e dei meccanismi informativi; formazione emotiva, per sviluppare autocontrollo, empatia e senso critico nella ricezione delle informazioni; costruzione di comunità educanti, dove scuola, famiglie, media e istituzioni collaborano in modo coordinato.

In questa battaglia, il fact-checking e la verifica delle fonti tornano ad assumere un ruolo centrale, recuperando la deontologia che ha guidato per decenni il giornalismo di qualità.

Ma questo non basta: serve una rete di sostegno in cui le testate giornalistiche possano ricostruire fiducia, sviluppando reti di lettori basate sulla qualità dell’informazione, sull’uso di formati innovativi e su una comunicazione trasparente e responsabile. In questo senso, l’approccio suggerito da Wolfgang Blau, già direttore delle strategie digitali di The Guardian, rimane attualissimo: non si tratta solo di “fare notizia”, ma di costruire significato.

Ma, soprattutto, è essenziale promuovere un’alfabetizzazione intergenerazionale. Se le nuove generazioni devono essere guidate nel distinguere tra contenuto e contenitore, tra informazione e manipolazione, anche gli adulti e gli anziani, spesso esposti alla disinformazione tramite smartphone, social e app di messaggistica, vanno coinvolti. È necessario insegnare a tutti come si verifica una notizia, come si riconosce una fonte attendibile, come funziona un algoritmo.

Da tempo propongo l’idea di “Scuole per Genitori”, luoghi di formazione partecipata dove le famiglie possano apprendere gli strumenti necessari per educare i figli a un uso consapevole e scrupoloso delle tecnologie. In un mondo iperconnesso, l’educazione digitale non è un compito delegabile: è una responsabilità collettiva.

La necessità di una nuova educomunicazione

L’unica “legge” che funziona davvero contro la disinformazione è quella della consapevolezza e della gestione emotiva. Dobbiamo promuovere la formazione continua, la capacità di analisi, ma anche valori come la solidarietà e il buon senso civico, che sono le basi di ogni democrazia sana.

Un’educomunicazione efficace, infatti, non mira solo a smascherare le bufale, ma a rafforzare la resilienza democratica, la capacità delle persone di resistere alla manipolazione attraverso il discernimento e il coinvolgimento consapevole.

Viviamo in una platform society, dove i media non sono più semplici strumenti, ma agenti di costruzione del reale. Le relazioni si formano e si consolidano intorno ai contenuti, spesso senza percezione del contesto e delle intenzioni che li generano. La datificazione della nostra esperienza – come ha mostrato la sociologa Shoshana Zuboff – ci espone a una continua sorveglianza e manipolazione. La verità viene piegata agli algoritmi.

Per questo, la disinformazione non è un errore del sistema, ma una sua deriva strutturale. È una strategia che sfrutta fragilità cognitive ed emotive, indebolendo la coesione sociale e minando le basi del ragionamento analitico.

Come ci ricorda il filosofo Byung-Chul Han, nell’epoca della trasparenza e dell’iperconnettività, tutto si mescola. Occorre allora ristabilire confini cognitivi, promuovere l’autonomia del pensiero e creare spazi educativi dove la riflessione prevalga sulla reazione.

La Finlandia ci mostra che è possibile. Ma serve una visione chiara, coraggiosa, integrata. Non possiamo limitarci a rincorrere le fake news: dobbiamo prevenire, formare, educare. In gioco non c’è solo l’informazione. C’è la qualità della nostra convivenza democratica