Al via il 14 novembre l’edizione 2025 della Scuola di alta formazione dell’Ucsi “Giancarlo Zizola”. Una tradizione che ogni anno raduna ad Assisi, presso la Cittadella Pro Civitate Christiana, i giovani giornalisti dell’Ucsi e che quest’anno è dedicata ai comunicatori uccisi per guerre e regimi politici totalitari. Sì, ogni anno sono numerosi i giornalisti vittime del potere politico e dei conflitti più cruenti: il bilancio di questi ultimi due anni a Gaza, ad esempio, è di circa 300 vite perdute. In sintonia con il Giubileo della Speranza che la Chiesa sta vivendo, dunque il tema di quest’anno è “Giornalisti di speranza”.
L’apertura dei lavori e le prime testimonianze
L’apertura dei lavori c’è stata nella bellissima sala della conciliazione del Comune di Assisi.
All’inizio, collegata da remoto, Lucia Goracci, giornalista “di guerra”, esperta di conflitti e territori legati alla cultura araba ha parlato della sua esperienza. Il racconto, per essere qualificato – ha sottolineato – deve affondare le radici su un substrato culturale ad esso coerente e non può prescindere dal dialogo diretto con la realtà da riportare: ecco, ad esempio, per la Goracci la necessità di conoscere la lingua araba. Eppure, le fonti mai stream che oggi più parlano al mondo di guerra sono i salotti televisivi che spesso mancano di chi ne ha fatto esperienza. L’esperienza più bella che Goracci testimonia: il viaggio in Iraq al seguito di Papa Francesco nel marzo del 2021. Il primo di un Pontefice nella storia in qualità di “pellegrino di pace” per chiedere perdono, implorare riconciliazione dopo anni di guerra e terrorismo, e promuovere la fraternità tra le diverse religioni.
Parla ancora di papa Francesco, “genio della comunicazione non studiata”, il secondo intervento, quello di Alessandro Gisotti, vicedirettore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e già direttore ad interim della Sala stampa della Santa Sede. Oltre ai modi di dire proverbiali con cui ha raggiunto tutti, interessante per Papa Francesco la profonda preoccupazione che rivolgeva a suoi comunicatori: “Quanto riusciamo a portare la nostra comunicazione nel mondo?”. Se Francesco ha definito la speranza “un impegno”, facendo suo il concetto di Madeleine Delbrêl, essere giornalisti di speranza per lui significava raccontare al mondo le storie che altri non vogliono raccontare. Leone, invece, parla del linguaggio che, raccomanda, non ferisca l’altro.
‘Giornalisti di speranza’ ad Assisi
Dal numero esorbitante di informazioni, la cosiddetta “iperinformazione” – in un solo minuto di vita della rete ci sono 251 milioni di mail spedite, 139 milioni di video postati e 19 milioni di messaggi – ha preso le mosse l’intervento di Maurizio Amoroso, vicedirettore di Tgcom24. L’uomo di oggi è stanco per essere raggiunto da tanti messaggi, in molti dei quali riconosce delle fake news: nel 2024, il 59 per cento dei cittadini ha considerato di fruire di contenuti falsi e distorti. In tutto questo marasma è “eroe” chi cerca l’informazione vera, ha puntualizzato Amoroso.
“È il giornalismo di verità la via per costruire un giornalismo di fiducia e, anche, di speranza. E non si può condividere senza aver prima ascoltato”, è il punto di vista di Amoroso. Giornalista di speranza è, per Amoroso, Toni Capuozzo, inviato di guerra da Mediaset in Bosnia, dove ha incontrato Kemal, un neonato che ha perso la madre e una gamba durante l’assedio di Sarajevo: con il consenso del padre l’ha portato in Italia per offrirgli cure e protesi. Nel 2017, Capuozzo ha lanciato un appello per Kemal, che aveva sviluppato un tumore. Capuozzo ha lanciato un appello, anche tramite una lettera all’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, per permettere a Kemal di tornare in Italia per le cure necessarie. Giornalista di speranza è Marina Ricci che, inviata nel 1996 in India per seguire Madre Teresa ammalata, si sente interpellata dalla proposta di una suora che le suggerisce di portare in Italia un bambino dell’orfanotrofio. La Ricci, d’accordo con il marito, aggiungerà un altro bambino ai suoi tre figli naturali. E tanti altri…
Infine, il collegamento con Girolamo Fazzini, curatore della mostra “Comunicare la speranza”, impresa difficile ma non impossibile.
“Buone notizie” – e “giornalismo costruttivo” – il refrain di questo pomeriggio che ha parlato di giornalisti di speranza. Ma è emersa anche più volte l’opportunità di valutare i limiti dell’intelligenza artificiale, che è pure uno strumento necessario a cui tutti hanno ammesso di far ricorso, e inoltre di “consumare le suole” per essere testimoni oculari, un’esigenza purtroppo in conflitto con l’obiettivo di arrivare primi a sfornare una notizia, ma inderogabile in una comunicazione di qualità.
Eccoci carichi per gli altri giorni della scuola! Per qualificare sempre più la missione di comunicatori. Per dare speranza a un mondo che rischia di dimenticare questa virtù.


