20 Gennaio 2024
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A proposito di cittadini e informazione: lo strano caso della Certosa di Trisulti

La vicenda della Certosa di Trisulti è una di quelle su cui ragionare e fare memoria, perché hanno qualcosa di importante da insegnare, sulla società e sull’informazione.

Paola Springhetti

La gestione dell’antichissima Certosa (fu costruita a Collepardo, in provincia di Frosinone, attorno al 1200), è stata messa a bando dal Ministero per i Beni Culturali (MIBACT) nel 2016. Vinse il bando la Fondazione Dignitatis Humanae Institute, presieduta da Benjamin Harnwell ma riconducibile all’ideologo sovranista Steve Bannon. L‘obiettivo era farla diventare la sede di una scuola internazionale di formazione politica per i quadri sovranisti, obiettivo che però si collocava dentro un progetto più ampio, e cioè quello di estendere l’ideologia sovranista in Vaticano (Bannon coltivava rapporti con cardinali e personaggi conservatori, che si opponevano a Papa Francesco) e nell’Unione Europea.

E a questo punto del racconto si pongono due temi, altrettanto interessanti e che si intrecciano tra loro. Uno riguarda i cittadini del territorio, l’altro il ruolo dell’informazione. Entrambi sono stati discussi, il 18 gennaio, durante l’evento su “La Certosa di Trisulti, il caso Bannon. Mobilitazione popolare e mobilitazione dei media nazionali e internazionali”, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale della Pontificia Università Salesiana e patrocinato da FERPI e UCSI.

LA MOBILITAZIONE DEI CITTADINI

I cittadini si sono ribellati. Come ha ricordato Daniela Bianchi, segretaria generale della FERPI ed ex consigliera regionale del Lazio, «si sono sentiti espropriati». L’obiettivo del bando doveva essere la valorizzazione di un bene comune, che invece veniva affidato ad una fondazione straniera che avrebbe svolto attività senza alcun rapporto con il territorio. Per questo sono cominciate le prime mobilitazioni, è nata la Rete Trisulti Bene Comune e nel dicembre 2018 c’è stato il primo corteo. Ma, ha sottolineato Daniela Bianchi, «non si è trattato di una semplice protesta, ma di una protesta/proposta», che ha visto la popolazione mobilitarsi accanto alle istituzioni «per ripristinare un interesse legittimo».

«Una mobilitazione civile per il rispetto della legalità», l’ha definita Federico Anghelè, direttore di The Good Lobby italiana. Un positivo caso di caso di lobbysmo civico. In tempi di disintermediazione, in cui «i partiti non sono più in grado di rappresentare gli interessi del territorio», si cercano nuove forme di interlocuzione tra cittadini e istituzioni, come appunto la lobby civica che, come in questo caso, è caratterizzata dalla ricerca di interlocutori politici; dalla capacità di mobilitazione on line e off line; dal coinvolgimento dei media, locali e nazionale; dall’individuazione del contenzioso strategico (si ricorre alle call se politica e istituzioni non agiscono).

IL RUOLO DELL’INFORMAZIONE

L’impegno dell’informazione su questa notizia è partito lentamente. Come ha ricordato la giornalista Paola Rolletta, c’è stato solo un articolo di Repubblica nel 2017 e poi interventi sulla stampa e sui siti locali. Poi nel 2018, dopo le mobilitazioni popolari, è uscito un lungo articolo del “Washington Post”, a cui sono seguiti il “New York Time” e altre testate internazionali. È stata dunque la stampa internazionale a lanciare il tema, mentre «i giornali nazionali italiani sono andati a rimorchio della stampa estera». E non è un punto a favore della nostra informazione.
Però nell’aprile 2019 La trasmissione Report ha dedicato un’inchiesta alla vicenda, intitolata “Tu vuo’ fa’ l’americano”. In essa, tra l’altro, venivano messe in luce irregolarità e incongruenze nella documentazione presentata dal Dignitatis Humanae Institute. «Che un luogo fondato dai certosini diventasse un avamposto della fabbrica dell’odio trumpiana era veramente inaccettabile», ha detto al convegno Giorgio Mottola, l’autore dell’inchiesta. Ma i motivi per riflettere sul nostro sistema dell’informazione sono due. Il primo è che le testate giornalistiche italiane si sono interessate al caso solo dopo che si è mobilitata la popolazione e solo dopo che si è mossa la stampa internazionale. Il secondo, secondo Mottola, è che i criteri di notiziabilità comunemente adottati nelle redazioni vanno rimessi in discussione: «l’interesse pubblico dovrebbe essere notiziabile», mentre oggi non lo è.

Comunque, dopo l’inchiesta di Mottola e dopo il ricorso in autotutela presentato dai cittadini, l’avvocatura dello Stato ha confermato le irregolarità nell’aggiudicazione del bando e il Ministero dei Beni culturali ha iniziato il procedimento per revocare la concessione, che è stata annullata dal Consiglio di Stato nel luglio 2021.

La morale della favola è che l’alleanza tra i cittadini e l’informazione ottiene risultati nell’ambito della difesa dei beni comuni, ma anche nel campo della legalità, perché, come ha detto Tarcisio Tarquini, presidente dell’associazione Gottifredo, è stata neutralizzata «una situazione di azzardo morale».
Sarebbe bello che quest’alleanza potesse costruirsi anche in altri casi. Farebbe bene ai cittadini, ma anche all’informazione.