22 Maggio 2025
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Il racconto di una domenica indimenticabile, guardando dall'alto piazza San Pietro

Appunti da una terrazza speciale

la terrazza da cui nasce questo racconto

Luisa Pozzar

18 maggio. Domenica mattina all’alba. Dalla terrazza del Braccio di Carlo Magno, in piazza San Pietro, lo sguardo si amplia e spazia su tutta Roma. È una giornata speciale. E arrampicarsi fin lassù ha il sapore della fatica dei testimoni.

Si sta in alto, si vedono le cose da una prospettiva diversa da chi sta giù. Si vede di più, ma si vede anche di meno. Si vede più ampio, ma si vede meno nel particolare. Si ascolta meglio il risuonare delle voci e dei canti. Si captano cose più sottili. Un volo di rondini, la prospettiva dei tetti, di chi si arrampica non per essere visto, ma per vedere. Si coglie un movimento che altri non possono notare. Uno sguardo curioso riesce a cogliere momenti unici, dei quali non tutti si accorgono. Si mettono insieme pezzi di un enorme puzzle. Non tutto è a incastro perfetto, ma è tutto comunque come deve essere.

Non si riescono a cogliere le emozioni su un volto, ma le si captano nelle vibrazioni della voce. Non si vede chiaramente chi canta una parte della liturgia, ma le note e la melodia hanno quel colore e quel “profumo” unico che rimanda all’Oriente che da sempre traccia la via. Lo sguardo arriva fino a un certo punto: non si riesce a cogliere quante persone riempiono la piazza e fino in fondo tutta via della Conciliazione. Ma se ne ascolta e se ne percepisce il cuore pulsante e la gioia genuina.

Restano invisibili alla vista, forse, tante cose. Se non si ha un teleobiettivo come occhio, si rimane un po’ ciechi. Chi è davanti vede tutto: cerca continuamente di fissare attimi di un evento irripetibile, pur nella sua ritualità intatta, o quasi, da secoli. Intuisce situazioni, legge con agilità una mappa non scritta di posti assegnati a regnanti e potenti che lentamente arrivano in piazza tra scorte e protocolli indecifrabili. E documenta. Cerca e scatta.

Gli smartphone non si contano, ma a tenerli sempre in alto, pronti in ogni momento a registrare video o scattare foto, non sono certo mani dilettanti. Tanti i “navigati”, ma tantissimi anche i giovani, pronti, efficienti, anche se alla prima esperienza. Determinati, sì, ma anche disponibili a imparare dai più esperti. Pronti a fidarsi. Per vedere bene, in fondo, serve anche lasciarsi guidare.

Ascolto, poi, quella voce nuova, che ancora non è del tutto familiare. L’abito bianco è l’unico tratto che da lassù è possibile focalizzare. E lascio entrare quelle parole. Non sono un fiume in piena, non scorrono copiose, non sono piene di rimandi alla quotidianità o di aneddoti familiari, come forse eravamo abituati a sentire fino a poche settimane fa dalla voce di Francesco. Però, sono precise, scelte con cura. Ponderate, mi pare. E vanno dritte al punto. Ecco: sono parole disarmate. Le stesse che lui, Leone XIV- che viene a noi “come un fratello… con tremore e timore… che vuole farsi servo” della nostra fede e della nostra gioia – ci chiede di usare nel nostro lavoro. Contengono insieme potenza e dolcezza: rendono palpabile la tristezza e lo smarrimento dei giorni della morte di Francesco e allo stesso tempo narrano la consolazione di un Dio che non ci ha lasciati soli come pecore allo sbando e ci ha radunati nuovamente mentre ci sentivamo dispersi.

Sono parole che accarezzano. Invitano, credo, nella loro essenzialità a metterci in ascolto di altro, a non fermarci solo al loro significato, pur pieno e pregno. Ci chiedono di fermarci ad ascoltare e, con la stessa delicatezza della voce che le pronuncia, di darci la possibilità di farle andare in profondità. Di lasciare che si posino sui nostri cuori, da dove tutto ha origine, anche le parole. Perché insieme a noi, trovino pace anche le nostre parole. E, insieme ad esse, anche chi le legge o le ascolta. Quella pace che, come diceva Sant’Agostino e ha ripetuto Papa Leone, viene dal riconoscere che siamo fatti per il Signore “e il nostro cuore non ha posa se non riposa” in Lui. Nella vita, come nel servizio della professione al quale siamo chiamati.