4 Dicembre 2011
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CINEMA E FEDE: IL SACRO ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI. MONS.CELLI (PCCS):UNA TRACCIA DA SEGUIRE. MONS.POMPILI (CEI): UNA PALESTRA ETICA

programma_film_and_faith3Nella più recente produzione cinematografica “il sacro emerge nei film a volte solamente sussurrato, come fosse una traccia da seguire”. A rilevarlo è mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali (Pccs), intervenuto al convegno internazionale “Film and Faith” promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo con il patrocinio dei Pontifici Consigli cultura e comunicazioni sociali. Nell’odierno “bisogno di spiritualità”, secondo mons. Celli il cinema può essere visto come “strumento per avvicinarsi al sacro attraverso il linguaggio privilegiato delle immagini”. In particolare quando i registi “lasciano che sia lo spirito ad esprimersi”, spingendo l’uomo a “confrontarsi con il mistero del mondo e della vita”. Il convegno anticipa la XV edizione del Tertio Millennio Film Fest (6-11 dicembre) su “Amore, morte, miracoli. Per una fenomenologia della società contemporanea”. Fede invocata o rinnegata. “Vogliamo guardare a una delle realtà importanti nella vita dei giovani, che è il mondo del cinema”, e vedere come “entra in relazione con il mondo della fede”. Così mons. Paul Tighe, segretario del Pccs. “Gran parte del mondo del cinema – spiega – si apre su un mondo a sua volta aperto alla trascendenza. Vogliamo vedere come una generazione di bambini cresciuti con Harry Potter e il Signore degli anelli” sia in grado di “pensare le domande più profonde della vita”. Il rettore della Pul, mons. Enrico Dal Covolo, rileva la frequenza in molte opere cinematografiche di “una fede più o meno cosciente, invocata o rinnegata”, che a volte si esprime in “una volontà anelante a comunicare con il divino”.
“Il cinema resta ancora oggi un linguaggio potente, un medium capace di rimediarsi e ridefinire il suo ruolo e il suo significato anche nell’era digitale. E proprio questa doppia vocazione originaria continua a rendere il cinema sempre più prezioso in un’era come la nostra” che “ha bisogno di narrazione e di infinito”, sostiene mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, per il quale il cinema e la narrazione in generale hanno due “funzioni fondamentali: la capacità di offrire una sorta di laboratorio etico” e “la capacità di costituire un ‘medium'”. Il racconto é quindi un “laboratorio, una ‘palestra etica’” che “aiuta ad affrontare le questioni estremamente reali della nostra esistenza”. È possibile, con l’arte cinematografica, narrare la fede nel contemporaneo ma questo non vuol dire necessariamente fare la trasposizione della Bibbia. Ne è convinto mons. Dario Edoardo Viganò, preside del Pontificio Istituto pastorale “Redemptor hominis” e presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo. “L’artista rende visibile ciò che spesso non è visibile – spiega -. Il cinema è quel testo che si fa incontro tra una storia, quella delle grandi strutture della fede custodita dalla Bibbia, e la vita che il regista con uno sguardo responsabile è chiamato a raccontare”. “Ci sono forme di narrazione cinematografica in cui il fatto religioso trova spazio” e “le grandi strutture della fede” vengono raccontate “sullo sfondo del rapporto tra Dio e l’uomo. Più che la mano del regista o la sua eventuale fede, ciò che conta è il rapporto vitale che l’artista ha con il testo”.
Conoscenza dell’animo umano. Secondo Pablo Moreno Hernandez, 28 anni, presidente di “Kinema Siete” (Spagna), “il nostro mondo deve conoscere l’esistenza della Speranza e della Vita”. Portando la propria testimonianza, Moreno ha ripercorso la storia della società di produzione “Contracorriente Produciones” da lui fondata con alcuni amici nel 2006 e dei video vocazionali prodotti per “diffondere la fede attraverso i media”.
Per Gianluca Arnone (Rivista del Cinematografo), il critico deve avviare “un processo di interpretazione” tentando di “mostrare le tecniche che la messa in scena, la regia, il sonoro utilizzano per ‘indebolire’ con il bombardamento sensorio e illusorio lo spettatore”, e “deve svelare ciò che il testo non vuole svelare”, ossia “il modo in cui il cinema sta rielaborando il nostro modo di abitare il mondo”. Ma deve anche chiedersi in quale misura la “temporalità spezzettata” del cinema influisca “sul tempo della nostra vita”. Questo, conclude, è il compito di “una critica attenta ai valori dell’autentico e della verità”. (SIR;PCCS)