28 Aprile 2013
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COMUNICAZIONE: SIR, LE RADICI DELLA MEDIAETICA. PROTAGONISTI DEL DIBATTITO SULL’ETICA NEI MEDIA

UCSI-FNSIAll’inizio l’idea era di fondare un vero e proprio comitato di “MediaEtica”, sull’esempio del “Comitato nazionale per la bioetica” che venne istituito nel 1990 con un decreto governativo. Il dibattito è stato intenso e animato ed è durato alcuni anni. Lo scorso 10 aprile Andrea Melodia, presidente dell’Unione cattolica stampa italiana, ha presentato il primo “Osservatorio di Mediaetica” italiano. “Un gruppo di lavoro aperto, nel quale confrontarsi sulle scelte del percorso”, ha detto Melodia. Il dibattito, nato sull’onda degli stimoli provenienti dal Concilio Vaticano II, era cominciato quasi in sordina. Nel 1989, Sergio Trasatti, caporedattore de “L’Osservatore Romano”, in un libro dedicato al rapporto fra “I cattolici e il neorealismo” (Ente dello Spettacolo editore), annotava che: “A ben guardare manca oggi proprio quella ‘posizione morale’ che secondo Rossellini fu la caratteristica del neorealismo. Manca quel rapporto etico col reale che nel dopoguerra fiorì dietro alla macchina da presa”.

La consapevolezza di Giovanni Paolo II. Solo un anno prima, Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica “Christifideles Laici” (30 dicembre 1980), aveva scritto: “Il mondo dei mass-media, in seguito all’accelerato sviluppo innovativo e all’influsso insieme planetario e capillare sulla formazione della mentalità e del costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa… Nell’impiego e nella ricezione degli strumenti di comunicazione urgono sia un’opera educativa al senso critico, animato dalla passione per la verità, sia un’opera di difesa della libertà, del rispetto alla dignità personale, dell’elevazione dell’autentica cultura dei popoli, mediante il rifiuto fermo e coraggioso di ogni forma di monopolizzazione e di manipolazione”.

Sergio Zavoli e l’esigenza di governare eticamente il cambiamento. Sergio Zavoli, dopo molti anni, nel 2012, su “Il Sole 24 Ore”, volle pubblicare una riflessione che sembra un’eco di quella esortazione di Giovanni Paolo II. “C’è, ogni tanto, chi ci ricorda che quella comunicativa è stata una grande e rapida rivoluzione; anche se psicologi, sociologi, e persino storici, le imputano di avere ‘velocizzato solo tecnicamente’ le cose del mondo, senza fornire gli strumenti idonei a governare, eticamente, un così grandioso cambiamento. Ci si chiede, cioè, se non sia davvero entrato in crisi l’assunto civile secondo cui modernità e libertà d’informazione dovrebbero essere tutt’uno”. In questo ambito si è sviluppato negli anni un dibattito molto vivace che è stato animato con la voce di testimoni autorevoli e carismatici.

Gianpiero Gamaleri e il contemporaneismo. “Sono da mettere nel calcolo alcune dimensioni nuove della vita: la simultaneità del messaggio che esclude lo spazio della riflessione; lo sviluppo del contemporaneismo, che mortifica il senso della storia e della speranza; l’isolamento provocato dalla sostituzione dell’esperienza mediata dai media a quella diretta; l’emotività causata dalla violenza suggestiva dell’immagine; la contraddizione fra massificazione e personificazione, dimensioni nuove di cui non si potrà non tenere conto nell’opera educativa e in quella pastorale”, aveva detto Gianpiero Gamaleri, docente de La Sapienza di Roma durante un seminario a porte chiuse su “Mass Media e Costume Morale” organizzato dalla Conferenza episcopale italiana nel 1987. Parole che sembrano scritte oggi, nel pieno dell’esplosione del fenomeno dei social media.

La visione di Paolo VI. Durante il Concilio Vaticano II, nella Enciclica “Gaudium et Spes”, si poteva leggere un’indicazione tanto chiara quanto pragmatica: “Possiamo parlare di una vera trasformazione sociale e culturale, che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa”. “Ma se la grandiosità del fenomeno – scriveva Paolo VI nel messaggio per la prima Giornata mondiale della comunicazioni sociali nel 1967 -, che investe ormai i singoli individui e tutta la comunità umana, è motivo di ammirazione e di compiacimento, essa rende però anche pensosi e trepidanti. Questi strumenti, infatti, destinati, per la loro natura, a dilatare il pensiero, la parola, l’immagine, l’informazione e la pubblicità, mentre influiscono sull’opinione pubblica e, conseguentemente, sul modo di pensare e di agire dei singoli e dei gruppi sociali, operano anche una pressione sugli spiriti, che incide profondamente sulla mentalità e sulla coscienza dell’uomo, sospinto com’egli è, e quasi sommerso, da molteplici e contrastanti sollecitazioni. Chi può ignorare i pericoli e i danni che questi pur nobili strumenti possono procurare ai singoli individui e alla società, quando non siano adoperati dall’uomo con senso di responsabilità, con retta intenzione, e in conformità con l’ordine morale oggettivo?”.

Gianfranco Bettetini e la questione morale. Il primo che associò le parole “media” e “etica” fu però un laico, Gianfranco Bettetini, critico letterario, autore e regista della Rai degli anni Settanta e stimato docente di Comunicazione in alcuni importanti atenei italiani, fra gli altri anche La Cattolica di Milano. Nel 1987, durante un convegno su “Deontologia dell’informazione: una questione morale?”, disse: “Le comunicazioni di massa costituiscono un campo esemplare per un’analisi che intenda focalizzare sullo studio del soggetto della moralità e del rapporto fra un’etica immanente ad un sistema e un’etica della persona”.

L’Osservatorio dell’Ucsi. “La necessità di riflettere sull’etica dei media e della professione giornalistica, come di quelle professioni di comunicatori che anche in assenza d’iscrizione all’Ordine agiscono nel mondo dell’informazione, è una vecchia proposta dell’Ucsi: risale agli anni Novanta e ha tratto ispirazione soprattutto da Giancarlo Zizola e Paolo Scandaletti – ha ricordato Melodia il 10 aprile, durante la presentazione dell’Osservatorio di Mediaetica -. Però non è mai sfociata in un’attività concreta”, fino all’attuale “work in progres” che si propone di fornire “non giudizi ma riflessioni”. (SIR)