Ostinazione o Provvidenza? Entrambe, direi oggi. Perché non fu un moto di ambizione quello che mi portò a chiedere di venire a Roma per seguire quel terremoto prodotto dalla rinuncia di papa Benedetto XVI. Fu il tentativo di capirci di più, di guardare con i miei occhi quello che stava accadendo alla mia amata Chiesa e, solo come conseguenza, raccontarlo.
In prima battuta mi fu detto di no dall’allora mio direttore, restio a farmi allontanare in quel frangente dalla Puglia dove lavoro da corrispondente. E, tuttavia, un insieme di congiunture inspiegabilmente a me favorevoli si tradussero in una telefonata qualche giorno più tardi: “Allora, sei ancora del parere di venire a Roma? La nostra vaticanista mancherà, ti va ancora di darci una mano?”
Quell’esperienza a Roma fu un vero dono
Doveva essere un’esperienza di un paio di giorni, il ritorno a Roma dopo poco per il Conclave, l’attesa registrando le emozioni della piazza, la pioggia e poi il sereno, la fumata bianca di quel 13 marzo 2013. Infine, Papa Francesco. Furono solo doni, doni su doni che ho ricevuto in tale abbondanza e gratuitamente da bastare a una vita.
Mi affiancarono una giovanissima stagista che stava imparando. Mi chiese di potermi seguire mentre intervistavo, montavo i servizi e mi scapicollavo facendo la spola tra la piazza e la fly, le postazioni per le dirette e la gente in preghiera. Lì per lì pensai che potesse essermi d’impiccio, ma non avrei potuto rifiutare.
Fu un dono anche lei. Aveva curiosità, prontezza ed entusiasmo: le premesse giuste per questo mestiere. Afferrò la telecamerina personale, che mi ero portata nella speranza di registrare qualcosa da tenere per mio ricordo negli eventuali intervalli di lavoro, e riprese tutto. Documentava ogni cosa, coglieva insieme e emozioni intorno e la mia emozione mentre lavoravo in quella situazione unica. Si fece preziosa depositaria del mio ricordo. Habemus Papam.
Quelle 5 sillabe irruppero nelle orecchie e nei cuori e fecero fremere la piazza, ma quando fu pronunciato il nome di Bergoglio furono in molti a girare lo sguardo intorno chiedendosi chi fosse. Quelli che lo conoscevano, pochi, catturarono immediatamente l’attenzione di noi giornalisti, ebbero un sussulto e gli occhi pieni di stupore e sogno: viene dall’America Latina. Un altro mondo si affacciava su San Pietro. Di lì a poco papa Francesco avrebbe pronunciato quelle parole memorabili: i suoi confratelli erano andati a prenderlo dalla fine del mondo, e la piazza esplose di entusiasmo ricambiando l’immediata simpatia. Ma quelle semplici parole erano già un manifesto.
Le periferie sono tornate al centro
Con Papa Francesco sono state le periferie del mondo a conquistarsi il centro della scena. Papa Francesco non invitava solo ad avere attenzione per le periferie, invitava proprio ad avere lo sguardo delle periferie, quelle che avvertono prima i fenomeni, prima ancora che raggiungano il centro, imponendosi prepotentemente a volte con drammaticità.
Papa Francesco ci ha richiamato continuamente all’attenzione agli ultimi della terra e alle prospettive dalle terre ultime. La portata rivoluzionaria di quel messaggio toccava nel profondo le mie corde, abituata da anni a raccontare una delle province italiane. Quell’invito a uno sguardo decentrato per cogliere meglio e velocemente segnali importanti di disagio, di bisogno, di richiesta d’ ascolto mi suonava familiare, parlava alla mia esperienza. Ero lì, al centro di quella piazza e di quei fatti, testimone di una sera che stava cambiando la Storia, l’inizio del papato di Francesco, l’epoca di un uomo che avrebbe messo in discussione il concetto stesso di centro, come luogo di potere, dando spazio e dignità a ogni marginalità. Ero arrivata dalla periferia per raccontarlo, alla ricerca di un’esperienza più personale che lavorativa e tutto fu per me grazia. Non sapevo ancora quanto lo sarebbe stato per il mondo intero.