Il data journalism ha il merito di riportare al centro della professione il principio dell’obiettività: se le fonti sono promotrici di interessi di parte e i cronisti spesso percepiti come un megafono, al giornalismo che si propone di indagare, analizzare e rendere comprensibili i dati viene riconosciuto un livello di imparzialità più alto.
Un tentativo più sistematico di rispondere a questa domanda arriva dal Google News Lab che, in collaborazione con PolicyViz , ha condotto una ricerca sullo stato di salute del data journalism e su come i reporter si siano attrezzati per scoprire le notizie, raccontare storie e analizzare i fatti a partire dai dati.
La ricerca si concentra su Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia:
1. Il 42% dei reporter usa i dati per raccontare storie con una certa regolarità: almeno due volte o più alla settimana;
2. Il 51% delle aziende editoriali ha team dedicati all’analisi dei dati;
3. Gli argomenti più trattati con questi strumenti sono: politica (33%), finanza (28%) e inchieste (25%).
In questa attività entrano in gioco le regole classiche della professione: raccolta, verifica, gerarchizzazione, analisi, contestualizzazione, spiegazione delle storie di tutti i giorni. I dati non sono altro che le fonti “intervistate” per tirare fuori le notizie, come avviene con le domande quando l’interlocutore è una persona in carne ed ossa.