10 Ottobre 2017
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Data journalism: un antidoto alla crisi di credibilità dell’informazione

Il data journalism rappresenta probabilmente una delle armi più efficaci contro la crisi di credibilità che affligge l’informazione. Una delle ragioni di questa “impopolarità” è legata al rapporto con le fonti. “Negli Stati Uniti solo il 53% degli americani si fida delle fonti che usa”, ha recentemente spiegato Andrew Anker, direttore della sezione News di Facebook.

Franco Maresca

Il data journalism ha il merito di riportare al centro della professione il principio dell’obiettività: se le fonti sono promotrici di interessi di parte e i cronisti spesso percepiti come un megafono, al giornalismo che si propone di indagare, analizzare e rendere comprensibili i dati viene riconosciuto un livello di imparzialità più alto.

Un tentativo più sistematico di rispondere a questa domanda arriva dal Google News Lab che, in collaborazione con PolicyViz , ha condotto una ricerca sullo stato di salute del data journalism e su come i reporter si siano attrezzati per scoprire le notizie, raccontare storie e analizzare i fatti a partire dai dati.

La ricerca si concentra su Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia:
1. Il 42% dei reporter usa i dati per raccontare storie con una certa regolarità: almeno due volte o più alla settimana;
2. Il 51% delle aziende editoriali ha team dedicati all’analisi dei dati;
3. Gli argomenti più trattati con questi strumenti sono: politica (33%), finanza (28%) e inchieste (25%).

In questa attività entrano in gioco le regole classiche della professione: raccolta, verifica, gerarchizzazione, analisi, contestualizzazione, spiegazione delle storie di tutti i giorni. I dati non sono altro che le fonti “intervistate” per tirare fuori le notizie, come avviene con le domande quando l’interlocutore è una persona in carne ed ossa.