29 Ottobre 2013
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DATAGATE, KELLER (NYT) A GREENWALD: “E’ LUI IL FUTURO DEL GIORNALISMO?”

peeping-tom-eye-hole”E’ Glenn Greenwald il futuro del giornalismo?”. Con questo interrogativo decisamente provocatorio, il New York Times titola un lungo carteggio pubblicato online tra Bill Keller, ex direttore del giornale, e lo stesso Greenwald, il blogger, avvocato, attivista, (e giornalista), che con i suoi articoli sul Guardian ha svelato gli abusi della National Security Agency, costringendo la Casa Bianca a una profonda revisione del suo metodo di raccolta dati. Un confronto molto civile tra due visioni diverse di fare giornalismo – Da un lato quello degli ‘old media’, rigorosi ma spesso accusati di essere troppo vicini alla politica, dall’ altro un modello d’informazione piu’ ‘a tesi’, volutamente ‘partigiano’, che ha in Greenwald il suo paladino. Keller, pur riconoscendo che quello sulla Nsa e’ stato lo scoop dell’anno, sottolinea che anche la storia del giornalismo tradizionale e’ ricco di battaglie di grande valore, dal Watergate, alle inchieste sulle torture in Iraq, agli scandali finanziari. ”Il nostro modo di fare giornalismo tradizionale, tenendo separate le notizie dalle opinioni – sottolinea Keller – ha spesso prodotto risultati spesso molto piu’ credibili di altre forme di comunicazione”. Keller difende il New York Times dall’accusa di aver avuto grandi problemi a pubblicare articoli che avrebbero messo in crisi i suoi legami politici. Quindi chiede a Greenwald di spiegare meglio gli obiettivi del suo nuovo progetto editoriale finanziato dal fondatore di eBay, Pierre Omidyar. ”Riconosco i meriti di giornali come il New York Times – replica Greenwald – ma troppo spesso questo modello ha prodotto un’informazione pietrificata, a volte codarda. Ci si limita a scrivere ‘X ha detto Y’, invece di scrivere ‘X ha detto Y, che e’ falso’. La distinzione non e’ tra cronisti che hanno opinioni e chi non le ha – Ma tra chi onestamente dice come la pensa, rivela le sue opinioni politiche sulla base di tesi oggettive e chi invece, in modo disonesto, finge di non avere un’idea o la nasconde ai propri lettori. Poi alla fine il vero criterio che conta e’ l’accuratezza e l’affidabilita’. Credo che svelare cio’ che e’ nascosto sia un valore oggettivo per giudicare il buon giornalismo. Servono prove e fatti verificabili – Non credo alla pretesa che giornalisti apertamente schierati non possano produrre un buon giornalismo”. ”A nessuno chiedo di non avere opinioni – replica Keller – ma senso di responsabilita’. Quando abbiamo pubblicato le notizie di Wikileaks la nostra preoccupazione e’ stata che nessuno, tra i tanti citati nei file, venisse colpito, individuato e ucciso. Julian Assange disse al cronista del Guardian, David Leigh: ‘Se verranno uccisi, e’ quello che doveva accadergli’. Poi smenti’, ma io credo a Leigh. Io credo che Wikileaks debba avere la stessa liberta’ di stampa del New York Times, ma non finga di avere il nostro stesso senso di responsabilita”’.Infine, l’attacco a Omidyar – “Di recente ha detto che la credibilita’ delle istituzioni e’ in ribasso. Il suo pubblico vuole connettersi direttamente con le personalita’. Quindi punta a creare una costellazione di star, spinti dalla passione, investigatori solitari. Insomma, cronisti che si presentano come un proprio marchio. Ma il buon giornalismo e’ collaborazione, gioco di squadra, controllo e verifica”. (TISCALI)