Giornalisti che si interrogano sul giornalismo (e sul suo futuro). È accaduto a Roma, a margine del consiglio nazionale dell’Ucsi di sabato 17 maggio scorso. Il pomeriggio ha fornito l’occasione per un confronto vivace tra addetti ai lavori che si sono messi in dialogo sulle sfide che il nostro mestiere oggi impone a tutti. Dalla velocità all’accuratezza, dall’avvento dell’intelligenza artificiale alla ricerca delle notizie. Un mestiere, non l’unico, s’intende, nell’occhio del ciclone di una trasformazione del tutto in atto. È una fase del laboratorio che Ucsi ha aperto, ormai da tempo, con alcuni eventi, coinvolgendo anche la scuola di Assisi. Nella circostanza il talk è stato animato dal gruppo Ucsi delle “5M”, progetto per un giornalismo responsabile, attraverso Giuseppe Delle Cave e Roberta Carlucci.
È toccato a Giampiero Gramaglia, per 30 anni all’Ansa e grandi esperienze internazionali alle spalle, approfondire il dualismo nel quale ogni operatore della comunicazione si dibatte ogni giorno: accuratezza e rapidità possono stare insieme?
“La notizia va data in modo veloce e con accuratezza”. Non ha dubbi Gramaglia che parla dall’alto della sua lunga all’esperienza in agenzia. E aggiunge: “Non vedo contrapposizioni tra questi due aspetti. Vogliamo fare l’elogio dello slow journalism? Chissà mai chi leggerà quell’informazione”. Molto meglio, sostiene, “occupare lo spazio e mettere in rete” E insiste: “Veloce e accurata vuole essere la notizia”.
Fa notare Gramaglia: “Abbiamo perso il primato di chi dà le notizie”. Il chi l’ha detto oggi non se lo chiede più nessuno. Le notizie circolano, a prescindere dal nostro lavoro. I giornalisti non hanno più la primogenitura. Rimane, in capo alla nostra professione, la gerarchizzazione delle notizie, questa sì, precisa Gramaglia.
Cosa può fare la differenza fra chi mette in rete un volantino e chi confeziona per mestiere le notizie? “Notizie – insiste Gramaglia – sono quelle che andiamo a cercare. Noi non siamo in redazione per compiacere alle fonti. La fonte va usata per raccogliere informazioni”. E di fronte allo strapotere dell’intelligenza artificiale, come comportarsi? “Non bisogna avere paura – taglia corto Gramaglia -. L’IA sa tutto quello che è già stato scritto. Nostro compito è scrivere quello che ancora non è stata scritto. Se continueremo a scoprire, l’IA sarà sempre al nostro seguito”.
Da ultimo Gramaglia interviene sul rapporto tra editori e giornalisti. “L’editore ha un vantaggio se utilizza i giornalisti per cercare le notizie e per approfondirle – conclude -. In questo modo il suo strumento, giornale, agenzia, radio o altro che sia, può diventare un punto di riferimento” e la notizia può avere un valore che si può concretizzare in uno scambio economico.
L’inviata Virginia Piccolillo del Corriere della sera pone l’attenzione sulla precarietà del lavoro giornalistico ormai diffusa ovunque. “Siamo sempre meno tutelati e quindi più ricattabili. In più, mi dà fastidio che tra noi addetti ai lavori ci facciamo la guerra”. E propone: “Ci vorrebbe una riflessione collettiva: gli stati generali dell’editoria. Dobbiamo domandarci come avere un giornalismo basato sull’umanità”. Poi aggiunge qualche riflessione personale. “Per parte mia, ho sempre cercato di fare il mio lavoro in maniera corretta. Non vado in cerca di trappole, ma so che la realtà spesso è molto più complessa”.
L’esperienza non si inventa, insiste la Piccolillo. “Occorre un background per decodificare i fatti – aggiunge -altrimenti si rischiano grandi cantonate”. Poi ammette con candore e con sano realismo: “Se devo pensare di svolgere questa professione nelle 7 ore e un quarto stabilite dal contratto, beh, allora non riesco a fare questo mestiere”.
Infine la Piccolillo punta ancora sui suoi valori di base: preparazione, formazione, lavorare assieme nella stessa direzione, per mettere in campo un lavoro corretto: “Dobbiamo realizzare un giornalismo interessato alla realtà e all’umanità” che la abita. E chiosa: “Dire dei no qualche volta può aiutare a svolgere questo lavoro con soddisfazione”.
“Dobbiamo smetterla di vivere come se non ci fosse un domani”. Lo sostiene con forza Anna Piras, vicedirettrice di Rai Parlamento. Che poi si chiede ad alta voce: “Che tipo di giornalisti vogliamo essere? Abbiamo davanti a noi la sfida della rilevanza. Siamo ormai la cenerentola delle professioni. Siamo chiamati a fare più domande, altrimenti la nostra agenda ci viene dettata dall’esterno”. E così suggerisce un consiglio ai colleghi: “Sottraetevi”, questa può essere a volte l’arma vincente, anche se ammette, “è quasi impossibile per un giornalista poterlo dire”.
Quale antidoto mettere in atto? Per la Piras occorre “invertire il trend, anche se non è per nulla facile. Proviamo ad anticipare un tema. Come si può fare? Dovremmo emanciparci dalla dittatura degli uffici stampa e anche delle agenzie cui ci siamo abituati”. E conclude: “Non vedo altre soluzioni. So solo che occorre lavorare bene”.
Di aumentata infiltrazione del potere nell’informazione parla Shukri Said, libera professionista, da sempre a partita Iva, che fa intendere molto bene con quale realtà lavorativa ci si deve confrontare in questi tempi nei quali le assunzioni sono sempre meno. “I missionari italiani nel mondo – fa presente visto che si occupa di Africa – sono i nostri grandi inviati”, anche per colmare il gap informativo che avvolge il continente che si affaccia sul Mediterraneo e tutti i Paesi che hanno meno peso.
Le fa eco Gianni Maritati del Tg1: “Oggi siamo davanti a una professione dettata da altri, il cosiddetto giornalismo Ikea”. Anche lui cerca la strada per uscire dal circolo vizioso descritto durante l’intero pomeriggio. “Il giornalista – dice – deve essere una persona libera”. Ricetta semplicissima e complicatissima al tempo stesso. Un imperativo per tutti: non possiamo non provarci. Sta qui l’oggi della nostra professione.
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