In parte questo è inevitabile, e anche giusto. Attraverso le storie di ciò che accade attorno , noi ci facciamo un’idea non solo di come è la nostra società, ma anche di come vorremmo che fosse. Discutere di ciò che accade aiuta i gruppi e le comunità a ridefinire ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è lecito e ciò che non lo è: in fondo, è per questo che si sono sempre raccontate storie, che potevano essere d’amore e di vita, ma più spesso erano di guerra e di morte. Si raccontavano e si discutevano, per tirarne fuori “la morale”, cioè un insegnamento per il futuro.
Ma quando le storie sono solo di guerra e di morte, e quando su di esse si insiste in modo ossessivo, allora i media si trasformano in fabbriche di paura e contribuiscono a deformare le percezioni di quella realtà che dovrebbero raccontare.
Secondo il IX Rapporto sulla Sicurezza e l’Insicurezza sociale in Italia e in Europa del marzo 2016, quasi l’81% degli italiani riteneva che i reati erano aumentati nell’ultimo anno, anche se i dati ci dicevano che erano in realtà diminuiti, soprattutto quelli più gravi. La percezione si discosta dunque profondamente dalla realtà.
Ed è difficile non mettere in relazione questo fatto con la persistenza della cronaca nera sui media italiani.
Uno dei rapporti precedenti faceva notare come nel 2013 nei Tg italiani il 49% delle notizie fossero sulla criminalità, mentre in altri telegiornali europei si verificavano agende diverse.
Insomma, non è obbligatorio incentrare la programmazione sulla nera. Lo dimostra anche il fatto che, non tutti i Tg sono uguali (il record spetta a Studio Aperto, i Tg Rai hanno sempre avuto percentuali più contenute), ma soprattutto che, negli ultimi anni, una certa tendenza al ridimensionamento degli spazi dedicati alla criminalità è chiaramente constatabile, soprattutto nel servizio pubblico.
Questo certamente vale per i TG e non per i programmi di rete, sui quali non ho dati precisi, ma che mi sembrano avere la capacità di trasformare gli episodi di cronaca in serial infiniti, con un effetto moltiplicatore: il reato è uno solo, ma sembra che accada ogni giorno.
Inutile dire che tutto questo ha delle ricadute pesanti anche sui comportamenti dei cittadini: una società impaurita è più chiusa nei confronti degli altri, non ha fiducia negli altri e vota con la pancia.
E c’è da aggiungere che quelle sui crimini non sono le sole notizie ansiogene e che la fabbrica della paura passa anche attraverso il modo in cui viene notiziata l’immigrazione o la situazione politica, ma questo è un altro discorso.
Fiorello ha avuto il merito di riportare all’attenzione pubblica un tema con cui da tempo educatori, esperti e cittadini consapevoli si confrontano. La sua proposta è di lasciare “sangue e cronaca nera” alle “sedi competenti”, cioè ai TG e alla magistratura, e di smetterla di spaventare le persone, anziane e non.
Ma questo vorrebbe dire lasciare più spazio ai problemi veri e alle buone notizie, e occuparsi di questo è molto più difficile, dal punto di vista professionale, e paga meno in termini di audience.

