Quel giornalismo che per qualcuno giornalismo non è. So bene quanto spesso questi critici non abbiano del tutto torto, quanto tanti “comunicati stampa” – pure poi pubblicati spesso integralmente anche dai grandi media – nascondano distorsioni propagandistiche. Ma so anche che si può fare giornalismo serio, talvolta anche coraggioso o comunque dignitoso, attraverso l’antico strumento dei comunicati stampa.
Ho un esempio fresco fresco. Se volete è pure un esempio “pasquale”: legato a una storia positiva, civile, politica nel senso migliore del termine.
Viene pubblicata, a Pistoia, una bella rivista di storia locale. Due numeri l’anno. “Quaderni pistoiesi di cultura moderna e contemporanea”: questo il sottotitolo. E “Storia locale” (questo il titolo) è arrivata al numero 32. Uno dei saggi di quest’ultimo quaderno mi ha attirato in particolare. Racconta una storia, piccola ma significativa, che rimanda al 1943/44 in un paesino delle mie montagne pistoiesi.
Nel settembre 1943 a Prunetta da genitori di fede ebraica, abitanti in Piemonte e qui internati nel tempo delle leggi razziali, nacque Massimiliano. Aveva, il piccolo, compiuto appena 4 mesi quando i carabinieri arrestarono la madre. Il padre, con lo zio, erano già fuggiti chissà dove. L’unica colpa dei genitori, e di tutta la famiglia, era l’appartenenza religiosa: intollerabile per il nazifascismo essere ebrei.
La strada per la mamma di Max era il forno crematorio di Auschwitz e sarebbe stata la stessa anche per Max se una famiglia pistoiese, anch’essa sfollata a Prunetta (così si chiama quel paesino), non si fosse opposta ai carabinieri che volevano … “non separare” il piccolo dalla mamma. Quella famiglie lo prese con sé, a 4 mesi, e lo crebbe come un figlio fino a che, nel 1951, il padre fu in grado di tornare.
A 75 anni da quelle tragedie, due giovani ricercatori locali hanno affidato la storia, piccola e dimenticata, proprio al “quaderno 32” della rivista pistoiese. Per vari motivi ne sono venuto a conoscenza e – stimolato anche dal fatto che l’ex bambino strappato ai nazisti dal coraggio di un commerciante pistoiese sarebbe apposta rientrato a Pistoia dalla sua Torino in occasione della presentazione del “quaderno” – mi sono permesso di lanciare la storia. Attraverso un comunicato stampa che, come talvolta capita, ha “bucato” determinando una forte attenzione, non solo locale, di media non sempre attenti a questo tipo di notizie.
E così il giovedì santo di questo 2019 l’ormai anziano Max, con figlio e 5 deliziosi nipotini, è tornato nella “sua” Pistoia abbracciando, davanti alle telecamere, anche il figlio di quel commerciante che aveva gridato ai carabinieri “No, questo bambino resta con noi”. Avrebbero potuto fregarsene, Ernesto e Rita: fare come tanti altri che, davanti alla barbarie, si girarono dall’altra parte. Ma non lo fecero.
Il giorno successivo, un venerdì santo di ordinaria indifferenza immersi come siano nella volgarità e nella paura, è stato significativo anche il ritorno di Max, con figlio e nipotini, in quella Prunetta dove il coraggio di pochi seppe dare un senso alla parola “dignità”.
Mi è parso utile che quel piccolo comunicato stampa sia, in qualche modo, riuscito a sottrarre una storia così positiva dalle pagine di una rivista storica consegnandola alla nostra contemporaneità mediatica e “social”. Così come bene ha fatto, l’ex bambino Massimiliano a portarsi, dalla sua Torino, una pagina de “La Stampa” (ma la notizia, il giorno prima, era su tutti i giornali) con la vicenda di quei bambini che, al loro compagno ebreo, nella civile Ferrara di oggi, hanno gridato “quando saremo grandi faremo riaprire Auschwitz e vi ficcheremo tutti nei forni, ebrei di m...”. Ha fatto bene Massimiliano. Così come bene avevano fatto, 75 anni fa, Ernesto e sua moglie Rita.
Nella Prunetta di oggi, Pasqua ha forse dimostrato un’altra volta il suo senso antico e, per chi crede, eterno: la possibilità per tutti noi esseri umani di passare dalla schiavitù alla libertà, dall’umiliazione alla dignità, dalla viltà al coraggio. Dalla morte alla vita.
Le altre #StoriediPasqua sono raccontate da:
1 – Maurizio Di Schino
2 – Michela Di Trani
3. Luisa Pozzar
4 – Fabio Figara
nel riquadro la pagine de ‘La Nazione con l’articolo e la foto da cui sono partite le ricerche

