La comunicazione, per lui, serve a “unire ciò che è diviso” e in quanto tale è un cum munus, ossia “dono reciproco” che nasce dalla relazione che si stabilisce “parlando, ascoltando e comprendendo l’altro”, un dono che “intreccia le nostre differenze, ci rende membri gli uni degli altri, riflette come tutto sia interconnesso”.
Di fronte all’avanzamento esponenziale della tecnologia, dei sistemi digitali e dell’intelligenza artificiale, il prefetto dice che serve “uno sguardo spirituale, puro, capace di riportare all’unità ciò che abbiamo diviso per egoismo”. Occorre valorizzare anche “la formazione permanente e l’assunzione di responsabilità collettiva”.

