2 Agosto 2025
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Desiderio di figli ma mondo del lavoro ostile. La complessa narrazione giornalistica

Il nodo etico e sociale della genitorialità negata

È necessario riscoprire che mettere al mondo un figlio è un atto di speranza e di fiducia, nonostante le difficoltà. In questo contesto complesso e stratificato, anche il modo in cui i media scrivono sul tema ha un impatto decisivo. Il giornalismo, infatti, non si limita a fotografare la realtà, ma contribuisce a orientare lo sguardo collettivo, influenzando percezioni e immaginari. Raccontare la crisi delle nascite solo attraverso cifre allarmistiche rischia di appiattire la questione, rendendola distante, quasi inevitabile. È invece fondamentale che il giornalismo dia voce alle aspirazioni e alle difficoltà dei giovani, indagando con onestà intellettuale le ragioni profonde del fenomeno

Image by Pexels from Pixabay

Francesco Pira

In un’epoca segnata da crisi globali, precarietà esistenziale e instabilità economica, la questione della natalità diventa sempre più urgente, non solo nei numeri, ma anche nei valori che li sostengono o li svuotano. La continua diminuzione delle nascite in Italia è ormai un fatto noto, che alimenta un ampio dibattito tra istituzioni, media e opinione pubblica. A tal proposito, è interessante e prezioso l’articolo del ricercatore Enzo Risso, dal titolo: “I giovani vorrebbero figli, ma il mondo del lavoro è ostile alla genitorialità”, pubblicato su Il Domani, che va oltre la semplice constatazione del fenomeno.

La constatazione che il mondo del lavoro è ostile

Risso fotografa infatti con lucidità le aspirazioni, le paure e gli ostacoli che condizionano il desiderio di maternità e paternità tra i giovani di oggi. Un’analisi che, partendo dai dati, solleva interrogativi significativi sui doveri collettivi e sulle scelte politiche e culturali che il nostro tempo è chiamato ad affrontare.

È ormai consuetudine parlare di inverno demografico”, scrive Risso, spiegando come il numero delle nascite in Italia sia in calo costante. “Dal 2008 a oggi il calo è stato superiore al 35 per cento, equivalente a circa 200.000 nuovi nati in meno”. Il dato più allarmante riguarda l’indice di fecondità, che nel 2024 “si è attestato a 1,18 figli per donna”, inferiore al già critico minimo storico del 1995.

L’elemento più sorprendente riguarda le aspirazioni dei giovani: “Il 62 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni afferma di volere almeno uno o due figli”. Un desiderio concreto, anche se in calo dell’8% rispetto a due anni fa. “Il 38 per cento desidera due figli, il 24 per cento uno solo, mentre il 12 per cento ne vorrebbe almeno tre”. Al contempo, “il 25 per cento dichiara di non volerne affatto”, con un aumento significativo del 9% negli ultimi due anni.

Il significato attribuito all’essere genitori è variegato e complesso: “Per il 50 per cento dei giovani l’idea di avere un figlio è una fonte di gioia”, mentre per “il 38 per cento è causa di preoccupazione” e per “il 30 per cento un generatore di ansia”. Solo per “il 2 per cento è motivo di irritazione”, mentre “il 20 per cento associa alla genitorialità sentimenti di serenità e fiducia”.

I fattori economici, culturali e psicologici

Ma cosa ostacola, concretamente, il realizzarsi di questo desiderio? Risso riporta i dati dell’osservatorio Fragilitalia del centro studi Legacoop e Ipsos: “Gli stipendi troppo bassi e il costo della vita in aumento” pesano per il “91 per cento” degli intervistati; seguono “la mancanza di stabilità lavorativa (89%)” e “le condizioni di lavoro incompatibili con l’idea di avere figli (89%)”. Molto alto anche il peso attribuito a “un mondo del lavoro che non è interessato a dare equilibrio tra ore lavorate e ore da passare in famiglia (88%)”, e alla “difficoltà di avere una casa dignitosa (85%)”. A ciò si aggiunge “la mancanza di sostegni pubblici per affrontare il costo della crescita dei figli (85%)” e “la paura di perdere il lavoro (80%), che sale all’84% tra le donne e all’89% tra i ceti popolari”.

A completare il quadro, ci sono poi “i fattori culturali e psicologici”: “Il desiderio di maggiore libertà personale” è importante per “il 25 per cento”; il bisogno di realizzazione professionale pesa per “il 18 per cento”; “la paura di perdere la propria spensieratezza” per “il 23 per cento”, mentre “la caduta del valore della famiglia come fonte di realizzazione” tocca “il 20 per cento”. Infine, “la percezione dei figli come ostacolo alla realizzazione personale” è significativa per “il 14 per cento”.

Dal punto di vista psicologico, “la paura delle responsabilità genitoriali colpisce seriamente il 26 per cento”, “il desiderio di mantenere il proprio stile di vita” vale per “il 25 per cento”, “la sensazione di non essere pronti emotivamente” per “il 24 per cento”, e “l’instabilità delle relazioni amorose” è un deterrente per “il 26 per cento”. Un dato che sintetizza il malessere diffuso è il seguente: “Il 69 per cento dei giovani ritiene il mondo troppo incerto per mettere al mondo dei figli”.

Comprendere il contesto per saperlo raccontare da giornalisti

Questo scenario, pur ricco di sfumature, lascia emergere una linea rossa evidente: i giovani non hanno smesso di desiderare una famiglia, ma si scontrano con un sistema economico e sociale che scoraggia e rende difficile il percorso verso la genitorialità. Le cause non risiedono in un rifiuto dei valori familiari, quanto in un contesto ostile, in cui la precarietà lavorativa, l’assenza di politiche strutturate di sostegno alla natalità e il peso crescente delle responsabilità individuali rendono l’idea di avere figli quasi un privilegio per pochi.

La maternità e la paternità vengono quindi vissute come obiettivi rischiosi e complicati, piuttosto che come dimensioni naturali della vita adulta. Il sistema produttivo sembra premiare l’individualismo, l’efficienza e la flessibilità, penalizzando il tempo lungo della cura, dell’attesa e della crescita. In questo quadro, la famiglia perde centralità non nei valori delle persone, ma nella struttura delle opportunità.

Siamo di fronte a un paradosso: il desiderio di generare nuova vita è ancora presente, ma viene bloccato da un sistema che non tutela il bene comune, né favorisce le scelte generative. È un fenomeno che non può essere interpretato solo in termini economici, ma che interpella anche la cultura, la politica e soprattutto l’etica.

L’impatto ‘decisivo’ dei media

In questo contesto complesso e stratificato, anche il modo in cui i media raccontano il tema della genitorialità ha un impatto decisivo. Il giornalismo, infatti, non si limita a fotografare la realtà, ma contribuisce a orientare lo sguardo collettivo, influenzando percezioni e immaginari. Raccontare la crisi delle nascite solo attraverso cifre allarmistiche rischia di appiattire la questione, rendendola distante, quasi inevitabile. È invece fondamentale che il giornalismo dia voce alle aspirazioni e alle difficoltà dei giovani, indagando con onestà intellettuale le ragioni profonde del fenomeno, come fa l’articolo di Enzo Risso. Solo un’informazione che rifiuta di colpevolizzare l’individuo e che rende visibili le responsabilità collettive e le logiche sistemiche può diventare uno strumento di consapevolezza e trasformazione sociale. È a queste condizioni che il racconto mediatico può contribuire al vero cambiamento.

L’articolo di Enzo Risso ci invita a tornare a guardare la genitorialità non come un lusso, ma come una vocazione da sostenere. Per farlo, occorrono politiche concrete, ma anche una rivoluzione culturale. È necessario riscoprire che mettere al mondo un figlio è un atto di speranza e di fiducia, nonostante le difficoltà. Un gesto che costruisce, giorno dopo giorno, una società più umana, più solidale, più viva. In un’era in cui la vita sembra costantemente rimandata a un “dopo” che non arriva mai, sostenere chi desidera diventare genitore significa restituire senso al presente e coraggio al futuro. Vuol dire anche riconoscere il valore dell’attenzione reciproca, dei ruoli condivisi, dell’impegno a generare non solo figli, ma relazioni, comunità, senso di appartenenza.

Accogliere la vita, difenderla, renderla possibile è oggi una scelta controcorrente, ma proprio per questo ancora più necessaria. In ogni storia di maternità e paternità che resiste alle difficoltà c’è un seme di bene che può rifiorire. E raccontarlo è già un modo per custodirlo.

 

La foto è di Pexels from Pixabay