La comunicazione pubblica si fa per legge?
A questo punto mi cito e riprendo da un mio scritto di qualche tempo fa non una ulteriore definizione di marketing, bensì un tentativo di portare all’attenzione uno degli aspetti del marketing: si tratta di un aspetto secondo me rilevante che coesiste con le caratteristiche economiche, tecniche e quant’altro, che vengono normalmente evidenziate in molte altre definizioni, e cioè il marketing inteso come atteggiamento di chi opera in una organizzazione, quell’atteggiamento che dovremmo trovare appunto nelle organizzazioni marketing oriented: “Con la parola marketing si intende un processo basato su una serie di tecniche ma, ancora di più, si dovrebbe intendere una cultura, una disposizione razionale ed emozionale delle persone che lavorano in un’azienda e dell’azienda nel suo complesso, un atteggiamento mentale innanzi tutto nei confronti del cliente, che viene posto al centro di ogni decisione e di ogni comportamento, ma anche nei confronti del proprio lavoro”.1
La descrizione funziona in maniera assolutamente identica in questa seconda versione che contiene qualche piccolo ritocco:
“Con la parola marketing si intende un processo basato su una serie di tecniche ma, ancora di più, si dovrebbe intendere una cultura, una disposizione razionale ed emozionale delle persone che lavorano nella pubblica amministrazione e della pubblica amministrazione nel suo complesso, un atteggiamento mentale innanzi tutto nei confronti del cittadino, che viene posto al centro di ogni decisione e di ogni comportamento, ma anche nei confronti del proprio lavoro”.
Se quanto detto – ripeto: non una ulteriore definizione di marketing, ma la sottolineatura di uno degli aspetti del marketing – se quanto detto ha un senso, o per lo meno esprime un po’ di buon senso, mi domando: tutto questo (e cioè avere un atteggiamento marketing oriented nei confronti del cittadino e del proprio lavoro) ha bisogno di una legge per essere fatto?
E aggiungo: le organizzazioni private (imprese, non profit, associazioni) e anche i soggetti pubblici quando sono in competizione tra di loro (ad esempio città, regioni, stati, istituzioni culturali impegnati nella competizione territoriale) fanno marketing (e comunicano) per legge? Non credo proprio; lo fanno possiamo dire spontaneamente, per raggiungere i loro obiettivi.
E allora: la pubblica amministrazione non si deve occupare di migliorare i suoi servizi, di stabilire relazioni decenti e rispettose con i suoi utenti e potenziali utenti (i cittadini), se non c’è una legge sul marketing pubblico?
E ancora: dato che in queste pagine ci focalizziamo sulla leva di marketing “comunicazione”, se non c’è una legge, e magari se una legge c’è ma non viene adeguatamente “attuata” o “applicata”, i servizi al cittadino si smette di comunicarli (in maniera possibilmente chiara ed efficace)?
La risposta è ovviamente no, ma nella pubblica amministrazione italiana, nella mentalità di quasi tutti coloro che dibattono sulla questione, pare che le cose non stiano così. Se non c’è la legge, se non si attua la legge (in termini ovviamente di figure professionali, famiglie, albi, ordini e via dicendo), se non la si rivede, se non la si migliora, se non viene integrata dalle opportune e necessarie circolari esplicative, dagli opportuni e necessari regolamenti attuativi, ahimè non si può comunicare o per lo meno è difficilissimo e se qualcuno lo fa, sembra spesso che lo faccia nonostante la pubblica amministrazione, in qualche caso assolutamente reale e non estremo, sembra che lo faccia contro la pubblica amministrazione. E non solo contro la vituperata conservatrice resistenza della burocrazia dirigente: ero fisicamente presente quando, durante una riunione al Comune di Roma sui temi della comunicazione, un sindacalista, cioè un rappresentante dei lavoratori coinvolti nella vicenda, dopo un paio d’ore esplose: “Ma questi insomma facciano gli impiegati e non i pubblicitari!”, suscitando un “oohh!” di approvazione liberatoria da parte degli altri sindacalisti e una reazione delusa e sdegnata da parte dei lavoratori i cui interessi stavano rappresentando.
E non solo sindacati: qualche anno fa i nostri illuminati politici, quelli per cui la comunicazione pubblica è solo l’addetto stampa che fa venire i giornalisti alle conferenze stampa e che cura la loro immagine sui media, ritennero che per risparmiare si dovessero dimezzare le spese di comunicazione e di rappresentanza, mettendo insieme le spese per un’attività inestricabilmente connessa alla buona amministrazione e alla democrazia reale con quelle per pranzi, cene e processioni con segretari, parenti e amici al Columbus day newyorkese.
Comunicazione, democrazia, efficienza
In realtà senza comunicazione non c’è integrale, funzionante ed efficace servizio pubblico e ancora una volta ritorno su cose che ho già avuto modo di dire ma che non mi stanco mai di ripetere, specialmente negli incontri di formazione che ho con persone che lavorano a vari livelli nella pubblica amministrazione: un’azienda, in base a sue considerazioni economiche o anche di strategia di posizionamento, può anche scegliere di non comunicare; la pubblica amministrazione non può farlo, non può “abbandonare” il cittadino.
Non può non informarlo con chiarezza -e perché no, con garbo- dei suoi obblighi e, non lo si sottolineerà mai abbastanza, dei suoi diritti. Non può predisporre delle opportunità, una detrazione, un finanziamento, una possibilità di scelta, un vantaggio, e non raccontargliele. Non può pretendere di suscitare comportamenti auspicabili per l’interesse collettivo, come risparmiare energia, raccogliere i rifiuti differenziandoli o ridurre rischi sanitari di svariato tipo, senza proclamarli, spiegarli, incentivarli. Né può pretendere di ridurre comportamenti negativi o più semplicemente complicanti per l’interesse collettivo senza una adeguata comunicazione educativo-dissuasiva. Non può abbandonare il cittadino quando questi deve capire dove deve andare e, quando è arrivato, deve poter usufruire di una segnaletica almeno dignitosa. E, come si dice, l’elenco potrebbe continuare e continuare molto a lungo.
Si tratta di una questione elementare e irrinunciabile di trasparenza e quindi di democrazia, che non può esserci compiutamente la dove non c’è trasparenza. La comunicazione non è insomma sovrastruttura, per dirla con Marx, ma parte integrante e strutturale dell’azione di governo e di amministrazione.
Ma si tratta anche di una questione di efficienza. I migliori studi sul marketing dei servizi (e la pubblica amministrazione eroga servizi) ci dicono che l’educazione del cliente o del cittadino, la chiarezza delle istruzioni migliorano l’efficienza del processo di erogazione, accorciano i tempi, generano comportamenti meno aggressivi e riducono i costi2. Per fare questo è necessario ovviamente innanzi tutto cercare di semplificare le procedure ma, forse ancora di più, raccontare, spiegare, far ricordare, insomma: comunicare.
La comunicazione parte integrante del servizio al cittadino
Si badi che tutto questo non significa solo ufficio stampa e relazioni istituzionali o pubbliche relazioni, che, come si è detto, sembrano rappresentare il significato della comunicazione per tanti politici e purtroppo anche per tanti “comunicatori” pubblici nostrani. Un giorno una collega, che dirigeva un importante ufficio stampa istituzionale, mi chiese con candore: “Ma se non fa l’ufficio stampa, una direzione comunicazione cosa fa?”.
Le feci un piccolo esempio che riguardava una delibera del Comune di Roma che consentiva agli over 75 con un reddito inferiore ai 15.000 euro di ottenere gratuitamente la tessera annuale per viaggiare sul trasporto pubblico locale. La mia collega aveva diramato un comunicato stampa e organizzato la conferenza stampa; per lei il lavoro di comunicazione era finito. Ma è proprio da lì, le dissi, che comincia il lavoro comunicativo più hard: come farlo sapere agli anziani che non leggono i giornali, e sono tanti, o a cui sfugge il servizio sul TG3 regionale? – Come individuare il target di riferimento: solo gli anziani? Anche i loro familiari? – Come prolungare la diffusione della notizia nel tempo? Come spiegare cosa si deve fare, dove si deve andare, cosa bisogna presentare? – Come contribuire, insieme all’ATAC e ai Municipi, a definire una procedura semplice, comprensibile, che eviti ai cittadini (una fascia tendenzialmente debole, come gli anziani) di fare lunghe file, di reperire tanti documenti etc.? – Come informare all’interno degli uffici dei Municipi, punto di erogazione del servizio? – Dove altro informare e in che modo: nei centri anziani? Con materiali scritti? Con interventi di persone formate e delegate? Nei mercati dove in tanti vanno la mattina a fare la spesa? – Come controllare l’efficacia di quanto si sta facendo e di quanto si sta comunicando? Come cambiare rotte di comunicazione se i risultati non sono soddisfacenti?
E poi progettare, scrivere, stampare e diffondere una campagna pubblicitaria. Progettare, produrre, incidere, diffondere degli spot radiofonici: su quali canali? Di che formato? Per quanto tempo? Spendendo quanto? Progettare, scrivere e stampare un opuscolo informativo (dove e come distribuirlo?). Parlare attraverso Internet (solo sul sito del Comune di Roma e dell’ATAC?). E anche qui l’elenco potrebbe continuare a lungo. E allora ritorna la domanda: per considerare tutto questo come parte integrante dell’amministrare, per avere la coscienza che non basta deliberare e fare atti formalmente corretti, né basta implementare le decisioni prese ma che le deliberazioni hanno un senso se i destinatari le conoscono e conoscono come attivarle per chè influiscano positivamente sulla loro vita, è indispensabile una legge? Kotler pensa di no. In Italia i più pensano, pare, di si.
Certo la legge contribuisce, e molto, indicando chi decide e guida le attività di comunicazione e quali sono le professionalità necessarie per attivarle; nonché introducendo obblighi per cose che dovrebbero per il vero essere naturalmente comprese nell’attività amministrativa ma che di fatto non lo sono.
Ma molto in questo campo si può fare anche senza l’applicazione formale delle leggi, evitando così anche i ferali cicli di entusiasmo iniziale e poi di depressione in caso di scarsa attuazione. Il nucleo centrale è la sensibilizzazione e la formazione specialmente dei dirigenti, ai quali il più delle volte si continua a trasmettere in modo più o meno subliminale che “il principale compito del dirigente pubblico è garantire la correttezza degli atti e delle procedure” (anche questa frase è una citazione di vita vissuta). Il nucleo centrale è la diffusione di una mentalità, di una cultura, di una concezione differente del proprio lavoro di operatore pubblico e del significato della sua quotidianità al servizio dei cittadini. (da desk)
* Executive Vice President di VIVAKI, multinazionale della comunicazione, Docente di Marketing della pubblica amministrazione all’Università “La Sapienza” Roma