5 Dicembre 2025
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La riflessione di don Alessandro Andreini per il tempo di Avvento che stiamo vivendo

L’Avvento è una palestra (anche per i giornalisti)

l'avvento è una palestra

Alessandro Andreini

Il nostro è un Dio-che-viene. Non dobbiamo dimenticarlo mai. E che non manca mai agli appuntamenti, come invece accade spesso a noi. Forse fa attendere qualche minuto, qualche ora, qualche giorno. E non è altro che una palestra per noi.

Dio viene e questo è subito un grandissimo insegnamento. La fede non è qualcosa di statico, come un soprammobile che sta lì e che, appunto, si riempie di polvere. La fede è vita. E dunque va trattata come si tratta la vita: alimentata, allenata, custodita, curata… quante cose facciamo al nostro corpo! Quante poche al nostro spirito!

Nell’Apocalisse c’è un’immagine bellissima che illustra perfettamente questo Dio-che-viene. È Gesù stesso a offrircela, come una sorta di autoritratto: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

Gesù, dunque, è alla porta e bussa, alla porta del mio cuore. Bussa. E io mi chiedo: lo so ascoltare questo Gesù che bussa, magari con un’idea, un’ispirazione, una qualche inquietudine?Lo ascolto, gli faccio un po’ di posto, oppure alzo il volume delle cuffie? Occorre stare davvero attenti: cosa sento nel mio cuore quando lui passa e bussa?

L’immagine dell’Apocalisse non è introdotta a caso. Essa, infatti, conclude una delle sette lettere che il Veggente ha spedito alle Chiese, l’ultima, indirizzata «all’angelo della Chiesa che è a Laodicèa». E questa Chiesa ci assomiglia molto: «tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». Ecco, è a questa tiepidezza che Dio dice oggi: «sto alla porta e busso»!

Tiepidezza, ovvero l’accidia…

I padri del deserto chiamavano questa tiepidezza con una parola tecnica, accidia. E che cos’è, si chiedeva papa Francesco in un Angelus di qualche anno fa? E rispondeva: un grande nemico della vita spirituale, anche della vita cristiana. L’accidia è quella pigrizia che fa precipitare, scivolare nella tristezza, che toglie il gusto di vivere e la voglia di fare. È uno spirito negativo, è uno spirito cattivo che inchioda l’anima nel torpore, rubandole la gioia. Si incomincia con quella tristezza, si scivola, si scivola, e niente gioia.

Si tratta di un vizio strisciante, da combattere con grande determinazione, tanto più perché si insinua facilmente nei nostri ritmi forsennati e disumani. Corriamo assurdamente e poi, nel momento in cui non siamo impegnati, ecco che precipitiamo nella noia, nello stordimento, letteralmente incapaci di vivere il momento presente. Pronti solo a rimetterci a correre non appena il padrone lo chiederà.

Quanto ai rimedi contro l’accidia, ci aiuta il monaco del Monte Sinai san Giovanni Climaco: «I miei avversari, dice l’accidia, sono la salmodia e il lavoro manuale; il mio nemico, il pensiero della morte; la mia assassina, la preghiera accompagnata dalla speranza certa dei beni futuri».

In una parola, la vera antagonista dell’accidia è la vigilanza. Il Libro dei Proverbi dice: «Custodisci il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita» (Pr 4,23). Custodire il cuore: questo significa vigilare, vegliare! Siate svegli, custodite il vostro cuore.

Vigilare

Per concludere, possiamo fermarci su questo aspetto decisivo della vita cristiana, atteggiamento cruciale proprio del tempo di Avvento. Dalle parole di Cristo vediamo che la vigilanza è legata all’attenzione: state attenti, vigilate, non distraetevi, cioè restate svegli! Un appello cruciale anche per i giornalisti…

Vigilare significa questo: non permettere che il cuore si impigrisca e che la vita spirituale si ammorbidisca nella mediocrità. Papa Francesco commenta questo rischio da par suo: «Fare attenzione perché si può essere “cristiani addormentati” – e noi sappiamo: ce ne sono tanti di cristiani addormentati, cristiani anestetizzati dalle mondanità spirituali – cristiani senza slancio spirituale, senza ardore nel pregare – pregano come dei pappagalli – senza entusiasmo per la missione, senza passione per il Vangelo. Cristiani che guardano sempre dentro, incapaci di guardare all’orizzonte. E questo porta a “sonnecchiare”: tirare avanti le cose per inerzia, a cadere nell’apatia, indifferenti a tutto tranne che a quello che ci fa comodo. E questa è una vita triste, andare avanti così… non c’è felicità lì».

Abbiamo bisogno di vigilare per non trascinare le giornate nell’abitudine, per non farci appesantire – dice Gesù – dagli affanni della vita (cfr. Lc 21,34). Gli affanni della vita ci appesantiscono. Oggi, dunque, è una buona occasione per chiederci:

  • che cosa appesantisce il mio cuore?
  • che cosa appesantisce il mio spirito?
  • che cosa mi fa accomodare sulla poltrona della pigrizia?
  • quali sono le mediocrità che mi paralizzano?
  • quali sono i vizi che mi schiacciano a terra e mi impediscono di alzare il capo?

Esserci-per-gli-altri

 Il vangelo di oggi ci ha regalato l’immagine intramontabile della casa costruita sulla roccia. Ci ha parlato di costruzione. E, prima ancora, di fondamento e di saggezza. Si tratta di avvisi preziosi per chi si appresta a rimettersi in cammino. La roccia, lo sappiamo, è Gesù. Ma bisogna intenderci su chi sia veramente Gesù, su quale sia il suo segreto. Qui può aiutarci un’intuizione del teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer. La sintetizziamo con una formula a lui cara: esserci-per-gli-altri. È questo decidere di vivere per qualcuno che ci tira fuori definitivamente dall’accidia. Ed è Gesù stesso ad avercelo insegnato con la sua vita meravigliosa.

Gesù, riflette Bonhoeffer nelle sue ultimissime lettere dal carcere, è colui che ha abitato il mondo nel suo stile unico e, per molti aspetti, irripetibile di «esserci-per-gli-altri». È questa, per Bonhoeffer, la vera caratteristica divina, quella dalla quale fioriscono tutte le prerogative che tradizionalmente attribuiamo a Dio: «L’esserci-per-altri di Gesù è l’esperienza della trascendenza! Solo dalla libertà da sé stessi, solo dall’esserci-per-altri fino alla morte nascono l’onnipotenza, l’onniscienza, l’onnipresenza. Fede è il partecipare a questo essere di Gesù» (RR 519-20).

Si tratta di una vera e propria “metafisica rovesciata”. Non un Dio che ci si impone nelle sue supreme qualità divine, ma che ci viene incontro: «Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto ‘religioso’ con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare – questa non è autentica trascendenza –, bensì è una nuova vita nell’“esserci-per-altri”, nel partecipare all’essere di Gesù» (RR 520).

Sta qui il motivo di tutta la nostra gioia, della nostra speranza, della nostra voglia di vivere e di rinnovare il mondo. Il fatto che Gesù ha abitato questo mondo con il suo radicale essere-per-gli-altri ce lo rende degno di essere abitato: è il sì di Dio, il suo amen, che costituisce «il solido terreno sul quale noi stiamo»: «se la terra è stata fatta degna di sostenere i passi dell’uomo Gesù Cristo, se ha vissuto un uomo come Gesù, allora è solo allora per noi uomini vivere ha un senso».

Nel suo produrre un rovesciamento completo dell’essere dell’uomo, il cristianesimo adulto si fa impegno pratico, quotidiano, un servizio concreto e immediatamente identificabile. E, perché no, un vero e proprio compito per il giornalista: «Il trascendente non sono i compiti infiniti, irraggiungibili, ma il prossimo che è dato di volta in volta, che è raggiungibile. Dio in forma umana!» (RR 520).

La riflessione “L’Avvento è una palestra” è di don Alessandro Andreini (consulente ecclesiastico regionale di Ucsi) per l’assemblea regionale dell’Ucsi Toscana del 4 dicembre 2025