Michela Di Trani
Il mondo di oggi è tanto connesso quanto diviso da esclusioni, emarginazioni e povertà. È il paradosso delle nuove tecnologie di comunicazione, le quali accentuano e promuovono la cultura dello scarto. Non è scontato che creino occasioni di incontro e di solidarietà.
L’autoreferenzialità è il rischio di una comunicazione senza l’ascolto dell’altro. Ma la comunicazione è relazione tra le persone. Comunicare significa farsi coinvolgere dalle storie delle persone, entrare nelle loro vite, dare voce a chi non ce l’ha, testimoniare quello che si racconta, accollarsi anche il dolore della persona con cui si entra in contatto.
Raccogliere le storie degli altri o raccontare la propria storia è una modalità di relazione, incontro, solidarietà e condivisione. E allora come portare anche nello spazio della rete l’obiettivo della comunicazione di rendere visibili gli invisibili?
La persona diviene centrale in ogni ragionamento che coinvolge gli operatori della comunicazione. Anche quando si è collegati con uno smartphone bisogna porsi come obiettivo la realizzazione di un dialogo, di un confronto. C’è bisogno di umanità. Non sono gli strumenti a garantire la bontà e la veridicità della comunicazione. Anche i media sono chiamati a prendersi cura delle periferie esistenziali, a dare speranza.
I mezzi di comunicazione devono tornare ad essere al servizio delle persone e non del marketing. Tramite le storie delle persone la comunicazione assolve al suo ruolo di condivisione delle gioie e di solidarietà delle sofferenze delle persone. Il ruolo suo.

