La capitale bavarese è facile da raggiungere, così come il campeggio splendidamente attrezzato che raggruppa, festoso, giovani da ogni latitudine. La babele di lingue diventa musica quando si fonde nei sorrisi di chi ha il mondo in tasca.
Fu così che vedemmo qualche gara a cominciare dalla finale dei tuffi con Cagnotto ingiustamente secondo (e noi sugli spalti a fischiare a pieni polmoni contro la decisione della giuria); poi un incontro di basket coi mitici americani; al termine venimmo intervistati per la Radio di Stato da Nanni Loi in cerca di giudizi alternativi a quelle Olimpiadi “troppo consumistiche e capitalistiche”: concordammo al volo con lui che da quelle parti forse si stava esagerando. Ma se avessimo avuto la sfera di cristallo avremmo detto qualcosa di diverso: quelli di Monaco erano Giochi …da dilettanti rispetto a quelli successivi.
In realtà le Olimpiadi del ’72 colpirono per la tecnologia innovativa, l’organizzazione più che tedesca, l’informatica che avanzava, le architetture avveniristiche ben visibili nella grande torre sede di ogni comunicazione e nel grandioso stadio olimpico. La crescita economica prorompente di quel periodo storico si stava intrecciando con la forte evoluzione del costume e con una non scontata ricerca di nuovi valori. Sì, quelli erano davvero i primi Giochi del futuro; un futuro che però prometteva anche incertezze, contraddizioni e dolori.
I giorni trascorrevano fra impianti sportivi, inevitabili birrerie e incontri nello stand italiano curiosamente e fortunatamente collocato di fianco alla biglietteria centrale: fatto, questo, non secondario perché permetteva ai connazionali in cerca di tagliandi (anche per bagarinaggio) di evitare le code, da noi notoriamente ritenute inutili e dannose.
Era ora di tornare a Ferrara. Ma fu in Liechtenstein, mèta scelta in quanto ritenuta “esotica”, che la radio ci informò dell’assalto feddayn al villaggio olimpico. Tornammo immediatamente indietro. Raggiungemmo la zona rossa, riuscimmo ad avvicinarci esibendo un grande adesivo della Gazzetta di Ferrara (a cui da poco collaboravo) che tenevo sotto il parasole dell’auto. Infine ci posizionammo sulla collinetta che dominava sul villaggio olimpico, dove già prosperavano i venditori di panini e bibite. La calma prima della tempesta: nella notte si svolse il dramma all’aeroporto con 17 morti di cui 11 atleti israeliani. Il giorno dopo eravamo allo stadio olimpico per partecipare al pubblico ricordo delle vittime: un silenzio irreale mentre la storia, in diretta, stampava una delle peggiori pagine del suo libro.
(foto di Alberto Lazzarini)