30 Giugno 2025
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La pace è uno stile di vita. Oggi più che mai, serve ripensare l’educazione, la tecnologia, le istituzioni e la comunicazione in funzione della pace. La pace non nasce da sola, ma è il frutto di una cultura condivisa, di scelte quotidiane

Oltre il rumore delle armi: la pace secondo i giovani

alla ricerca della pace

Francesco Pira

Davvero interessante l’articolo scritto dal ricercatore Enzo Risso e pubblicato su “Il Domani”, dal titolo: “Il disorientamento giovanile di fronte alle guerre e le tante identità della pace. Un’analisi lucida e profonda su come i giovani percepiscono oggi il tema della pace, in un momento storico segnato da conflitti persistenti, disinformazione e nuove tecnologie, usate tanto per costruire quanto per distruggere.

Risso offre uno sguardo sociologico, che intercetta il sentire delle nuove generazioni, disorientate ma non passive, ferite ma ancora capaci di immaginare futuri diversi. La sua riflessione ci invita ad andare oltre la superficie delle guerre per comprendere i nuovi codici culturali, emotivi e politici con cui i giovani si confrontano ogni giorno.

Nel cuore del suo intervento, il ricercatore evidenzia come la visione predominante tra i giovani sia «rappresentata dalla costruzione della pace attraverso il dialogo e l’educazione», sottolineando però anche «l’anima che lega la pace alla giustizia sociale: il rapporto dei più giovani con la pace è molto complesso». Una complessità che riflette non solo l’instabilità geopolitica globale, ma anche un cambiamento più profondo nelle modalità di comprensione, comunicazione e partecipazione alla vita collettiva.

 LE NUOVE FORME DELLA GUERRA

La guerra, oggi, ha assunto nuove forme. «Il conflitto tra Israele e Iran, la strage perpetua e impunita a Gaza, la prepotenza annientatrice russa sull’Ucraina, ma anche la corsa al riarmo dei Paesi europei e lo sviluppo di nuove armi e prodotti micidiali per accaparrarsi il dominio dei cieli, del mare e del cyber spazio sono l’emblema della follia distruttiva che aleggia nei tempi contemporanei». Le parole di Risso risuonano come una denuncia forte e necessaria, che ci pone di fronte a una realtà in cui «il rombo delle armi ha da tempo surclassato le flebili voci del buon senso, della diplomazia, della concordia”».

Viviamo in un’epoca in cui le tecnologie più avanzate – Intelligenza Artificiale, machine learning, algoritmi predittivi – non sono impiegate solo per migliorare la vita collettiva, ma anche per rendere la guerra più “intelligente”, più mirata, più distruttiva.

I droni autonomi, le armi automatiche, il controllo satellitare e la guerra cibernetica rappresentano l’altra faccia della digitalizzazione. In questo contesto, la pace non è più solo una questione politica o filosofica: è una questione tecnologica, etica, umana.

«Non c’è neanche più la classica foglia di fico dell’aggrapparsi a una flebile retorica per giustificare gli atti aggressivi: siamo di fronte al ritorno, in una piena logica di potenza, degli impulsi prevaricatori, giustificati solo con la sfacciata volontà di ottenere quello che si vuole, in quanto si ha il potere e la forza per imporlo». In questa lucida descrizione, Risso coglie il cuore della crisi morale e politica del nostro tempo.

 LA PACE SECONDO I GIOVANI

Eppure, proprio in questo contesto difficile, emergono nuove forme di coscienza giovanile. «Il 35 per cento ritiene che “la vera pace può essere raggiunta solo attraverso il dialogo e la comprensione reciproca”, mentre il 31 per cento crede che “la pace può essere raggiunta solo attraverso l’educazione e la promozione dei diritti umani”».

Non si tratta solo di posizioni ideali, ma di visioni concrete che guardano al cambiamento attraverso strumenti culturali e pedagogici.

Un altro filone importante è quello della pace come processo individuale e comunitario. «Il 22 per cento afferma che “la pace inizia dentro di noi e si estende poi alle nostre comunità e al mondo”; mentre un altro 22 sostiene che “la pace è un processo attivo, personale, non solo l’assenza di conflitto”». Qui la pace viene vista come un’etica quotidiana, un esercizio costante di empatia, rispetto e responsabilità.

Significativo anche il dato relativo alla connessione tra pace e giustizia sociale. «Il 24 per cento ritiene che “la vera pace possa esistere solo in una società senza disuguaglianze economiche”». In un’era sempre più segnata da diseguaglianze e ingiustizie strutturali, questa visione conferma che la pace non può prescindere da una trasformazione profonda delle relazioni socio-economiche.

Nel frattempo, il ruolo delle nuove tecnologie continua a oscillare tra emancipazione e oppressione. Mentre la rete offre spazi di espressione e connessione, è anche veicolo di fake news, disinformazione e radicalizzazione. La piattaformizzazione della società ha accelerato i tempi del discorso pubblico, ma spesso ha sacrificato il pensiero critico sull’altare della viralità.

Tuttavia, un messaggio sociologicamente positivo emerge con forza: i giovani, pur disorientati, non sono rassegnati. La pace, per loro, non è un’illusione romantica, ma un progetto concreto. È qualcosa da costruire passo dopo passo, anche e soprattutto attraverso l’uso consapevole della tecnologia, la valorizzazione delle emozioni, la costruzione di reti solidali.

 LA PACE È UNO STILE DI VITA

In questo senso, la sociologia ci invita a riconoscere nella partecipazione attiva delle nuove generazioni un elemento decisivo per ripensare la convivenza civile. La pace, infatti, non è solo un traguardo ma uno stile di vita, un modo di stare nel mondo.

Risso coglie anche le voci dissonanti, minoritarie ma rivelatrici. «Il 20 per cento considera “la pace globale un’utopia irrealizzabile data la natura umana”». Un realismo crudo, ma che non cancella l’impegno di chi, ogni giorno, edifica reti di fiducia, si oppone alla violenza, sperimenta pratiche educative non violente.

Nel contesto attuale, in cui persino l’Intelligenza Artificiale viene impiegata per automatizzare la morte, diventa fondamentale rilanciare una cultura etica del limite, della cura e del rispetto. Non basta osservare i fenomeni: il compito dell’analisi sociale è anche quello di generare consapevolezza e orientare l’azione verso un futuro più giusto e umano.

A questo proposito, non possiamo ignorare le parole di Papa Leone XIV, che ricordano quanto la pace non sia un lusso ma una responsabilità collettiva: «È veramente triste – afferma il Papa – assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti!

Di fatto, se è vero che il presente che viviamo è attraversato da molteplici forme di violenza, è altrettanto vero che ogni epoca genera anche gli strumenti per contrastarla. Oggi più che mai, serve ripensare l’educazione, la tecnologia, le istituzioni e la comunicazione in funzione della pace. La pace non nasce da sola, ma è il frutto di una cultura condivisa, di scelte quotidiane, di gesti concreti. Costruire la pace è dunque una sfida che riguarda tutti, ma soprattutto chi ha il coraggio di immaginare un domani diverso.