4 Febbraio 2014
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ONORE OFFESO E LIBERTÀ DI STAMPA’: L’E-BOOK DI OSSIGENO PER L’INFORMAZIONE. INTRODUZIONE DI ZAVOLI

Onore-offeso copertina-222x300“In Italia è possibile bloccare con facilità notizie scomode e inchieste sgradite e guadagnarci dei soldi usando come pretesto la privacy e la reputazione. È solo uno dei gravi abusi consentiti dalla legislazione italiana sulla diffamazione a mezzo stampa in vigore in Italia da 66 anni che da decenni si cerca invano di adeguare alle effettive esigenze e agli standard europei”. Si apre così, sul sito Ossigenoperlinformazione.it, la presentazione di Alberto Spampinato all’e-book sulla diffamazione ‘Onore offeso e libertà di stampa’, realizzato da Ossigeno con il sostegno dell’Associazione stampa romana.
Una pubblicazione – di cui Spampinato è curatore – che vuole documentare il rapporto tra giornalismo e diffamazione dal punto di vista storico, giuridico, legislativo e fornisce esempi dei danni subiti da centinaia di giornali e giornalisti. Fa il punto, inoltre, sulla riforma legislativa da mesi all’esame del Senato e offre il testo integrale degli ultimi richiami rivolti dalle istituzioni europee, dall’Osce, dal Consigio d’Europa, dalla Corte Europea e dal Comitato dei diritti umani dell’Onu al Parlamento italiano.
L’introduzione è firmata da Sergio Zavoli, presidente onorario di ossigeno per l’informazione, e tra gli interventi ci sono quelli di Giulio Anselmi, Laura Boldrini, Paolo Butturini, Pietro Grasso e Giuseppe F. Mennella, che si affiancano a saggi e testimonianze dirette di molti giornalisti italiani che ogni giorno sono ostacolati nello svolgimento della professione.
L’ebook inaugura la collana ‘Quaderni dell’Informazione’ di Melampo Editore ed è disponibile su Bookrepublic a 3,99 euro.
QUESTA L’INTRODUZIONE DI SERGIO ZAVOLI: LE INTIMIDAZIONI E L’ONORE DEL GIORNALISMO
Una norma costituzionale ci ricorda che il libero esercizio dell’informazione è uno dei diritti primari in una società democratica, e una modica sapienzialità ci avverte che “essere informati è la prima possibilità di farcela!”.
Fare buon giornalismo richiede non solo volontà di partecipare a ciò che cambia, ma anche sentirsi eticamente capaci di adeguare le scelte ai principi. Conosco tanti colleghi giornalisti che ne sono stati capaci anche in circostanze difficili: giornalisti che hanno tenuto la schiena dritta, sia che avessero l’ambizione di praticare non l’equidistanza neutrale ma l’imparzialità, sia che scegliessero d’essere di parte, restando però immuni da ogni servilismo. Sono loro l’onore del giornalismo. Insieme a loro, e prima ancora, rappresentano l’onore del giornalismo tutti coloro che per coerenza hanno pagato prezzi ben più alti. Penso ai giornalisti uccisi, penso a quelli che devono vivere sotto scorta e a quelli che raccontano verità scomode e per questo subiscono aggressioni, minacce, intimidazioni e attentati. Il loro esempio onora il giornalismo e non può essere oscurato, né può essere screditato dalla condotta di coloro che occorre ricondurre al rispetto delle regole essenziali della professione. Per questo non servono decaloghi e censure: è sufficiente la forza morale degli esempi di segno opposto che, anche per questo, devono essere ricordati.
Il giornalismo non vive una stagione felice. Ma non c’è ragione di arrendersi al pessimismo: risolveremo i problemi e continueremo a crescere grazie ai problemi che dovremo risolvere. Non saranno le parvenze e le illusioni a farci diversi, ma la percezione e la coscienza di ciò che, cambiando, ci cambia; e sapendo che domani si potrà ancora cambiare questo mondo cambiato. Cambiato anche da noi, i cosiddetti comunicatori.
L’informazione è un fattore cruciale di crescita civile e culturale, politica ed etica e deve essere all’altezza del suo compito. Correlata fino a ieri alla mera conoscenza dei fatti e degli eventi, essa è sempre più responsabile del loro mutare ed evolversi secondo il modo in cui vengono comunicati: non soltanto per l’antico, endemico e irrisolto problema della distorsione dolosa della realtà, ma anche per quello della trasformazione del reale dovuta, anche senza dolo, ai mezzi per comunicarlo e ai modi di esprimerlo. L’informazione, per la sua sempre più veloce pervasività, condiziona ormai da tempo le cose del mondo con la stessa forza dell’economia; talché, azzarda qualcuno, oggi si vincono più battaglie usando il medium per eccellenza, che tessendo diplomazie o dispiegando strategie politiche o finanziarie.
È apparso chiaro quando ci siamo trovati al centro di uno scenario imponente e drammatico, che ha visto non solo cadere i Muri, ma precipitare montagne di errori, di colpe, di crimini. In un cumulo di macerie ideologiche abbiamo trovato rivoluzioni scoppiate per una giustizia senza libertà, persecuzioni e stragi contro etnie, culture e religioni, uguaglianze senza diritti, migrazioni e razzismi, ricchezze nascoste e miserie urlanti; e poi, disseminati sul pianeta, archi trionfali di cartapesta, miti insanguinati, iniquità note e impunite! Tutto in un’epoca che, a partire dal baleno di Hiroshima – in una perdurante eco di ideali confusi, malintesi, sfigurati – culmina in quell’11 settembre del 2001 che ha segnato un’altra data cruciale per l’umanità: alle prese con il più sconvolgente dei progressi, più che mai decisa a discutere le logiche della Natura e di Dio, della Storia e delle Ideologie, della Scienza e della Tecnica, che prendono per sé tanta parte della nostra vita.
Penso alle esperienze vissute dalla mia generazione non per giudicare secondo i suoi indeboliti valori, ma per dire, realisticamente, che la storica occasione di un radicale rinnovamento anche mediatico non è stata colta appieno; e molto, anzi, si è contratto, chiuso, in qualche caso perduto.
Come affrontare, giornalisticamente, una realtà in cui campeggia la crisi del primo sentimento civile, la cittadinanza, dove si va perdendo il senso dell’altro, della comunità, l’idea che il bene pubblico, in fin dei conti, è noi stessi? Bisogna riscoprire il senso della reciprocità. «Il tempo della reciprocità – aveva avvertito lo storico Fernand Braudel, parlando del ruolo nuovo dell’informazione – è più che alle porte. Dobbiamo lasciare che ci invada; opporvisi è accettare la divisione, lo scontro, la perdita della condivisione e della pace». Un messaggio cui ci siamo intellettualmente dedicati con qualche ritardo culturale, etico, politico, pur trattandosi di un punto centrale delle nostre mediazioni possibili.
Conoscere, discutere e scegliere. Dovrebbero essere sempre questi i sentimenti di chi fa informazione. I giornalisti devono fare il loro lavoro rispettando la parola, non devono creare atmosfere ma consapevolezza, perché tutto quello che i giornalisti dicono comporta una responsabilità enorme. In democrazia ognuno di noi ha la responsabilità di fare la propria parte. (FNSI,PRIMA)
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