11 Maggio 2013
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SCUOLA UCSI A FIUGGI: INTERVENTI DI ALBANESE, MOCELLIN E SPRINGHETTI

mocellinLa questione dell’informazione religiosa ha interessato la mattinata del secondo giorno dell’Alta Scuola di formazione organizzata dall’Ucsi ed in corso a Fiuggi sino a domenica. Sul problema sono intervenuti il direttore di Popoli e Missione, Don Giulio Albanese, la giornalista Paola Springhetti ed il redattore capo attualita’ de Il Regno, Guido Mocellin.
Don Giulio Albanese, direttore Popoli e Missione, ha messo in evidenza che oggi c’e’ poco giornalismo sociale. Anzi, ha sottolineato, la notizia che non e’ tra le notizie e’ quella sociale. Manca nell’informazione il senso della solidarieta’ e della sussidarieta’. Il giornalismo cattolico, in genere, invece, e’ molto piu’ attento a queste problematiche. Don Albanese ha poi ricordato le sue esperienze missionarie soprattutto in Africa dove, ha detto, contrariamente a quello che si legge sui giornali le guerre in atto non sono religiose ,ma squisitamente economiche. Sono territori ricchi sfruttati da poche persone mentre la popolazione vive nella miseria
La giornalista Paola Sprighetti ha sostenuto, in particolare che Oggi l’informazione scoiale è una specie di riserva indiana in cui i cittadini impegnati nel terzo settore, nella società civile e nella difesa dei diritti umani propongono temi, storie e dati che vengono abitualmente ignorati, o quasi, dai media generalisti, i quali se ne occupano solo in occasione di gravi casi di cronaca, per lo più nera, e sono centrati più sulla politica (un politica che ha perso i contatti con le società) o su varie fatuità. Così succede che si parla per giorni dei femminicidi, senza dire che, sui territori, i centri antiviolenza – che potrebbero fare prevenzione – stanno chiudendo per mancanza di finanziamento. In realtà il “sociale”, comunque lo si voglia intendere, è parte della vita dei cittadini, anzi è la loro vita. Quindi l’informazione sociale non è solo quella che viene dal non profit, e neanche solo quella che ha per tema le questioni sociali vecchie e nuove o che ha lo scopo di sensibilizzare ad alcune cause.
L’informazione sociale – ha aggiunto – è quella che, come ha scritto Gaia Peruzzi, “muove la storia dei diritti”, perché esprime i dibattiti, le sperimentazioni e le proposte che nascono nei mondi sociali e poi diventano motore di innovazione culturale, legislativa ed anche economia per tutto il Paese. È nel sociale che vengono elaborati temi che poi tracimano nei media generalisti e arrivano all’opinione pubblica. È successo con la chiusura dei manicomi negli anni ottanta, con l’abbattimento delle barriere architettoniche, con i temi ambientali, con la raccolta differenziata, l’acqua pubblica, slow food, energie rinnovabili e anche con macrotemi come la critica al neoliberismo e all’impero della finanzia internazionale. Dentro la società civile ci sono persone e gruppi che selezionano temi e fonti, li coltivano, ci costruiscono attorno progettualità, poi finalmente i grandi media li lanciano e li mettono alla portata di un’opinione pubblica, spesso già sensibilizzata dal lavoro certosino e virale. Quando si crea questa spirale positiva è una buona cosa, ma spesso non succede o succede troppo tardi.
La storia è fatta di idee innovative: se l’informazione – ha concluso – fosse più professionale, meno commerciale e maggiormente al servizio del cittadino, saprebbe coglierle là dove nascono, cioè, spesso, nel sociale. Dietro ogni cambiamento c’è un movimento poderoso di elaborazione e anche diffusione di idee, che i media abitualmente ignorano. L’informazione sociale è quella che ci spinge avanti sulla strada della tutela dei diritti, e quindi della qualità della vita.
Il redattore capo de Il Regno, Guido Mocellin ha sostenuto che sui grandi mezzi la gestione della “notizia religiosa” – considero tale qualunque articolo che contenga riferimenti religiosi in una densità sufficiente a farli emergere nella titolazione – va sempre più separandosi dallo specialista, l’informatore o giornalista religioso – cioè specializzato in temi di religione: lo chiamerei “religionista” –, che sempre più è solo uno dei membri di una squadra dove giocano anche figure molto diverse, compresi giornalisti non specializzati che tuttavia, stando al desk tutto il giorno, cucinano notizia religiose senza avere una sufficiente cultura religiosa. E dove anche l’ “allenatore” – chi decide cosa va in pagina e cosa no, e con quale evidenza – è spesso lontano da questa realtà e da questa cultura.
Se l’informazione religiosa è in tal modo generalizzata – ha aggiunto – diventa importante la capacità – naturale o indotta – degli uomini e delle istituzioni che rappresentano le Chiese e le altre religioni di ottenere l’attenzione del sistema dell’informazione, magari attrezzando moderni ed efficienti uffici-stampa. Anche se tale capacità non esime dal subirne la riduzione a stereotipo. Così i sacerdoti – ha concluso – impegnati con le loro organizzazioni sul fronte dell’emarginazione sociale, ma trasformati in solitari e un po’ donchisciotteschi “preti-coraggio”, o anche “scomodi” (a sottolinearne il profilo anti-istituzionale: l’archetipo direi che è don Milani); così quegli uomini di Chiesa, pochi per la verità, che appaiono particolarmente adatti a intervenire nei talk show televisivi, da Porta a orta (che come saprete pretese l’esclusiva della morte di Giovanni Paolo II, anche se poi ne fece un pessimo uso) a L’Infedele, da Servizio Pubblico a Ballarò. (UCSI)