11 Maggio 2024
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Serve ancora la giornata delle comunicazioni sociali?

Serve davvero ogni anno celebrare questa giornata delle comunicazioni sociali? La domanda, volutamente provocatoria, me la rivolse un giorno un carissimo amico, un giornalista più esperto di me. Certo, lui conosceva la risposta (sì, senza dubbio), ma quel suo interrogativo era in grado di soscitare in me ulteriori domande. E, in fondo, di migliorarmi.

Antonello Riccelli

Perché la giornata di oggi serve solo se genera frutti, se ci consente davvero di fermarci a riflettere su quello che facciamo, di guardare alla luna e non al dito, di creare rete (come scrive qui a fianco don Stefano Cascio) senza chiuderci nel nostro ‘fortino’.

Quel giornalista aveva attraversato almeno tre ere della nostra professione e aveva potuto misurare ogni volta l’impatto di un messaggio (quello dei pontefici) in una categoria (la nostra) sempre più distratta e anche un po’ autoreferenziale. Ancora oggi, nel mezzo di una crisi professionale senza precedenti, le parole del Papa possono essere “acqua che scorre sulla pietra” o “acqua che quella pietra la incide davvero”.

Da parte sua, papa Francesco, come emerge con grande evidenza nei tanti commenti del libro “ComunIcare” curato da Vincenzo Varagona e Salvatore Di Salvo, ha sempre colto nel segno, affrontando i temi più caldi e di rilievo per l’informazione e i giornalisti.

Oggi pone l’accento sull’utilizzo sempre più pervasivo, nelle nostre redazioni, dei sistemi automatizzati (l’intelligenza artificiale) che sta prospettando un futuro ancora più incerto. Per due ragioni: riduce l’occupazione (i dati sono sotto gli occhi di tutti) e compromette la qualità del giornalismo.

Con meno giornalisti e con un giornalismo peggiore rischiamo davvero di arrivare all’apice di quella disintermediazione di cui parliamo ormai da anni. E che probabilmente (penso io, perché lavoro da trent’anni in questo settore) è cominciata con la crescita tumultuosa e disordinata delle emittenti televisive locali, negli anni Ottanta e Novanta. Già allora, in quel far west dell’etere, cominciarono a saltare qua e là le mediazioni tradizionali, quelle dei giornalisti veri (e con un contratto). Si realizzò una ibridazione mai vista prima fra informazione e spettacolo, le notizie spesso non le dava più il giornalista ma l’intrattenitore, il presentatore di turno.

Quello fu il segnale di ciò che poi è accaduto negli anni seguenti. Ci furono moltissime lodevoli eccezioni, in particolare nell’editoria cattolica, ma la direzione ormai era segnata. Quella tendenza si è cristallizzata con l’avvento del web e dei primi portali d’informazione. Ed è letteralmente esplosa con i social e, adesso appunto, con l’applicazione dell’intelligenza artificiale. Con una aggravante: prima perlomeno consumavamo tutti la suola delle scarpe, ora divoriamo voracemente i nostri monitor sulla scrivania.

Papa Francesco ci sollecita ad inquadrare il problema e ad affrontarlo con realismo e slancio, oltre l’ostacolo. Parlando dell’empatia, dell’umanità, del cuore. E rilanciando le grandi domande che sottendono al dominio delle macchine: chi le governa? E come, con quali criteri? Ma, soprattutto, quali effetti sta provocando tutto questo sull’uomo e sul pianeta?

Ecco perché questa giornata serve ancora, diro oggi a quel mio amico, perché mi ha consentito di pensare un po’ sul senso di quello che faccio ogni giorno, dalla mattina alla sera.