2 Giugno 2019
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Una esperienza concreta per abitare i social e con essi creare comunità

Sul tema 'Fare comunità in Rete' riportiamo anche l'interessante intervento di Martina Ricci, dottoranda e animatrice del gruppo di 'pastorale universitaria' di Firenze.

Martina Ricci

Martina Ricci

Qualche piccolo pensiero per entrare in questa Rete, troppe volte complicata ma allo stesso tempo densa di tante possibilità; una Rete dentro la quale dobbiamo saper dischiudere finestre su panorami ignoti, e quindi intuire orizzonti nuovi.

Inizio con una citazione di Shakespeare: “The time is out of joint”. Il tempo si è scardinato, si è spezzato. Siamo nel XVII secolo. E ancora oggi possiamo affermare di vivere un tempo non lineare, ma in grado di allacciare relazioni tra passato e presente e raccontare la storia.

I social media sono bellissimi palcoscenici sui quali mettere in scena le nostre vite, i nostri profili, il meglio di noi stessi. La domanda che sorge è: sono solamente una facciata di cartapesta? Qual è il rapporto tra tempo, vita, relazioni e Social? Molte volte siamo vicini, contigui… ma disconnessi. È veramente colpa dei media questa nostra incapacità di stare insieme?
Se ci pensiamo bene, i media, in realtà, hanno sempre modificato il nostro rapporto con il tempo.(…)

Possiamo dire che il “medium” introduce nuove proporzioni, muta gli schemi e i comportamenti propri della vita comune, andandone a ridefinire i lineamenti.
Quindi, sono proprio gli smartphone a renderci incapaci di sopportare i “tempi morti”, che riempiamo continuamente con immagini, messaggi! Siamo vicini, ma lontani…
Per aprire delle riflessioni su questo tema è importante capire in che modo viviamo, per non dare ai Social colpe che non sono loro. È vero: i social media amplificano, rimbalzano; sono palcoscenici che mettono in scena la realtà ma, in qualche modo, la realtà stessa si costruisce attraverso un dialogo con i Social.

David Sarnoff, creatore della prima radio americana all’inizio del ‘900, sosteneva: “In se stessi i prodotti della scienza moderna non sono né buoni né cattivi: è il modo in cui vengono usati che ne determina il valore”.

Siamo inseriti in una vita frenetica, in una sorta di “falso movimento”, come un criceto che corre nella ruota, piuttosto che di un popolo in cammino. Penso a noi giovani universitari: le lezioni, gli esami, la casa, la spesa. Ogni giorno corriamo da una parte all’altra. Questo ci fa tendere ad una vita individualistica...

“È colpa dei social media” perché: non siamo più attenti; non abbiamo più relazioni autentiche; siamo portati a dare un’immagine falsa di noi stessi; ci disconnettiamo dalle relazioni con un clic, etc, etc. Questa in realtà è una scorciatoia molto comoda, ma molto scorretta. Ed è anche sbagliato dire “dipende da come usiamo questi mezzi”. In realtà, dipende da come viviamo, da ciò che per noi è vita.
Spesso sentiamo dire che i social media non sono più strumenti ma ambienti. Questo vuol dire che anche se noi non abbiamo uno smartphone, un profilo Facebook… tutto questo fa parte del mondo in cui viviamo. Così come, anche se non abbiamo la patente, viviamo in città che sono costruite, organizzate per far scorrere le automobili.
Per abitare non si può prescindere da come il luogo è costruito. Quanti disastri sono successi perchè l’uomo ha costruito senza ascoltare, senza rispettare, senza tener conto dei vincoli che l’ambiente poneva.
Quindi da una parte ci dobbiamo adattare, dall’altra dobbiamo trasformare mentre ci si adatta. Ed è proprio il modo in cui riusciamo ad abitare questa tensione che diventiamo attivi e creativi (…)

Tocca a ciascuno di noi a fare la propria parte, cambiare qualcosa, per far sì che non sia tutto finito.
La parola chiave è la comunità: questo è il respiro, il criterio, l’orizzonte a cui guardare e a cui finalizzare le nostre iniziative; un orizzonte che porta a lasciarsi interrogare dalla realtà, a intuire e formulare nuove proposte per le mutevoli necessità che si presentano.

In questo contesto siamo obbligati a non ripetere semplicemente lo stesso sentiero, ma a proseguirlo, sviluppandone nuovi tratti: come ci ricorda l’Evangelii gaudium, si tratta di «abbandonare il comodo criterio pastorale del si è sempre fatto così» per far diventare «quel patrimonio di esperienze preziose» che siamo, una «spinta verso il futuro».

I social media sono strumenti che, se ben utilizzati, vanno incontro alle persone, costruiscono alleanze. E questo è proprio quello che facciamo con il nostro impegno nella ‘Pastorale Universitaria’: costruire alleanze, costruire fraternità (…)

Ogni domenica, alla fine della messa degli universitari, pubblichiamo un brevissimo video di un minuto, un minuto e mezzo sul Vangelo della domenica. Lo chiediamo al prete che quella domenica ha celebrato la Messa. Si tratta di una modalità molto semplice, che permette di entrare (o restare) in contatto con una realtà, una comunità; di portare una parola, ovvero la Parola, anche ai più lontani.

Un altro appuntamento è il #mercoledìuniversitario. Che cos’è? Come nasce?
Come tutti sappiamo, per incrementare la visibilità di una pagina o di un profilo sui Social, è necessario creare dei post che stimolino condivisioni, like e commenti. Inoltre, è importante concentrarsi sulla qualità piuttosto che sulla quantità, perché poi quest’ultima rischia di annoiare l’utente.
Da qui è nata l’idea di lanciare un hashtag, cioè un “hash” (cancelletto) e “tag” (etichetta). A cosa servono? Servono appunto per creare etichette utili a circoscrivere il topic di una conversazione, e quindi di fornire delle precise coordinate spazio-temporali.

E anche quello di intrecciare più canali. Se infatti cerchiamo su Facebook, Instagram la parola #mercoledìuniversitario, il 90% dei post, quasi sicuramente, è associato a un party o ad una festina infrasettimanale per universitari. Ecco allora il tentativo di intrecciare queste realtà…
Quello che proponiamo sono dei post che suscitano riflessioni profonde sul senso della vita, sul proprio “pellegrinare”.

Una brevissima frase tratta da un libro, un’immagine evocativa e una parola. Quest’anno, ad esempio, tramite padre Giovanni Vannucci, con “Parole che cambiano la vita”, abbiamo meditato su quali siano le caratteristiche dell’uomo religioso. Siamo poi passati alle riflessioni di Aldo Martin, con “Fede come amicizia”, sulle relazioni con Cristo; infine, ora, stiamo camminando con i “Racconti di un pellegrino russo”, riguardo alla pratica della preghiera del cuore.

Gli anni dell’università sono anni di grande formazione, durante i quali è fondamentale coltivare la propria umanità.
Abitare un ambiente sano, sentirsi dentro una casa comune, condividere con i giovani di altre facoltà, tessere legami autentici e profondi, assaporare la bellezza del sacerdozio tramite i preti che vivono con noi. È questo ciò che traccia solchi di bellezza e di amore in ognuno di noi.
Non dobbiamo sottovalutare i Social, ma piuttosto abitarli! Trovare modalità originali, autentiche, capaci di creare connessioni. Tanti giovani si sono affacciati per la prima volta alla messa solo perchè raggiunti attraverso i Social. Un amico che mette un “like” o condivide un post… è ciò che serve per moltiplicare la notizia, per arrivare ad un altro.

La sfida della libertà è quella di essere capaci di avere occhi per vedere al di là delle logiche intrinseche di queste piattaforme. Ad-venire, ovvero a partire dal futuro che ci viene incontro, è possibile generare tanta novità, tanta sorpresa, tanta bellezza.
Il fatto che il tempo sia uscito dai cardini non è solo negativo. Possiamo cercare di costruire nuove architetture, più leggere, più ospitali.