La speranza oltre le sbarre. Il libro di Trentini e Gronchi presentato e discusso a Palermo

Vuoti a perdere” il cui silenzio è un frastuono che va ascoltato, perché nessuno possa più dire “non sapevo che la mafia fosse un male”. I primi sono i “mostri” da prima pagina, I killer della mafia. Quelli che, dal 41 bis del carcere di Sulmona, il cosiddetto “carcere dei suicidi”, per la prima volta si raccontano alla giornalista della Rai Abruzzo Angela Trentini nel libro “La speranza oltre le sbarre” scritto insieme al teologo sistematico Maurizio Gronchi e presentato e discusso, il 29 maggio, a Palermo in occasione dell'incontro formativo “La Carta di Milano: il linguaggio dei media. La Speranza oltre le Sbarre” che si è tenuto presso la sede dell'Ordine dei giornalisti di Sicilia. Ad organizzarlo lè stata l'Ucsi.

“Parte dalla Sicilia – sottolinea Domenico Interdonato, presidente Ucsi Sicilia – il messaggio dei giornalisti, credenti e non, quello di un cambiamento culturale profondo che sappia guardare con occhi diversi il crimine e l'uomo criminale. Dopo essere andati dietro le sbarre, in occasione del convegno all'interno del carcere di massima sicurezza di Brucoli insieme al gesuita Francesco Occhetta, siamo andati 'oltre le sbarre' e anche oltre i confini siciliani”.

Un libro uscito non a caso il 10 maggio. Il giorno successivo alla pubblicazione della lettera dei Vescovi di Sicilia che, 25 anni dopo, ha voluto ricordare quel “Convertitevi” urlato da Papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento. Una lettera in cui si ricordano, tra l'altro, le sue parole pronunciate due anni dopo: “la mafia – affermò il 22 giugno 1995 – è generata da una società spiritualmente incapace di riconoscere la ricchezza della quale il popolo siciliano è portatore”. Un vero e proprio deficit culturale, scrivono i vescovi, che va affrontato, dunque, con l'educazione alla giustizia e la misericordia.

Un passaggio, questo, in cui il libro si inserisce perfettamente. Nessuno scoop né perdonismo, ma un'approfondita analisi introspettiva dei condannati che scava a fondo in quelle problematicità che possono essere risolte solo e soltanto attraverso un profondo cambiamento culturale. Una visione che Fiammetta Borsellino ha voluto vivere in prima persona incontrando in carcere due dei killer di suo padre: Filippo e Giuseppe Graviano: “un percorso che intendo continuare – ha affermato – perché è importante sia per me che per loro”.

Ecco perché nell'incontro di Palermo c’era anche Maria Falcone, da sempre in prima linea nella formazione e l'educazione dei giovanissimi cui da anni si rivolge con parole ed iniziative perché nessuno di loro possa più dire “non sapevo che la mafia fosse un male”.

In mano un registratore e un libricino di Papa Francesco: è iniziata dunque così l'inchiesta divenuta li libro che mette a confronto le voci di chi ha ucciso e di chi sconta ancora il dolore di quella perdita: i parenti delle vittime.

Sei assassini, tra cui proprio quelli dei giudici Falcone, Borsellino e Livatino; sei “vuoti a perdere”, come li ha definiti il coautore del libro, il teologo Maurizio Gronchi, verso cui “ogni forma di pietismo sarebbe soltanto inutile, senza contare che si farebbe un torto anche alle vittime delle loro azioni e il dolore delle vittime è da tenere sempre ben presente”. “Non un'inchiesta tra chi è stato ai vertici di organizzazioni criminali che hanno segnato il corso del nostro Paese – precisa Angela Trentini, che è anche presdiente dell’Ucsi in Abruzzo -. Piuttosto il resoconto di un incontro, un vero e proprio contatto con l'Uomo-Criminale: lo si guarda in faccia e si ascoltano le sue parole, lo si aiuta a riconoscere la sua coscienza ma senza idealizzare, senza sottintendere alcuna indulgenza”.

Allora perché dargli voce? Perché come ricorda Nando dalla Chiesa, si faccia proprio il monito dell'attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ai funerali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa affermò: “la mafia vuole il silenzio, la mafia uccide anche grazie al silenzio”.

Il silenzio di vite in qualche modo “segnate”, come quella di Domenico Ganci, figlio del boss Raffaele Ganci che proprio degli omicidi di Falcone e Borsellino fu uno dei mandanti che senza cercare comprensione si racconta come un uomo convinto delle scelte fatte perché le uniche scelte possibili:
Tra le testimonianze raccolte dalla Trentini anche quelle di due degli assassini del giovanissimo Rosario Livatino, freddato mentre andava a lavoro il 21 settembre del 1990 e per cui è oggi in corso il processo di beatificazione. All'epoca 38enne, il “giudice ragazzino” privo di scorta perché non voleva mettere in pericolo la vita di padri di famiglia, rivive anche attraverso le voci di chi, per lui, non ebbe alcuna pietà. Accade con Domenico Pace e la lettera olografa scritta a Papa Francesco e consegnata ad Angela Trentini “per raccontare chi ero e chi penso di essere oggi”; anche anche con Gaetano Puzzangaro, “a Musca”, esecutore materiale del brutale assassino che racconta le sue “sciagure scelte” affermando di avere “il dovere morale di espormi come esempio fallimentare per tutti quei giovani che pensano di trovare nella criminalità organizzata eroismo, successo, soldi facili, rispetto”.

Non un libro sull'indulgenza, ma sulla conoscenza degli uomini e dei fenomeni che li hanno resi “mostri” da prima pagina. Parafrasando Primo Levi “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Ancora una volta un forte legame con la lettera dei Vescovi Siciliani del 9 maggio che ricorda, tra le altre, le parole di uno dei preti vittime della mafia Pino Puglisi. Fu lui, il 20 agosto del 1993, a rivolgersi proprio a chi lo minacciava: “parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi cerca di educare i vostri figli ai valori della cultura e la convivenza civile”.
Voce cui si aggiunge, in occasione dell'incontro palermitano, quella del consigliere nazionale dell'Ucsi Salvatore Di Salvo: “vogliamo focalizzare l'attenzione sul dibattito riguardo pena e riconciliazione proprio partendo da questa terra martoriata dalla criminalità: la Sicilia”.

Le voci di cui parlava Pino Puglisi, ne “La Speranza Oltre le Sbarre”, parlano dunque per la prima volta e si confrontano con di chi porta dentro un dolore incancellabili, i partenti delle vittime. Si rompe così il silenzio di quei “vuoti a perdere – sottolinea Gronchi – condannati a vivere lo stesso giorno all'infinito, ad abitare e a condividere una dimensione in cui drammi e miserie collettive, convivono con desideri e speranze individuali di riscatto”. Un riscatto che non è solo il loro, ma che “riguarda ognuno di noi”.

Ultima modifica: Mar 29 Mag 2018

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