1/1 - Una vera lettera per l'anno che verrà.
Si parlerà, in questo 2018, di rivolte giovanili (di quando pareva scontato che un giovane avesse voglia di ribellarsi) e di una “carta” che in molti appellavamo “la più bella del mondo”. Si ricorderanno i “tre papi”: uno morto di crepacuore, l’altro morto troppo presto, il terzo pronto a cambiare la Storia.
Ci si interrogherà davanti all’assassinio di un uomo “buono, mite, saggio, innocente ed amico” che poteva essere salvato ma, in un misto di cinismo e misteri, venne ucciso con la connivenza di parti di quello Stato per il quale lui fu uno dei pochi a potersi definire “statista”.
Per qualcuno, chi scrive compreso, sarà un rimando tondo al piccolo tondo d’oro, chiamato “fede”, che si porta all’anulare sinistro e che, con il passare degli anni, su quel dito scava una fossetta.
Si rifletterà (verbo impegnativo) sulla fine di una “inutile strage”; chi ha passione per la politica non si farà scappare il “18 aprile”. E così via, in una alternanza fra pagine vecchie e nuove che affascina e spaventa.
Per noi giornalisti l’anniversario è tondo a metà: la legge sull’Ordine di anni ne fa 55. Allora le norme le scrivevano con eleganza: da gustare quel continuo equilibrio a cui siamo chiamati, nella professione, fra un “diritto insopprimibile” e un “obbligo inderogabile”, fra “la libertà di informazione e di critica” e il “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Di anni Tiziano Terzani ne avrebbe compiuti 80. E di lettere lui ne scrisse anche sulla guerra.
Già: le lettere. Nessuno oggi più ci si affida. Troppo difficili, lente, impegnative. Da piccolo, a Natale, me ne facevano scrivere due, entrambe furbine: al Bambino e alla Befana. Quando presi la patente, mio babbo, carabiniere, affidò a una lettera, deliziosamente scritta come un verbale, i più elementari consigli su come guidare un’auto. Quando mi innamorai, quelle poche decine di chilometri che ci separavano erano colmate da un flusso di lettere: centinaia nei sette anni di “fidanzamento”. Da quando è nata la prima nipote affido pensieri quotidiani, su vicende private e fatti pubblici, a un diario. Che mi serve anche per non disimparare del tutto, nell’era delle tastiere, a scrivere con la penna.
Dunque che lettera posso scrivere oggi se non quella per chiedere di tornare a scrivere ... lettere?
In un tempo dominato e forse vinto dalla velocità, che non a caso fa rima con superficialità, riprenderci il tempo per scrivere più lento, articolando pensieri e non solo slogan, forse non sarebbe male. E forse, anche come giornalisti, aiuterebbe a capirci qualcosa di più.
Torna in mente il troppo presto dimenticato Alex Langer, con il suo invito a superare il motto olimpico (“citius, altius, fortius: più veloce, più alto, più forte”) con una concezione alternativa (“lentius, profundius, suavius: più lento, più profondo, più dolce”). E se avesse ragione lui?
Lasciò un invito (tenero. Anche per l’uso dell’imperfetto) a continuare in ciò “che era giusto”. Di lui, in questo 2018, non si celebrano anniversari tondi. Meglio.