Rapporto Censis-Ucsi: i media e il nuovo immaginario collettivo

Il sistema dei new media digitali non ha solo ridefinito i nostri orizzonti spaziali e temporali, le nostre attese e priorità, ma ha anche contribuito a ricodificare di fatto il nostro rapporto con la realtà, influenzando la formazione dell’immaginario collettivo, mutando percezioni e narrazioni dominanti: i valori di riferimento, i simboli, le icone, i miti della contemporaneità, insomma lo spirito del tempo. Decolla la mobile tv, la radio si conferma ancora ai vertici delle preferenze degli italiani ma manca ancora l'integrazione dei quotidiani nel mondo della comunicazione digitale.

La grande novità dell’ultimo anno è rappresentata dalle piattaforme che diffondono servizi digitali video e audio, come ad esempio Netflix o Spotify. Oggi l’11,1% degli italiani guarda programmi dalle piattaforme video e il 10,4% ascolta musica da quelle audio. Il dato è più elevato tra le persone più istruite, diplomate e laureate (rispettivamente, il 14,1% e il 13,3%), e praticamente raddoppia tra i più giovani: il 20,6% degli under 30 si connette ai servizi video e il 22,6% a quelli audio. Le distanze tra i consumi mediatici dei giovani e quelli degli anziani continuano a essere rilevantissime, con i primi convintamente posizionati sulla linea di frontiera dei new media e i secondi distaccati, in termini di quote di utenza, di decine di punti percentuali.

Decolla la mobile tv, che ha raddoppiato in un anno i suoi utilizzatori (passati dall’11,2% al 22,1%). La televisione perde il 2% rispetto allo scorso anno ma resta la regina dei media con il 95,5% di spettatori rispetto al totale della popolazione. La tv tradizionale (digitale terrestre) cede qualche telespettatore, confermando però un seguito elevatissimo (il 92,2% di utenza complessiva, con una riduzione del 3,3% rispetto al 2016). Stabile la tv satellitare utilizzata dalla metà degli italiani (il 43,5% nel 2017). In crescita la tv via internet (web tv e smart tv hanno il 26,8% di utenza, +2,4% in un anno).

La radio si conferma ancora ai vertici delle preferenze degli italiani, con una utenza complessiva dell’82,6% considerando tutti i vettori dei programmi radiofonici. Quella tradizionale perde 4 punti percentuali di utenza, scendendo al 59,1% di italiani radioascoltatori. La flessione è compensata però dall’ascolto delle trasmissioni radio via internet attraverso il pc (utenza al 18,6%, +4,1% in un anno). L’autoradio rimane sempre lo strumento preferito dagli italiani per ascoltare le trasmissioni che vanno in onda in diretta (utenza al 70,2%). Complessivamente, comunque.

La nota dolente è sui quotidiani (solo il 35,8% degli italiani legge i giornali cartacei) che continuano a soffrire per la mancata integrazione nel mondo della comunicazione digitale che acquista solo il 4,1%. Piccola ripresa sia dei settimanali (il 31% di utenza, +1,8%), sia dei mensili (il 26,8% di utenza, +2,1%).

La transizione nell’informazione

I telegiornali sono abitualmente usati per informarsi dal 60,6% della popolazione, ma solo dal 53,9% dei giovani, che attribuiscono un’importanza quasi equivalente a Facebook (48,8%) e una non indifferente ai motori di ricerca su internet come Google (25,7%) e a YouTube (20,7%).

Tendenze analoghe si ritrovano anche tra i soggetti più istruiti, diplomati o laureati, che risultano più affezionati ai tg generalisti (62,1%), ai giornali radio (25,3%) e alle tv all news (23,7%), ma danno comunque molta importanza a Facebook (41,1%).

I quotidiani vengono al sesto posto nella classifica generale: li usa regolarmente per informarsi il 14,2% della popolazione, il 15,1% dei più istruiti, ma solo il 5,6% dei giovani.

La sovrapposizione del vecchio e del nuovo

Il primo fattore che emerge con evidenza, in questo ultimo Rapporto, è «la sovrapposizione del vecchio e del nuovo in cima alla classifica dei giudizi degli italiani. Infatti, al primo posto tra i fattori ritenuti più centrali nell’immaginario collettivo della società si trova ancora il “posto fisso” con il 38,5% delle opinioni, seguito però a poca distanza dai social network (28,3%), poi dalla casa di proprietà (26,2%) e ‒ quasi a pari merito ‒ dallo smartphone (25,7%), richiamato per il suo valore funzionale e simbolico».

La graduatoria delle preferenze dei più giovani, come prevedibile, è ancora di più rivolta verso gli «elementi di rottura che caratterizzano la contemporaneità». Tra i 14 e i 29 anni i social network - si legge nel Rapporto - si collocano in prima posizione (32,7%), superando il posto fisso (29,9%), seguito dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo (23,1%) e dai selfie (21,6%). Solo il 17,9% (ampiamente al di sotto della media) indica la centralità della casa di proprietà, il 14,9% l’obiettivo di conseguire un buon titolo di studio come garanzia di riuscita sociale, il 7,4% l’acquisto dell’automobile nuova.

«Se questa è la fotografia dell’immaginario collettivo dei nostri giorni, la domanda cruciale riguarda, a questo punto, le fonti a cui gli italiani attingono per formare queste loro opinioni. La televisione si trova al primo posto con il 28,5% delle risposte, ma bisogna considerare che quanti prendono in considerazione internet in generale (26,6%) sono stati differenziati da quelli che invece attingono principalmente ai social network (27,1%). Sommando i due dati si arriva complessivamente al 53,7%. Tra i più giovani internet e i social network si attestano insieme al 56% e nella fascia d’età immediatamente superiore addirittura al 66,6%, con la tv relegata al 16,3%. Con l’avanzare dell’età cresce l’influenza esercitata dai media più tradizionali, con la tv al 48,9% nella fascia tra i 65 e gli 80 anni».

 

La grande trasformazione dei media

Grazie alla diffusione delle tecnologie digitali, nel giro di un decennio la grande trasformazione dei media ha determinato una rivoluzione copernicana, che ha posto l’io-utente al centro del sistema attraverso alcuni processi fondamentali:

la personalizzazione dell’impiego dei media, che ha favorito la desincronizzazione dei palinsesti collettivi e la personalizzazione delle modalità di fruizione dei contenuti di intrattenimento e dei percorsi di accesso alle informazioni, scardinando così la gerarchia tradizionale dei mezzi, che attribuiva alle fonti professionali e autorevoli dell’informazione mainstream un ruolo esclusivo;
 
l’ingresso nell’era biomediatica, caratterizzata dalla trascrizione virtuale e dalla condivisione telematica in tempo reale delle biografie personali attraverso i social network, che sancisce il primato dell’io-utente, produttore esso stesso ‒ oltre che fruitore ‒ di contenuti della comunicazione;
 
si è così inaugurata una fase nuova all’insegna della primazia dello sharing sul diritto alla riservatezza: l’io è il contenuto e il disvelamento del sé digitale è diventata la prassi comune. “Broadcast yourself!”, recita il pay-off di YouTube. L’individuo si specchia nei media (ne è il contenuto) creati dall’individuo stesso (ne è anche il produttore): i media sono io;
 
si è quindi arrivati all’avvio del nuovo ciclo della economia della disintermediazione digitale (dall’e-commerce all’home banking, dai rapporti in rete con le amministrazioni pubbliche alla condivisione online di beni e servizi), con lo spostamento della creazione di valore da filiere produttive e occupazionali tradizionali in nuovi ambiti, perché per i cittadini e i consumatori si amplia notevolmente la gamma degli impieghi di internet, che oggi consente di rispondere a una pluralità di bisogni molto più articolati e sofisticati rispetto alla sola esigenza di comunicare, di informarsi e di intrattenersi;

si è dunque radicata la fede nel potenziale di emancipazione delle comunità attribuito ai processi di disintermediazione resi possibili dalla rete attraverso il lifelogging, il self-tracking e i big data, all’interno di un percorso che potremmo definire di autodeterminazione digitale basata sul continuo feedback dei dispositivi tecnologici (per questa via, i media digitali hanno finito per contribuire alla divaricazione del solco tra élite e popolo).

Si può fare oggi un bilancio degli effetti prodotti da tutti questi processi sull’immaginario collettivo degli italiani, cioè su quell’insieme di valori, simboli, miti d’oggi che informano le aspettative, orientano le priorità, guidano le scelte, insomma definiscono l’agenda condivisa della società: quell’immaginario su cui oggi è proprio internet a esercitare la sua influenza con forza crescente. Da questo punto di vista, emergono due aspetti inequivocabili:

-     innanzitutto, il carattere di transizione della fase attuale, per cui nel corpo sociale coesistono valori vecchi e nuovi, offline e online, e alle immagini ad alta valenza simbolica care alle generazioni dei padri si affiancano oggi le icone della contemporaneità fatte proprie dai figli, con il risultato di spezzettare quell’immaginario collettivo omogeneo che nelle epoche passate aveva caratterizzato univocamente lo sviluppo sociale del Paese. Quei riferimenti radicati nella società negli anni del boom economico (il posto fisso, la casa di proprietà, l’automobile nuova, un buon titolo di studio), e che hanno sostenuto lo slancio vitale di intere generazioni dal dopoguerra in avanti, si impastano oggi con i miti fondativi dell’app economy: lo smartphone come oggetto di culto dall’alto impatto simbolico, oltre che funzionale; la potenza dei social network, con cui filtrare personalmente il mondo esterno e condividere l’espressione di sé; il selfie, come emblema dell’autoreferenzialità individualistica;

-     in secondo luogo, si deve constatare che nell’immaginario delle giovani generazioni la scala dei fattori ritenuti oggi centrali è di fatto rovesciata rispetto a quella degli adulti e degli anziani, perché per loro a caratterizzare di più i tempi moderni sono senz’altro internet e i social network, lo smartphone e i selfie, o anche il primato del corpo (che si traduce concretamente nella pratica dei tatuaggi, del fitness, della manipolazione del proprio aspetto tramite la chirurgia estetica), piuttosto che il tanto invocato posto fisso, la tanto celebrata casa di proprietà, il tanto auspicato acquisto dell’automobile nuova o il tanto agognato conseguimento di un buon titolo di studio a garanzia dell’ascesa sociale.

«Il nuovo immaginario collettivo, in grado di condizionare priorità sociali e aspettative esistenziali, riflette così l’integrazione avvenuta nei nostri anni tra media generalisti e media personali, nonché le tante culture e i tanti linguaggi che si trasfondono nei media digitali. Non è polvere di immaginario, non sono simboli ridotti a coriandoli, ma il segno di una transizione epocale rimasta ancora incompiuta».

I Social

-     il telefono cellulare è usato dall’86,9% degli italiani e lo smartphone, in particolare, dal 69,6% (la quota era solo del 15% nel 2009);

-     la crescita di internet ha rallentato il ritmo, ma prosegue. Nel 2017 ha raggiunto una penetrazione pari al 75,2% degli italiani, con una differenza positiva dell’1,5% rispetto al 2016 (e del 29,9% rispetto al 2007);

-     gli utenti di WhatsApp (il 65,7% degli italiani) coincidono praticamente con le persone che usano lo smartphone, mentre circa la metà degli italiani usa i due social network più popolari: Facebook (56,2%) e YouTube (49,6%). Importante è il passo in avanti compiuto da Instagram, che in due anni ha raddoppiato la sua utenza (nel 2015 era al 9,8% e oggi è al 21%), mentre Twitter resta attestato al 13,6%.

L’andamento della spesa delle famiglie per i consumi mediatici ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom (+190%, per un valore di poco meno di 6 miliardi di euro nell’ultimo anno), quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+45,8%), mentre i servizi di telefonia si assestavano verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-14,3%, per un valore però di oltre 16,8 miliardi di euro) e, infine, la spesa per libri e giornali ha subito un crollo (-37,4%).

 

L’avvitamento tra fake news e post-truth

A più della metà degli utenti di internet è capitato di dare credito a notizie false circolate in rete (“spesso” al 7,4%, qualche volta al 45,3%, per un totale pari al 52,7%) . La percentuale scende di poco, rimanendo comunque al di sopra della metà, per le persone più istruite (51,9%), ma sale fino al 58,8% tra i più giovani, che dichiarano di averci creduto “spesso” nel 12,3% dei casi.

Quali sono i giudizi espressi sulle fake news? Per tre quarti degli italiani (77,8%) si tratta di un fenomeno pericoloso, soprattutto per i diplomati e laureati (80,8%). Sempre i più istruiti ritengono, con valori superiori alla media della popolazione, che le “bufale” sul web vengono create ad arte per inquinare il dibattito pubblico (74,1%) e che favoriscono il populismo (69,4%). I giovani danno meno peso a queste valutazioni. Quelli nella fascia d’età tra i 14 e i 29 anni ritengono nel 44,6% dei casi che l’allarme sulle fake news sia sollevato dalle vecchie élite, come i giornalisti, che a causa del web hanno perso il loro potere. Ecco perché le smentite degli organi di stampa spesso non riescono a mettere in crisi le false notizie che circolano in rete: specie tra i giovani, cresciuti con il mito di internet inteso come regno della libertà.

I Libri

I lettori di libri cartacei, che nel 2013 erano il 52,1% della popolazione, nel 2017 sono diminuiti al 42,9%. Il calo non è ancora compensato dall’aumento dei lettori di libri in formato elettronico. Non solo perché i lettori di e-book sono passati, sempre tra il 2013 e il 2017, dal 5,2% a solo il 9,6% degli italiani, ma anche perché la somma di tutti i lettori di libri, a prescindere dal supporto utilizzato, è comunque notevolmente diminuita: dal 52,9% al 45,7%.

A sostenere l’editoria libraria in Italia sono oggi soprattutto le donne (il 52,2% di lettrici), in particolare quelle più istruite (il 61,7% di lettrici tra le diplomate o laureate).

Ultima modifica: Mer 4 Ott 2017