Il giornalista che racconta un dramma e 'accompagna' fuori dalla solitudine

(#StoriediPasqua 2) Nel mio ruolo (*) mi capita spesso di raccontare le vite delle persone, in particolare delle vittime di usura. Io divento narratrice e testimone delle loro storie.

Per loro raccontare ha un effetto liberatorio, terapeutico. Significa confessare a se stessi, ai propri cari e alla collettività il trauma, il dolore, la rabbia che l’usura infligge.

E’ un grande atto di coraggio da parte loro, oltre che di condivisione. Spesso mi ritrovo sola, davanti al mio computer, con fiumi di appunti da riordinare, ricucire, selezionare e tante domande. Domande di verità, giustizia e riscatto.

Cerco di non dimenticare che in quei blocchetti ci sono anime, dignità, persone, ferite, a cui provo con la mia immaginazione a dare un volto, un’identità, un ruolo. È un incontro di anime, la mia che incontra le loro. E tramite la mia, mi tocca entrare nelle loro vite, interpretarle, dare un significato ai loro sentimenti e alle loro azioni. Fare memoria.

Il momento più difficile per me è capire cosa la persona che ha deciso di parlare ha voluto consegnarmi. Capire come posso restituire alla collettività, trasformare in patrimonio utile per la società, delle storie intrise di tanta violenza. Nell’affidarmi le loro storie tentano una via di riscatto che cerco di non deludere. L’altro momento drammatico per me è la consegna del testo ai protagonisti. Mi riesce difficile rileggere quello che ho scritto, non mi piace quasi mai. Vorrei riscrivere tutto.

Il mio ultimo lavoro si chiama proprio “Il riscatto. Fuori dal tunnel dell’usura”. Non ho scelto io il titolo, l’ha fatto la casa editrice. Ricordo che prima di inviare il testo alla San Paolo, l’ho fatto leggere al presidente della Consulta Nazionale Antiusura, Mons. Alberto D’Urso, che conosceva la vittima poiché l’aveva assistita nel percorso di uscita dalla trappola dell’usura.

Ricordo che Don Alberto l’ha letto subito, di notte; dopo otto ore mi disse che avevo fatto un buon lavoro. La risposta di Riccardo (nome di copertura nel libro) non è stata così veloce, si è fatta attendere. Poi ho capito. La moglie, quando seppe che si era indebitato con esponenti collegati alla criminalità organizzata, lo lasciò. In seguito decisero di tornare a vivere insieme principalmente perché hanno un bambino troppo piccolo. Non lo aveva perdonato totalmente.

Dopo due giorni finalmente mi è arrivata la telefonata di Riccardo. Mi ha detto che non si era fatto sentire perché erano stati giorni parecchio intensi. Mi ha raccontato che hanno letto il libro separatamente, in due stanze diverse. Poi si sono incontrati in cucina e con le lacrime agli occhi per il dolore e un po' di risentimento, lei gli ha chiesto “Perché sei riuscito ad aprirti con una giornalista, che in fondo è un’estranea, e non con me? Cosa non ha funzionato tra noi?”. Dopo due mesi il libro era nelle librerie e la sorella della moglie, che gli aveva tolto il saluto e impedito di avvicinarsi ai suoi figli, ritrovandosi tra i protagonisti della storia e piangendo anche lei per la commozione, lo ha chiamato. Voleva vederlo, fargli delle domande. Voleva capire di più.

Con ciò non posso dire che “vissero tutti felici e contenti” ma credo che il mio racconto abbia aperto nuovi percorsi di resurrezione. Mi risulta che Riccardo sia ancora in cammino verso la liberazione dall’usura, alla ricerca di risposte per se stesso, sua moglie, sua cognata, e per tutti quelli che siano venuti a conoscenza della sua storia. È certo però che il suo cammino ha finito di essere in solitudine.

(*) Michela Di Trani è addetto stampa della Consulta Nazionale Antiusura “ Giovanni Paolo II” 

Qui #StoriediPasqua 1, di Maurizio Di Schino

 

Ultima modifica: Mar 23 Apr 2019