Don Zappolini: 'Raccontare le vincite? Sì, ma anche le perdite enormi dell'azzardo'

Don Armando Zappolini è un prete simbolo della lotta a tutte le dipendenze. Anche, naturalmente, a quella dal gioco d’azzardo. Il sacerdote pisano è il portavoce nazionale della campagna contro il gioco d’azzardo, che assume nuove forme e non arresta la sua crescita. Oggi non sembra stupirsi più di tanto delle ultime vicende legate al calcio e alle scommesse.

“La mia più che altro è amarezza. Ci si accorge della gravità della situazione perché coinvolge personaggi famosi, in realtà il problema è grande e noi ne parliamo da tanto tempo”.

Ancora il calcio viene “contagiato” dalle scommesse...
“Sì, come ogni altro ambiente dove girano i soldi. La questione però è un’altra: tanta altra gente, non famosa né ricca, si rovina la vita con l’azzardo e rovina quella delle loro famiglie”.

Ma nelle vicende di questi giovani campioni si può parlare di ‘ludopatia’ o piuttosto di ‘noia’ e di troppi soldi a disposizione?
“La verità sta nel mezzo. In questo caso la differenza tra stile di vita, abuso, dipendenza e patologia è sottile. Come sempre si comincia con un comportamento sbagliato e talvolta si finisce in un ingranaggio che non si ferma più, con una vera e propria dipendenza malata”.

Non c’entra la noia per questi giovani?
“Se si annoiano questi campioni, giovani e ben pagati, esaltati dalla gente, cosa dovrebbe fare oggi un precario? Hanno vent’anni, hanno il mondo davanti. Forse in loro c’è tanto vuoto dentro. Tutto il mondo del calcio allora deve interrogarsi, a cominciare da quello giovanile.
Perché gli allenatori e gli educatori dovrebbero accompagnare non solo la crescita tecnica e professionale dei loro ragazzi, ma anche quella umana. Si trovano a gestire improvvisamente soldi, fama e potere e non hanno forse gli strumenti per saperlo fare. Più che tanti allenamenti e preparazione fisica, servirebbe per loro una scuola di vita”.

Ha in mente qualcosa?
“Sarebbe il caso di metterli a contatto con la realtà di tutti i giorni, con chi soffre o sta male, a Calcutta o In Africa o in una comunità d’accoglienza. Capirebbero che sono stati davvero molto fortunati nella vita. Perché sì, ad un certo punto il gioco d’azzardo può diventare una malattia ma all’inizio c’è sempre una responsabilità. Ci si ammala perché certi comportamenti sbagliati si ripetono nel tempo”.

In fondo, è sempre vero che più si gioca e più si perde...
“Certo, è sempre così anche quando (soprattutto on line) il rapporto per il giocatore sembra meno sfavorevole. Perché il fatto di vincere qualche volta in più spinge il giocatore ad insistere e a sperperare altri soldi. Diamo qualche numero: l’anno scorso, nella mia regione (la Toscana) si è giocato 1,6 miliardi in più dell’anno prima. L’azzardo vale oltre 130 miliardi in Italia e tutti i bilanci dei nostri Comuni messi insieme non arrivano a 80 miliardi. Sembra una cosa assurda”.

Come si caratterizza la dipendenza da gioco d’azzardo?
“Ha le stesse caratteristiche delle altre dipendenze. Dalla dimensione sociale del gioco (chi lo fa solo saltuariamente, e sono 20 milioni di persone) si può passare alla dipendenza, quindi alla patologia, quando questo comportamento diventa compulsivo, incontrollabile. A quel punto non si riesce più a smettere. Accade così anche per l’alcol”.

Il divieto della pubblicità alle scommesse funziona o viene aggirato?
“La legge (il decreto “dignità”) è valida e funziona. Non c’è più la pubblicità diretta sulle maglie e allo stadio. Grazie all’impegno che ho condiviso con la Caritas Ambrosiana e con l’allora sottosegretaria Vezzali abbiamo salvaguardato le fasce deboli. Certo, alcuni siti si ‘vestono’ di panni nuovi, quelli di siti di informazione sullo sport o sulle squadre, e il messaggio passa lo stesso. Per questo non bisogna fermarci, soprattutto ora che viviamo una situazione di povertà molto diffusa e in cui l’attrazione di una possibile vincita è più forte per tanti”.

L’Ucsi è una comunità di giornalisti. Cosa dovremmo fare nel nostro lavoro per evitare di essere una cassa di risonanza per l’azzardo?
“Ne ho parlato con Marco Tarquinio ad un corso di giornalisti in Veneto il mese scorso. Prima di tutto dovreste avere la consapevolezza della complessità e della gravità del fenomeno. Poi, certo, ci sono molte volte le esigenze economiche, le spinte dell’editore o semplicemente l’interesse dell’opinione pubblica e a quel punto ogni giornalista dovrebbe essere più fermo nel dare una informazione completa”.

Cosa intende? Lei racconterebbe una super vincita all’Enalotto sul giornale o in tv?
“Se la notizia va data, sì. Ma aggiungerei, oltre all’ammontare della vincita, anche la consistenza delle perdite al gioco. Nella mia piccola città, Ponsacco, si è giocato 16 milioni di euro e 2,4 milioni sono stati persi. Quindi potrei dar conto della vincita ma la metterei sempre a confronto con le perdite enormi del gioco”.

nella foto sotto: don Zappolini nella squadra amatoriale di Perignano (PI)

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Ultima modifica: Sab 4 Nov 2023