In Italia i grandi gruppi editoriali attraversano una crisi senza precedenti. Nell’attesa di trovare la chiave per rendere profittevole Internet e le nuove possibilità multimediali, si trovano alle prese con ristrutturazioni, bilanci in perdita e lavoratori in rivolta. La crisi dell’editoria, però, non è un male solo nostrano. Un rapido sguardo al panorama dei big del settore in Europa e Oltreoceano rivela che gli unici a crescere sono quelli che hanno saputo intercettare abbastanza rapidamente la rivoluzione del web: su tutti, Axel Springer in Germania, editore che si è dato l’obiettivo di ricavare il 50% del proprio fatturato dall’online entro il 2015. Questi, in sostanza, i risultati della ricerca condotta da Lettera43
ALLA RICERCA DEL BUSINESS MODEL. Gli altri gruppi arrancano, o in qualche caso tengono botta in attesa di scoprire la formula vincente. È il caso dell'America, dove i giornali si stanno spostando verso il modello dell'informazione online a pagamento. E della Gran Bretagna, dove il Guardian, ritenuto un'avanguardia del web, da anni medita di mandare in soffitta le rotative che tanto gravano sui conti. O della Francia, dove a fronte del crollo delle copie cartacee, funzionano gli esperimenti di inchieste a pagamento.
Ecco la situazione Paese per Paese.
In Germania l'unico editore con una situazione di bilancio positiva è Axel Springer, a cui fanno capo, tra gli altri, i quotidiani cartacei Bild, Handelsblatt e die Welt: per primo il gruppo con sede a Berlino ha fiutato l’aria del cambiamento e ha spostato la propria attenzione sul digitale per invertire il peso di carta stampata e online nella struttura dei ricavi.
Una strategia che ha pagato dividendi importanti: nel primo trimestre del 2013, il comparto digitale del colosso ha registrato una crescita del + 24,9%, pari a circa 104 milioni di euro, con utili in rialzo del 33,9%.
Questa spinta ha mantenuto in positivo anche il fatturato, cresciuto del +1,8% rispetto allo stesso periodo del 2012, per un valore totale di 803,6 milioni di euro. Ma gli utili complessivi sono scesi del 3% (circa 132 milioni di euro), condizionati anche dal calo degli introiti delle testate cartacee.
GRUENER IN LIEVE ROSSO. Gli altri grandi gruppi tedeschi sul fronte Internet sono decisamente indietro e pagano la crisi generalizzata della stampa.
Grüner und Jahr, prima casa editrice europea con circa 285 magazine editati in tutto il continente, ha registrato alla fine di marzo una flessione del fatturato del 3%.
I ricavi totali nell’anno fiscale (i dati sul singolo trimestre non sono disponibili) si sono fermati a 2,22 miliardi di euro, con una perdita netta di 11 milioni di euro (nel 2011 il gruppo aveva registrato 160 milioni di utili). In Italia, dove ha una joint venture con Mondadori, ha avviato un doloroso piano di ristrutturazione.
Il colosso, che deve fare i conti con la crisi della pubblicità sui cartacei e la partecipazione nel crac del Financial Times of Deutschland, punta sui mercati cinese e indiano per risollevarsi.
SPIEGEL INDIETREGGIA DI 10 ANNI. Non va meglio agli altri grandi editori tedeschi.
Il settimanale der Spiegel (Spiegel gruppe), campione di tirature in Germania con 1 milione di copie, nel 2012 (ultimi dati disponibili) ha visto il fatturato tornare ai livelli del 2003, a 307 milioni di euro (-6%), con utili in ribasso del 30%. Per il 2013 la società prevede un ulteriore calo degli utili del 25%, mentre i vertici discutono su come virare più decisamente verso l'online.
Vanno male anche i principali quotidiani nazionali. Nel primo trimestre 2013, la Süddeutsche Zeitung (editore Medien Union) ha perso il 5,3% tra copie e abbonamenti; la Frankfuter Allgemeine Zeitung, dell'omonima fondazione, è calata nelle vendite del 7,1%. Si salva solo l'Handelsblatt, che ha registrato un +3%.
Gran Bretagna, in cerca dell'integrazione digitale
Anche Oltremanica l'editoria è stata travolta dal cambio di rotta verso l'online.
Sono anni che il Guardian medita se fermare o meno le rotative, come è stato più volte scritto (e puntalmente smentito dalla direzione), per pubblicare solo l'edizione web.
Gli ultimi dati disponibili risalgono all'agosto 2012, perché il quotidiano britannico - edito dal Guardian media group - pubblica i propri risultati una sola volta all'anno, ma indicano comunque con sufficiente chiarezza quella che è la tendenza.
GUARDIAN, IL TRAINO DEL WEB. All'epoca si registrava una massiccia espansione del comparto online, sia in termini di utenti (67,8 milioni al mese, il 38% in più del 2011), sia in termini di ricavi, con il fatturato in arrivo dal digitale in crescita del 38% (a fronte di un calo di vendite del cartaceo del 10%).
Proprio i numeri dell'online hanno permesso di conservare un fatturato totale sostanzialmente invariato rispetto al 2011, pari a 196,2 milioni di sterline (227 milioni di euro).
Tuttavia, le spese sostenute per la riconversione al digitale hanno portato nell'agosto 2012 a perdite per 44,2 milioni di sterline (52 milioni di euro). E il rosso ha comportato negli ultimi mesi 50 esuberi tra i giornalisti del Guardian e quelli della versione domenicale The Observer.
IL SUN A PAGAMENTO. L'idea delle redazioni integrate carta-web in Gran Bretagna era già nata tra i giornali scandalistici, a lungo traino delle vendite del comparto cartaceo.
Dopo aver chiuso nel 2011 il tabloid culto News of the World, travolto dagli scandali giudiziari, Rupert Murdoch, patron del Sun e del Times ha deciso di puntare sulla digitalizzazione.
Nel gennaio 2013, News International, il ramo britannico di News Corp, registrava 300 mila abbonamenti digitali (127.540 al Times, 118.888 alla versione domenicale Sunday Times e 45.694 alle applicazioni mobili del sito del Sun). La scelta di Murdoch di puntare tutto sul modello dell'informazione a pagamento è destinata a coinvolgere, a partire dall'agosto 2013, anche il Sun, finora gratuito (accesso a 2 sterline a settimana).
Complessivamente, News Corp, il gigante dei media che controlla testate giornalistiche in tutto il mondo, basata e quotata a New York, nel primo trimestre del 2013 ha registrato un fatturato di 9,54 miliardi di dollari (7,41 miliardi di euro), in crescita del 14% rispetto ai tre mesi precedenti.
INDEPENDENT E TELEGRAPH TAGLIANO. La crisi delle copie cartacee ha toccato anche l'Independent, edito dalla Independent print limited, finita nel 2010 nelle mani dell'oligarca russo Alexander Lebedev, e il Daily Telegraph, storico foglio dei fratelli Barclay, controllato dal Telegraph Media Group (che edita anche il Sunday Telegraph e il sito internet Telegraph.co.uk).
Nessuno dei due quotidiani fornisce dati sul bilancio, ma il primo ha annunciato che vuole smantellare 25 posti di lavoro, in vista dell'accorpamento delle redazioni del giornale cartaceo e del domenicale in un'unica newsroom multimediale.
Il gruppo che controlla il Telegraph, invece, ha comunicato il taglio di 80 dipendenti (il 14% delle redazioni cartacee) e, parallelamente, la creazione di 50 nuovi posti nel comparto digitale.
Spagna, la carta non vende più
In Spagna, la crisi dell'editoria ha decimato le redazioni dei giornali e il settore non accenna a risollevarsi, se non per quanto riguarda il comparto dell'online.
EL PAIS A PICCO. Prisa, il primo gruppo spagnolo, editore del quotidiano El Pais (e proprietario anche di radio, televisioni digitali e testate in Sud America) ha chiuso il primo trimestre del 2013 con il crollo del settore cartaceo: rispetto allo stesso periodo del 2012, il fatturato è calato del 22,6%.
Sul risultato pesano la debolezza del mercato pubblicitario (-20,8%) e il calo delle vendite del quotidiano (-18,1%). L'aumento dell'11,9% di pubblicità nel digitale, con 77,4 milioni di utenti unici nel sito di El Pais solo a marzo 2013, e l'incremento del 5,5% dei ricavi pubblicitari in Sud America sono spunti incoraggianti, ma non sufficienti a salvare il gruppo: l'indebitamento netto è ancora pari a 3 miliardi di euro.
A El Pais è in atto un piano di ristrutturazione lacrime e sangue: nel 2012, è stato disposto il taglio di oltre 150 posti su 466 totali e la riduzione del 15% dello stipendio di base.
EL MUNDO, CALO TOTALE. Dal 2008, d'altronde, in Spagna decine di pubblicazioni gratuite o locali sono state chiuse e oltre 2 mila giornalisti sono rimasti senza impiego. Tra loro, ci sono anche molti lavoratori di Unidad Editorial, controllata da Rcs-Media Group ed editore del quotidiano El Mundo, del quotidiano sportivo Marca e di quello economico Expansion.
I dati dell'online sono buoni: gli utenti unici del Mundo sono cresciuti del 5,8% rispetto allo stesso trimestre 2012 (31,8 milioni al mese), quelli di Expansion, complice la crisi economica, addirittura del 29,2% (4,8 milioni al mese), mentre Marca ha confermato 30,8 milioni di utenti unici mensili, seppure in calo 6,2% rispetto al 2012.
Ma i numeri incoraggianti dell'online non bastano. La raccolta pubblicitaria è infatta calata a 32,4 milioni di euro rispetto ai 41,8 dello stesso periodo del 2012, e Internet contribuisce solo per il 24%. Il cattivo andamento delle vendite, inoltre, ha comportato una complessiva flessione del fatturato a 88,3 milioni di euro, rispetto ai 105,7 milioni del primo trimestre 2012.
In Francia funzionano le inchieste online a pagamento
In Francia, la crisi ha colpito bilanci che già erano in rosso.
Alla fine del 2012 un solo quotidiano ha segnato un aumento nelle vendite: Les Echos, non a caso un foglio economico, di proprietà del gruppo Lvmh.
GLI AIUTI AL SETTORE. Per il resto dei grandi è notte fonda: -10,6% di copie vendute per Libération (editore Edouard de Rothschild), -8,6% per Le Monde (Groupe Le Monde), -3,4% per Le Figaro (edizioni Socpresse). Anche l'Equipe (Groupe Amaury), il primo giornale sportivo del Paese nonché quotidiano a pagamento più letto, ha segnato un -9,7%.
Negli ultimi tre anni, il settore ha ricevuto aiuti statali pari a 42 milioni di euro. Ciononostante, tutti i grandi quotidiani hanno aumentato il prezzo, appellandosi all'informazione di qualità: una copia di Le Monde costa 1,80 centesimi e Les Echos a febbraio è arrivato a quota 1,90.
IL FENOMENO MEDIAPART. La stampa tradizionale francese non ha ancora trovato una formula per gestire la transizione al web, ma notizie positive arrivano dai quotidiani unicamente online. Slate ha chiuso il 2012 in attivo dopo due anni di servizio. Ma la vera mosca bianca è Mediapart: quotidiano online di inchiesta e di approfondimento, nato nel 2008, che senza aiuti pubblici ha chiuso il 2011 con un attivo di 570 mila euro e nel 2012 ha bissato con 700 mila euro.
Il progetto vive grazie ai circa 60 mila abbonamenti siglati dai lettori, con formule low cost (9 euro al mese, con 15 giorni di prova a 1 euro), che contribuiscono al 95% dei 6 milioni di euro di fatturato.
Usa: Internet verso il modello a pagamento per pareggiare i conti
Negli Stati Uniti i grandi quotidiani sopravvivono, senza riuscire tuttavia a fare guadagni.
Il New York Times ha chiuso i primi tre mesi del 2013 con un crollo degli utili del 93%: dai 42,1 milioni di dollari totalizzati tra gennaio e marzo 2012 ai 3,14 di quest'anno (circa 2,4 milioni di euro).
L'amministratore delegato Mark Thompson, incalzato dai giornalisti, ha tagliato corto: «I risultati riflettono i nostri sforzi continuati di riorganizzare la società».
La riorganizzazione consiste in un cambio di strategia: puntare sul rafforzamento del marchio e la fidelizzazione dei lettori. Il gruppo sta scommettendo molto sugli abbonamenti digitali (l’unico modo per accedere ai contenuti una volta superati i 10 articoli gratis al mese), che sono arrivati a quota 708 mila. Con qualche risultato: le entrate legate alle vendite online e cartacee sono cresciute del 7%.
Ciononostante, i vertici meditano una sforbiciata al personale: scaduta la data limite per 30 esodi volontari, il direttore Jill Abramson si appresta a tagliare almeno 20 posti all'interno della redazione.
WASHINGTON POST, CROLLO DEGLI UTILI. Va poco meglio al gruppo concorrente Washington Post Company, che edita il quotidiano della capitale e che ha chiuso il primo trimestre 2013 con un crollo degli utili netti dell'85%.
Il gruppo editoriale ha fatturato 959,1 milioni di dollari (in lieve aumento rispetto ai 955 del 2012), ma di questi solo 4,7 milioni sono utili, a fronte dei 31 dello stesso periodo dell'anno precedente.
Sul risultato pesa il piano di pensionamenti anticipati e volontari annunciato a febbraio: in tutto i prepensionamenti volontari sono destinati a gravare per 25 milioni di dollari, di cui 12 milioni contabilizzati nel bilancio dei primi tre mesi del 2013. Ma non è tutto.
I ricavi della divisione stampa sono calati del 4% e la pubblicità su carta è scesa dell'8%. Male anche la vendita in edicola: le copie sono calate in media del 7,2% nei giorni feriali (negli Stati Uniti il giornale della domenica è tradizione). E il web, seppure in crescita, ancora non basta.
DALL’ESTATE FORMULA A PAGAMENTO. Gli annunci pubblicitari infatti sono aumentati solo sul sito Slate (+16%), mentre i ricavi sulla versione online dell'ammiraglia, washingtonpost.com, sono calati del 6%. Tanto che proprio sulla testata di bandiera dall’estate dovrebbe entrare in vigore un sistema a pagamento simile a quello del Nyt, ma destinato a scattare oltre i 20 articoli letti ogni mese.
Per fare cassa, gli executive del quotidiano sono pronti persino a mettere in vendita lo storico quartier generale, al quinto piano di L Street.
Notizie completamente positive solo dal comparto tivù, in chiaro e via cavo, che segna un aumento delle entrate del 5%. Del resto la Time Warner ha dato l'esempio, annunciando la vendita entro la fine del 2013 di riviste storiche come Time, Sports Illustrated, Fortune e People, per dedicarsi solo a cinema e tivù. (LETTERA43)