LA RIVISTA DEI GESUITI “LA CIVILTA’ CATTOLICA” TORNA SUL DECIMO RAPPORTO SULLA COMUNICAZIONE CENSIS/UCSI CON UN ARTICOLO DI COMMENTO (GLI ITALIANI E LA COMUNICAZIONE) DI P. FRANCESCO OCCHETTA S.J

«I media siamo  noi: l'inizio dell'era biomediatica». Si apre con questo slogan piuttosto perentorio e carico di nuovi significati il Copertina2 Decimo Rapporto sulla comunicazione elaborato dal Censis in collaborazione con l'Ucsi (Unione cattolica stampa italiana). La pubblicazione del Rapporto, nato da un'intuizione di Emilio Rossi, il primo direttore del Tg1, costituisce un appuntamento annuale atteso da tutti i comunicatori, in quanto permette di monitorare le abitudini, i mezzi e il modo di comunicare degli italiani.(1

Per quali ragioni il Censis ha deciso di coniare un nuovo termine per spiegare il complesso universo dei media? L'era «biomediatica» rimanda al modo in cui è cambiata la vita delle persone in relazione ai media, al punto che in essi, afferma il Rapporto, «si rispecchia l'immagine che ciascuno si è prodotto».

 

Ma c'è di più. L'era «biomediatica» significa anche trascrivere virtualmente  e condividere telematicamente le biografie personali. Per queste ragioni l'affermazione «I media siamo noi» indica non soltanto la possibilità di fruire dei contenuti tradizionali per trasformarli in «palinsesti multimediali personali», ma anche la capacità di costruirsi «percorsi autonomi di accesso alle informazioni, svincolati dalla logica top-down [dall'alto verso il basso] del passato, che implicava una comunicazione verticale unidirezionale dei messaggi da parte delle fonti ufficiali». In pochi anni il cittadino fruitore dei media è diventato sia il produttore dei media stessi sia il loro contenuto che viene reso disponibile in internet.

GLI ITALIANI E LA COMUNICAZIONE

A partire da questa tesi cercheremo di rispondere ai tre sentieri di ricerca in cui si struttura il Rapporto. Quali effetti hanno introdotto la digitalizzazione dei contenuti, la «scomputerizzazione»  del digitale e la personalizzazione dei media? Qual è il significato della privacy in un'epoca in cui il primato del soggetto si traduce nell'«esibizione del sé» digitale? Quali sono i mutamenti in corso nel settore della pubblicità e gli effetti sul pubblico? «L'autoproduzione di contenuti nel web e l'esibizione del sé» Se fino a pochi anni fa i media erano considerati i «persuasori occulti» dei gusti e del consenso sociale, oggi costituiscono - secondo il  Rapporto - oggetti di valutazione e strumenti per comunicare. Internet, da luogo di incontro e di comunicazione di massa, è diventato l'ambiente della condivisione dei contenuti prodotti dagli utenti (i software liberi, le enciclopedie gratuite, i forum, i blog, i social network, i siti web di citizen journalism ecc.), al punto che «testi, immagini, video fanno concorrenza alle stesse produzioni commerciali»( 2. La «rete», afferma il direttore del Rapporto, Massimo Valeri, sta lasciando spazio alla «nuvola» (3

È questa la seconda tesi del Rapporto. La smaterializzazione delle macchine per comunicare  - si usano sempre più minuscoli e potenti smartphone o agili tablet - sta conducendo l'utente a considerare il mezzo come strumento necessario per vivere, una vera e propria «applicazione» del proprio corpo, una sorta di protesi capace di migliorarne le prestazioni. Il piccolo mezzo elettronico, la connessione costante, la tecnologia cloud, con la delocalizzazione in una sede remota della memoria presso cui risiedono i contenuti digitali, stanno diventando le condizioni per comunicare e comunicarsi con il mondo. La famosa frase «si prega di spegnere i telefonini», che si ascolta all'inizio di uno spettacolo, in aereo, nelle chiese ecc., spesso viene elusa, non tanto per maleducazione, ma per una paura inconscia di rimanere isolati dal mondo (della comunicazione). Possiamo dunque affermare che il mezzo si identifica con l'utente? No, esso rimane un mezzo e cambia nel tempo, ma è una condizione di possibilità per stabilire relazioni e condividere contenuti. L'attenzione si sposta su come lo si utilizza e sui cambiamenti che incidono sul modo di vivere. La fenomenologia dello sharing (condivisione) tramite Facebook, in cui è iscritto il 41% degli italiani - sottolinea il Rapporto -, ha creato una «dipendenza» per comunicare al mondo il proprio status: «postando commenti, pubblicando fotografie e video, immettendo in rete una quantità impressionante di dati personali, che rivelano in modo estemporaneo pensieri, emozioni, abitudini, opinioni politiche, orientamenti religiosi, gusti sessuali, condizioni di salute, situazioni sentimentali, amicizie, località visitate, preferenze di consumo, percorsi formativi, vicende lavorative e professionali, vizi e virtù personali, nonché informazioni che riguardano anche gli altri, familiari e conoscenti». I ragazzi nati con la rete, i nativi digitali, stanno cambiando il modo di comunicare: quasi l'80% di loro ha un profilo condiviso, attraverso cui, in tempo reale, deposita testimonianze di quello che sta facendo, pensando, provando, sperando ecc. È il vecchio diario segreto, che fino a pochi anni fa era chiuso nel cassetto e oggi è aperto davanti al mondo: una nuova maniera per raccontarsi e socializzare, per crescere e approfondire le esperienze del vivere. La rivoluzione mediatica cambia anche la nostra comprensione della vita: se prima paragonavamo il viaggio della vita a un «cammino», oggi esso si è trasformato in una «navigazione». Nella rete, in cui la dimensione umana si manifesta in tutte le sue caratteristiche, si naviga per cercare strumenti cognitivi e interpretare la realtà e il proprio presente. Nel complesso mare della rete, pieno di nuove opportunità, non si è più fruitori, ma protagonisti. Tuttavia ci si può anche perdere e confondere, perché la traccia del cammino già solcato da altri non esiste più, ma si impara facendo (4  Ecco perché i curatori del Rapporto ritengono che l'«io» sia al tempo stesso soggetto e oggetto della comunicazione mediale. Il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, intravede un rischio: «L'utente diventa il produttore, si confonde  con il contenuto. La tendenza a personalizzare l'accesso alle fonti e la selezione dei contenuti comporta il rischio di conformismo come risultato dell'autoreferenzialità dell'accesso alle fonti di informazione»(5 .

Nella rete si ricerca un senso, e nell'esporsi in prima persona si  cercano strumenti per leggere il mondo e la propria storia. Per la generazione che non è nata navigando la rete, questo può rappresentare un dis-ordine, in cui si dice tutto e il contrario di tutto; in cui tutti sembrano contro tutti. In realtà «la rete è proiezione riuscita dell'umano», con almeno due specificità: «Tutto è messo in rete  per essere condiviso. L'ontologia strutturante la rete è relazionale, non è "per se stessa". Il feedback assume un ruolo determinante. Non solo conferma e legittima l'altro, ma crea condivisione e struttura comunità. Un interlocutore capace di raccogliere le provocazioni, di sostenere con empatia, di restituire argomentazioni coerenti e stimolanti, guadagna facilmente quell'autorevolezza che le istituzioni tradizionali hanno perso» (6.

Quali strumenti di comunicazione utilizzano gli italiani? Gli italiani scelgono i mezzi che integrano le funzioni dei vecchi media nell'ambiente di internet, come gli smartphone (telefono e web) e i tablet, in cui è possibile vedere la tv, ascoltare la radio, leggere un libro, navigare in internet ecc. Se la televisione è vista dalla maggioranza assoluta degli italiani (98,3%, + 0,9% di utenza complessiva rispetto al 2011), cambia il modo di guardarla attraverso le tv satellitari (+1,6%), la web tv (+1,2%) e la mobile tv (+1,6%) (7

Il 2012 segna la vittoria definitiva della rete, che permette anche ai media classici di sopravvivere. Naviga in internet il 62,1% degli italiani (nel 2002 era il 27,8%) (8) , che aumentano del 9% in un anno. In dieci anni l'utilizzo di internet è cresciuto del 223,4%, mentre, nello stesso arco di tempo, si sono spesi 22 miliardi di euro per comprare nuove tecnologie (l'incremento è stato del 492,3%), un incremento di spesa per ogni famiglia italiana del 23,2%.La radio continua a essere lo strumento di compagnia soprattutto per chi viaggia e per chi è solo: è ascoltata dall'83,9% della popolazione, e in un anno gli utenti sono cresciuti del 3,7%. Ma anche in questo caso si accresce l'importanza delle forme di radio che si determinano all'intersezione con l'ambiente di internet: via web tramite il pc (+2,3%) e per mezzo di telefoni cellulari (+1,4%). I telefoni cellulari sono utilizzati da otto italiani su dieci, sono aumentati del 2,3% rispetto al 2011, mentre gli smartphone (cresciuti del 10% in un solo anno), la cui diffusione è passata dal  2005 al 2012 dal 15% al 27,7%, sono il mezzo scelto da più della metà dei giovani di 14-29 anni (54,8%). Questi ultimi utilizzano anche i tablet (13,1%) più della media della popolazione (7,8%).Il Rapporto definisce invece una inarrestabile «emorragia» il calo dei lettori della carta stampata: i lettori di quotidiani sono diminuiti nell'ultimo anno del 2,3% (cinque anni fa i giornali erano letti dal 67% della popolazione, oggi dal 45,5%); solamente le testate online, spesso gratuite, aumentano lievemente, registrando il 2,1% di lettori in più rispetto allo scorso anno, per un totale del 20,3% di utenza. La free press, i quotidiani che si regalano alle fermate della Metro o in altri punti della città perdono l'11,8% di lettori, e si attestano al 25,7% di utenza; la causa è la diminuzione della pubblicità che permette loro di mantenersi. Diminuiscono dell'1% i lettori di settimanali (27,5% di utenza); aumentano dell'1% quelli dei mensili (19,4% di utenza), mentre crolla la vendita dei libri, che cala del 6,5%. Solamente il 49,7% degli italiani legge almeno un libro all'anno, mentre sono tre milioni gli italiani che leggono 14 libri ogni anno. Tra i giovani, la disaffezione per la carta stampata è ancora più accentuata: fra il 2011 e il 2012 i lettori di 14-19 anni sono diminuiti dal 35%al 33,6% per i quotidiani, e dal 68% al 57,9% per i libri. Il libro non  riesce a cavalcare la rete, l'e-book non decolla, è utilizzato solamente  dal 2,7% degli utenti; tuttavia gli editori sperano che in pochi anni entrino nel Paese le abitudini degli Usa, in cui il 25% della popolazione sta utilizzando i formati digitali per leggere e gli editori registrano un saldo attivo del 6%. Per un italiano su tre sono sufficienti le notizie dei portali web  d'informazione, che diffondono senza nessun commento le notizie delle agenzie di stampa. Cosa ne consegue? «Non è il bisogno d'informazione a essere diminuito, ma le strade percorse per acquisire le notizie sono cambiate. La tendenza a personalizzare l'accesso alle fonti e la selezione dei contenuti comporta però il rischio che si crei su ogni desktop, telefonino o tablet un giornale composto solo dalle notizie che l'utente vuole conoscere». Quale rischio intravede il Rapporto? Si cercano le conferme di opinioni, gusti, preferenze, per consolidare la propria convinzione.Le diete mediatiche degli italiani e il valore della «privacy»In quale modo gli italiani scelgono la propria dieta mediatica nel complesso mondo dei media? Sta diminuendo la teledipendenza, aumentano i fruitori di tecnologia digitale, la stampa è sempre meno considerata. Nel 2002 gli italiani che si informavano attraverso radio e tv erano il 46,6% del totale, mentre solamente il 17,1% sceglieva anche internet per informarsi. In dieci anni la situazione si è capovolta: i primi sono scesi al 25,2%, i secondi sono cresciuti raggiungendo il 5,5%. Il cultural divide, in cui per informarsi si scelgono solamente radio e tv, è scelto da un italiano su quattro. Rimane una fascia debole della popolazione formata da persone poco istruite e povere e dalla maggior parte degli anziani che sono estranei alle opportunità offerte da internet.Davanti ai dati emersi, i curatori del Rapporto si chiedono se la  privacy sia ancora considerata un valore dagli italiani e se lo sharing (la condivisione delle proprie informazioni) sia più importante del diritto alla riservatezza. Il 75,4% degli italiani che navigano in internet è consapevole che la propria privacy può essere  facilmente violata attraverso contenuti e immagini condivisi nei social network, la registrazione da parte dei motori di ricerca dei percorsi di navigazione, l'acquisizione di informazioni personali da parte delle applicazioni e il loro utilizzo a scopi commerciali, e i sistemi di geolocalizzazione. Tuttavia sul concetto di privacy le opinioni sono confuse e discordanti: il 54,3% degli italiani pensa che sia necessario regolamentarla con una legge più severa; altri (29,3%) ritengono che sia impossibile distinguere in rete l'immagine pubblica dal proprio spazio privato; altri ancora (8,9%) ritengono che nei social network debba prevalere il principio della condivisione su quello della privacy; infine il 7,6% ritiene che le attuali regole a garanzia della privacy siano sufficienti.Il Rapporto si occupa anche del diritto all'oblio su internet. Tre italiani su quattro pensano che ciascuno abbia il diritto di far cancellare le informazioni personali sul proprio passato, se negative o imbarazzanti, quando cessano di essere utilizzate per il diritto di cronaca. La privacy cambia di significato: non solamente essa andrebbe definita con maggiore tollerabilità, ma i nuovi comportamenti in rete introducono aspetti nuovi, come la gestione dei propri dati da parte dei social network, che li possono rivendere alle agenzie di pubblicità, e l'ingerenza dei soggetti di mercato. Per questo non deve meravigliare che, mentre scriviamo una mail o visitiamo un sito, appaia la pubblicità pensata su misura sui nostri gusti e bisogni. Attraverso parole chiave che scriviamo o temi che ricerchiamo, viene studiata in poco tempo una pubblicità su misura. Ma c'è un problema ancora maggiore. Siccome i contenuti non sono più conservati nelle memorie fisiche dei computer ma vengono depositati nei server dei provider, è il proprietario di questi che decide come, quando, a chi e a quale prezzo trasferirli. Su questo problema i curatori del Rapporto sono però ottimisti: «Nella nuvola sarà più facile far valere di nuovo il controllo e la censura degli apparati». Meriterebbe un maggior approfondimento un'altra tesi del Rapporto, quella in cui si rileva che la condivisione personale e la comunicazione del proprio sé, l'I share, sembrano aver sostituito la preoccupazione per i bisogni degli altri e del sociale, l'I care. Invece, esistono in rete migliaia di iniziative di solidarietà, che richiederebbero una maggiore attenzione anche da parte degli studiosi. Il nuovo allarme riguarda «la memorizzazione delle parole inserite nei motori di ricerca, la tracciatura dei percorsi di navigazione, il profilo degli utenti a scopi commerciali». In rete sono a disposizione circa 900 milioni di dati personali, che possono essere usati anche dalla criminalità cibernetica, che ha fatturato lo scorso anno circa 110 miliardi di dollari, più di quelli che si guadagnano con il traffico di droga.Nella sua analisi, Giuseppe De Rita sostiene che il «vero pericolo non è più qualcuno che invada la privacy di un altro che ha messo a disposizione tutti i suoi dati, ma quei poteri che, conoscendo il soggetto, lo condizionano nei consumi e lo controllano nell'offerta politica». Anche Antonello Soro, presidente del Garante per la protezione dei dati personali, si è detto preoccupato, ma ha anche ribadito l'impegno dei Garanti di tutti i Paesi dell'Ue a interfacciarsi insieme davanti ai nuovi colossi del mercato che gestiscono dati personali e pubblicità.

La nuova pubblicità

Gli interessi e l'influenza della pubblicità stanno gradualmente andando verso internet, che nell'ultimo anno registra un aumento del 12,3% e un fatturato di 636 milioni di euro; attualmente il 53%degli spot pubblicitari è investito nella tv. Anche il mondo della pubblicità sta trovando un nuovo equilibrio; non si limita più a comprare spazi. Dalla rete stanno emergendo forme di pubblicità, di cui la più artigianale è quella «fai da te», quella interattiva, cliccando sui banner che appaiono mentre si gestisce la propria posta elettronica, oppure cercando pareri e feedback su prodotti o servizi nei forum di discussione e nei social network prima di procedere all'acquisto. Anche se possono essere poco affidabili e manipolati, i giudizi su ristoranti o hotel che si trovano in internet condizionano la scelte dei consumatori. Valga un esempio per tutti. Durante la presentazione del Rapporto si è accennato a un'anziana proprietaria di un ristorante che, al posto della mancia, ha chiesto ai suoi clienti di scrivere un giudizio positivo su TripAdvisor. Prima di fare un acquisto, il 19% degli italiani lo discute, chiedendo consigli agli iscritti di community o di forum online. La pubblicità sta entrando nella rete, come testimonia il fatto che negli ultimi dodici mesi 24 italiani su 100 hanno acquistato un prodotto o un servizio grazie alla pubblicità televisiva; gli esperti prevedono che in pochi anni la tendenza passerà a internet.

Qualche considerazione a margine dei dati del «Rapporto»

Gli strumenti che permettono di auto-comunicarsi, come forum, blog, social network, microblogging, sono definiti da studiosi come Manuel Castell i mezzi del «socialismo digitale»: «la collaborazione spontanea e non retribuita che contraddistingue, ad esempio, la comunità del software open source e i redattori amatoriali dell'enciclopedia online Wikipedia». Certamente i nuovi media hanno infranto l'equilibrio tra produttori e consumatori, l'asse del potere tv-centrico, il monopolio dell'industria editoriale e culturale. Oggi assistiamo a un fenomeno quasi opposto: «La mia tv la programmo io, l'informazione la faccio da solo, i contenuti sono i miei!».

Nel mondo dei media tutto è destinato a trasformarsi. Gli studi dicono che l'era di Facebook sta finendo, nonostante il milione di commenti al secondo. Quale logica nuova sta entrando nella cultura della comunicazione? La nuova generazione di social media non chiede più di entrare o di essere accettata, ma segue più discretamente e di nascosto. È il caso di twitter, che con i suoi centomila tweets al minuto è oggi fra i media il più incisivo e premiato. Questa nuova logica però richiede di stabilire regole, per poter far entrare nella propria casa chiunque lo voglia. Dietro ai numeri e alle regole si nasconde il significato di nuove esperienze, emozioni, condivisioni, percezioni, che si vivono in rete. La riflessione è sul senso di abitare la rete per essere credibili, coerenti e trasparenti  ( 9

Andrea Melodia, presidente dell'Ucsi, durante la presentazione del Rapporto, ha voluto precisare che «la tecnologia rimane uno strumento; il vero cambiamento sta nell'uomo, nell'insieme dei suoi bisogni vitali, nei suoi comportamenti sociali, negli effetti educativi che i media determinano. [...] È l'uomo sociale a essere rimesso in discussione dai media. Le sue relazioni, la sua unità, il suo comportamento».Trovarsi nella condizione di produrre contenuti, talvolta anche  sofisticati, riporta al centro del dibattito la qualità professionale delle informazioni, la propria reputazione, il controllo delle fonti, la scelta delle immagini, i testi e le narrazioni. Tutto questo «non può prescindere dal rispetto delle regole». La diffusione capillare  della comunicazione mediale porta un incremento del bisogno di lavoro professionale e di formazione qualificata; temi che, secondo Melodia, «si scontrano con la crisi economica e con il carattere del nuovo ambiente professionale caratterizzato da grande precariato». I giovani che possono comunicare professionalmente vanno aiutati a ottenere la giusta rimunerazione, giuste condizioni di welfare e strumenti formativi adeguati.Ci rimane da richiamare una questione apparentemente marginale. Vincenzo Novari, amministratore delegato di «3 Italia», dopo aver fatto un'analisi dei dati del Rapporto, ha concluso il suo intervento dicendo: «I giudizi di valore non fanno parte di questa analisi, ognuno li dà a livello personale. Quando li considero, mi si scatenano alcuni sensi di colpa che voi non immaginate nemmeno». È proprio questo aspetto che ci preoccupa: che si separino tecnica e antropologia, dati ed etica, scelte tecniche e commerciali; che aumentino produzione e profitti alle aziende; come ci preoccupano le conseguenze sulla qualità della vita di milioni di persone. Se deve esistere una «bio-mediatica», è importante che l'insieme degli operatori della comunicazione investa su un sistema condiviso di valutazione qualitativa, basato sul confronto, sul dialogo, sulla trasparenza, sulla responsabilità personale e sull'onore dei protagonisti del mondo della comunicazione. (LA CIVILTA' CATTOLICA 2012 IV 282-291 QUADERNO 3897 3 NOVEMBRE 2012)

NOTE:

1 Cfr Censis - UCsi, Decimo Rapporto sulla comunicazione. I media siamo noi, Milano, FrancoAngeli, 2012. Il Rapporto è stato presentato a Roma il 3 ottobre 2012 nella biblioteca del Senato della Repubblica. Il saluto è stato dato dal presidente del Senato, Renato Schifani; la presentazione è stata curata da Giuseppe Roma, direttore generale del Censis. Per approfondire l'argomento, si veda e. Rossi, È tutto per stasera. Quando la politica entra nei tg, Roma, Ucsi - RaiEri - CDG, 2012; F. oCChetta, «Il manifesto per un'etica dell'informazione dell'Unione stampa cattolica italiana», in Civ. Catt. 2010

 

(2 I curatori del Rapporto ritengono che «l'autoproduzione dei propri contenuti» sia anzitutto «autopromozione del proprio sé»: per trovare amici (Facebook), per cercare o promuovere il proprio lavoro (LinkedIn), per comprare a buon prezzo (e-bay), promuovendo immagini (Flickr, Instagram, YouTube), o creando web tv personali.)

(3 La tecnologia cloud (nuvola) permette la delocalizzazione in una sede remota di contenuti digitali e la smaterializzazione delle macchine. È il tempo - si afferma nel Rapporto - non del post-pc, ma del «computer diffuso», che diventa quasi invisibile grazie alla tecnologia. 284 CRONACHE)

(4 Facciamo un esempio di un possibile pericolo. Lo scorso settembre i medici pediatri di famiglia hanno affermato che la «palestra sessuale» dei ragazzi è diventata internet: un ragazzino su due si rivolge al web per vedere o fare sesso; in più è nata l'abitudine di inviare proprie immagini hard attraverso mms o mail. «Il 74% degli adolescenti maschi e il 37% delle femmine ricorrono al web per fare sesso, vedere sesso, sapere tutto sul sesso o cercare un partner», è stato dichiarato dal sessuologo Maurizio ITALIA 285

(5 Il Rapporto spiega questa posizione esaminando un altro importante cambiamento. In questi ultimi anni, molti palinsesti radiotelevisivi sono stati costruiti mettendo in piazza la vita più intima delle persone. La «tv del dolore», afferma Valeri, è stata sostituita dai «social network, divenuti il palcoscenico della nostra vita privata: non serve più la quinta della tv. In questa costruzione telematica pressoché giornaliera di biografie personali, poste sotto gli occhi di tutti, si moltiplicano le forme del racconto di sé, l'estroflessione della verità interiore».

(6 F. BottaRo, in Gesuiti in Italia 2. Riletture 2012, Roma, 2011, 19.

(7 Il 24,2% di coloro che accedono a internet segue i programmi sui siti web delle emittenti televisive, mentre il 42,4% li cerca su YouTube. Per gli internauti tra i 14 e 29 anni le percentuali salgono rispettivamente al 35,3% e al 56,6%.286 CRONACHE

(8 Il dato sull'utilizzo di internet sale se si considerano i giovani (90,8%), le persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e i residenti delle grandi città con più di 500.000 abitanti (74,4%).ITALIA 287

(9 Per approfondire il tema rimandiamo ad a. spadaRo, Cyberteologia. Pensare il cristianesimo nel tempo della rete, Milano, Vita e Pensiero, 2012.ITALIA 291

 

 

Ultima modifica: Mar 26 Feb 2013