Dalla community alla comunità, il ruolo dell'informazione

Nessun luogo è destinato ad essere un ‘non-luogo’, finché ci sarà qualcuno disposto a prendersi cura di chi lì ci vive, di quel quartiere, di quella città. Questo vuol dire essere, costruire una comunità”. Riprendendo le parole di Papa Francesco nel messaggio per la 53ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni Sociali e sottosegretario della Cei, ospite nel convegno “Dalla community alla comunità, il ruolo dell’informazione”, ha fotografato la comunità reale e quella virtuale nel segno dei media.

A promuovere il convegno, in onore di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, a una settimana dalla commemorazione, l’Unione cattolica stampa italiana della Puglia, in collaborazione con l’Ufficio per le Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto, il Circolo delle Comunicazioni sociali Vito Maurogiovanni e il Dipartimento degli Studi umanistici dell’Università di Bari. Nell’Aula magna dell’Ateneo di Bari, a riflettere sul mondo dell’informazione che cambia, insieme a don Maffeis, c’erano mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, Paolo Ponzio, docente del Dipartimento degli Studi umanistici dell’Università di Bari, e Maria Luisa Sgobba, presidente Ucsi Puglia e giornalista Mediaset.

bari 31gennaio1“Assistiamo ad uno sfilacciamento del tessuto sociale, ad un peggioramento esistenziale diffuso, che genera un aumento di incertezza, un generale disorientamento e frustrazione che si trasformano, attraverso la rete, in vere e proprie invettive, calunnie a favore dello scontro, anziché del dialogo e della costruzione di una comunità. Quelle che nascono oggi – continua Maffeis ricordando il messaggio del Papa – sono piuttosto comunità difensive, in cui si tende a chiudersi per avere rassicurazione in merito ai bisogni primari, una sorta di guscio protettivo in cui l’altro è una minaccia, di più, un nemico. Questo fenomeno tende a far indebolire il legame sociale, decretando al contrario un aumento della individualizzazione che punta a crescere sempre di più e che ricorre agli altri solo per rafforzare il proprio “ego”.

Viviamo nell’Era biomediatica, in cui si condivide in tempo reale la propria biografia, le emozioni, gli stati d’animo, i propri contenuti personali, fotografici solo per aumentare la propria visibilità, la propria attenzione su di sé da parte dell’altro. Quella che avrebbe dovuto essere una finestra sul mondo – ricorda ancora le parole del Papa - sta diventando una vetrina di noi stessi. Eppure – continua Maffeis - anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno ha dichiarato di aver ricevuto da parte dei cittadini la richiesta di volersi sentire parte di una comunità di vita, di pensarsi dentro ad un futuro comune. E questo – continua Maffeis – richiede il contributo da parte di ciascuno di noi.
Senza comunità le case diventano alberghi, le piazze agglomerati, le strade percorsi ad ostacoli. La vita e la qualità della vita si misurano dalle relazioni umane, non materiali. Siamo come eremiti sociali – ricorda le parole di Papa Francesco - curvi sui nostri schermi che danno un “altrove” rispetto a dove vorremmo essere. Questo è l’opposto della comunità. Ognuno di noi deve dare il proprio contributo alla costruzione della comunità”.

Maffeis ricorda Giovanni Orsina e il suo libro “La democrazia del narcisismo”, in cui si comprende chiaramente che le nostre lenti sono sempre più spesse e questo moltiplica la divisione nel mondo. Tutto dipende dagli occhiali che decidiamo di metterci. “Cambiando le lenti - consigliava già nel messaggio del 2018 Papa Francesco – si riscopre il desiderio autentico dell’uomo di non restare solo, quella pulsione di stare insieme, di fare comunità”. La rete, allora, può diventare esempio di buone prassi, può proporre spazi, luoghi, servizi che ripropongano l’aspetto del dono. C’è un grande bisogno di comunità concreta e tangibile anche quando è virtuale.

“I media digitali – continua Maffeis - ormai sono la nostra agenza, i nostri ricordi, la nostra colonna sonora, i film preferiti, i nostri libri. Non si può più distinguere quello che è comunicazione e quello che non lo è. Viviamo in questo tessuto connettivo di cui siamo parte. E l’assenza di una sorta di gerarchia in rete, che faccia da intermediazione tra utente e la rete stessa, determina un limite grande in termini di educazione dei nostri ragazzi. Noi – afferma Maffeis - avevamo chi ci indicava la strada, ci consigliava un film, un libro da leggere; oggi, con l’accesso diretto a tutto ciò che si vuole, è saltato quel ruolo educativo che diventa puro calcolo algoritmico o tutt’al più l’influencer di turno. È difficile distinguere ciò che è vero da ciò che è falso e le realtà editoriali stesse, oggi, fanno molta fatica a fare i conti con questa situazione.

L’uso dei social – si legge nel messaggio di Papa Francesco - deve essere complementare all’incontro in carne ed ossa, solo così può essere risorsa vera. “Il successo dei contenuti online – continua Maffeis - è dato dalla capacità di dare spazio alle reti sociali, supportate da una concreta formazione, una preparazione autentica che può supportare una vera comunità e fare la differenza. Vince chi crea la rete, approfondisce, rispetta i confini, usa un linguaggio responsabile, non offensivo, ma che abbia delle ricadute sociali tali da costruire una vera comunità. Chi nega l’inclusione ha a che fare con la menzogna e non con l’informazione.

Don Maffeis conclude la giornata di confronto con un invito a tutti i giornalisti presenti: non siate esperti di ombre, ma testimoni della luce.

Ultima modifica: Gio 31 Gen 2019