Scriviamo 'la prima bozza della storia'. Ecco perché il giornalismo ha un futuro

Le notizie corrono velocemente e velocemente si evolve la professione giornalistica. Dal cronista col taccuino, al racconto in diretta sui media online, molte cose sono cambiate. Nuovi strumenti, un nuovo rapporto col tempo e col mezzo, con i lettori-fruitori delle notizie: ciò che non cambia sono i fondamenti del mestiere, la sua essenza più profonda.

Il giornalismo è la ricerca e l’elaborazione di fatti, la verifica degli stessi e delle fonti e la successiva divulgazione delle notizie. È un lavoro artigianale, che richiede l’attenzione, le competenze, l’esperienza e la responsabilità di chi ci si dedica. Diffondere, anche in buona fede, una notizia scorretta o una non-notizia, può ledere la dignità, la reputazione e l’incolumità di qualcuno.

Proprio su questo punto, in occasione dell’annuale udienza concessa ai giornalisti da Papa Francesco il 22 settembre 2016, il Pontefice pronunciò un monito importante: “Voi scrivete la prima bozza della storia”.
Una bozza scritta bene, con serietà e rigore, è un buon servizio reso al presente, ma anche al futuro dell’umanità. Viceversa, una bozza menzognera, distorta, redatta senza rispettare i valori deontologici costituisce un danno, soprattutto se non ricorre agli strumenti della correzione e della rettifica. Scienza e coscienza devono camminare di pari passo. È interessante, a questo proposito, scoprire che in lingua araba la parola haq, che vuol dire diritto, è la radice trittica della parola haqiqa, verità. La verità, dunque, contiene in sé il diritto, sono due valori inscindibili.

Aldo Moro disse: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”. Queste parole del politico, giurista e accademico italiano, anche se non riferite direttamente al mondo dei media, descrivono perfettamente il senso più alto del fare informazione. Il coraggio della verità è un valore imprescindibile per chi fa il giornalista. Oltre alle competenze, per fare questo mestiere occorrono anche passione e una sorta di vocazione. Non è un mestiere in cui si hanno orari, in cui ci sono davvero momenti in cui si smette di lavorare. Finché è vivo, un giornalista ha sempre gli occhi e le orecchie aperti, è sempre spinto a cercare oltre la superficie, a raccontare storie e restituirle alla collettività. La componente umana, quindi, ieri come oggi, è imprescindibile. Per quanto la tecnologia abbia facilitato la parte tecnica del mestiere, è proprio la parte umana quella che fa la differenza.

Questo significa riconoscere anche che un errore può capitare, ma, come per le altre professioni, è importante cercare di abbassare il più possibile questo rischio. Oggi abbiamo un patrimonio immenso di conoscenza condivisa in rete, accessibile in tempo reale e spesso gratuitamente a tutti e questo permette di verificare velocemente nomi, date, luoghi, abbassando così il rischio di scrivere inesattezze. Un rischio che spesso aumenta a causa della fretta, del bisogno di immediatezza, di arrivare per primi, che vede non raramente sacrificata la qualità del lavoro e la sua stessa correttezza.

L’urgenza dell’immediato e della conquista del consenso spesso fanno prendere decisioni infelici, come ad esempio divulgare immagini crude senza alcun filtro, o diffondere l’identità di un minore coinvolto in un fatto di cronaca.
Il ruolo del giornalista che media e rielabora la notizia non può e non deve essere sostituito da ciò che fanno gli utenti della rete che non rispondono ad alcuna deontologia. Ne va della credibilità stessa della professione, che oggi è piuttosto compromessa. Nel presente e nel futuro il giornalista non può rinunciare all’essere il professionista chino sulla realtà, con le scarpe consumate dall’andare sui luoghi, con la capacità di ascoltare e osservare e saper leggere tra le righe, anche quando è pericoloso farlo.

In alcuni Paesi del mondo ancora oggi l’informazione è sottoposta a censura e i cronisti sono minacciati nella loro incolumità. Ogni anno sono decine i reporter uccisi o arrestati per aver condotto inchieste e svelato realtà su cui qualcuno avrebbe voluto il silenzio e l’oblio. Oggi tra i rischi che corrono i reporter c’è anche quello dell’eterno precariato, che li rende vulnerabili, senza mezzi e garanzie, poco autonomi, soli e per questo esposti. Alle innovazioni tecnologiche con cui si confrontano quotidianamente i giornalisti, devono corrispondere nuove forme di inquadramento e tutela professionale.

Foto di Maurizio Di schino

Ultima modifica: Lun 24 Apr 2023