#70tv - Il ruolo della Rai come media company di servizio pubblico

Cosa significa, oggi, parlare di canali televisivi generalisti di servizio pubblico, cioè di quello che deve fare la RAI?

Generalisti significa, singolarmente o nel loro insieme, che devono essere dedicati a tutte le fasce di pubblico: non solo agli anziani, o ai colti o agli ignoranti.

Servizio pubblico significa che devono avere uno scopo di utilità generale, per esempio contribuendo alla coesione sociale, alla capacità di distinguere il vero dal falso, il bello dl butto, cioè che è intelligente da ciò che è stupido; e fornendo strumenti adatti a questi percorsi di ricerca. Il tutto, senza diventare noiosi o pedanti, ma continuando a rivolgersi a pubblici quantitativamente significativi.

Inoltre, è chiaro che oggi i canali televisivi viaggiano anche su YouTube, che tutto quanto produci è destinato a continuare la circolazione per gli infiniti rivoli della rete, e che qualunque ragazzino intraprendente – oltre ai mega-gruppi internazionali dalle risorse inesauribili – può essere il tuo concorrente usando il suo smartphone. Dunque, il tuo business, tu Media Company di servizio pubblico, devi cercare di recuperarlo ogni giorno in questo bailamme di novità e di confusioni.

Ecco da dove parte la crisi della RAI. No, non è solo questione di calo degli ascolti, di risorse sempre più incerte, di disaffezione, di scarsa autonomia e di pressione politica. Tutte queste cose contano, ma alla base c’è un problema strutturale: il bisogno di reinventare il ruolo della televisione oggi, nella nuova veste di media company di servizio pubblico.

Molti a questo punto dicono: basta, lasciamo perdere. La vecchia TV è moribonda, il servizio pubblico anche, inutile incaponirsi al capezzale del malato.
Ma davvero è utile lasciare alla arroganza libertaria che appare predominante il diritto di consumare ogni forma di comunicazione senza che un filo rosso, una asticella che segni il confine tra il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, l’utile e il dannoso, possano aiutare tutti, giovani e anziani, a crescere e vivere in armonia, per quanto possibile?
Sovrabbondanza e casualità regnano incontrastate nel mondo della comunicazione. Meglio questo, oppure l’ordine coatto proposto da offerte controllate da partigianeria e/o interessi commerciali?

No, di servizio pubblico abbiamo ancora bisogno, anzi ne abbiamo più bisogno di prima. Oggi non basta essere presenti nel racconto degli eventi che sono le connessioni costituenti della vita sociale, occorre anche agire sottotraccia, contrastando gli algoritmi dannosi che condizionano la comunicazione e inventandone di nuovi e utili alla collettività. Non è solo questione di informare, ma anche di divertire, raccontare storie, riflettere sulla realtà.

Le istituzioni si preoccupano di proporre, in alternativa, interventi gestionali che troppo spesso rischiano di trasformarsi in strumenti di propaganda politica. Peraltro, è poco utile prendersela con singole politiche. Posso testimoniare che la destra oggi, e la sinistra ieri, hanno fatto e fanno a gara per limitare l’idea del servizio pubblico, che richiede senso dello Stato. E la resistenza interna si fa sempre più flebile: non si può accettare che quanto resta di buon servizio pubblico venga relegato dove è meno visto, mentre RAIUNO contiene segmenti di insopportabile degrado.

Il problema non è la RAI in sé, bensì la cultura di servizio pubblico che l’azienda contiene, preserva e sviluppa. Che non pare sia gran cosa, visto che in RAI oggi si parla di media company ma si dimentica di aggiungere “di servizio pubblico”.

In una realtà comunicativa sempre più complessa e in sempre più rapida trasformazione, una media company di servizio pubblico deve sapersi reinventare continuamente, in un mix di pianificazione duttile delle strutture e di creatività nei contenuti prodotti. Come dire che oltre agli ingegneri occorrono anche gli autori, per quanto possano essere difficili da gestire.

Se, come è probabile, il futuro sarà di tante forze interagenti, se nessuna funzione svolta dai media nel passato scomparirà, ma cambierà volto mentre altre se ne aggiungeranno, e assisteremo a una rimodulazione del loro svolgersi nel tempo secondo le esigenze dell’evoluzione storica... se sarà così, anche per il canale generalista di servizio pubblico, molto diverso da quello oggi noto, magari articolato territorialmente in modo dinamico – quanto è trascurato, oggi, il territorio! – capace di fornire servizi, dotato di palinsesto estremamente elastico, ricco di propaggini in rete e di dialogo con gli spettatori, attento al pluralismo ma capace di fare sintesi e di favorire la coesione sociale, di riequilibrare la collettività secondo principi di oggettiva utilità sociale, capace di gestire gli algoritmi per radicarsi nel web... se sarà così potrebbe esserci un futuro per i canali generalisti di una media company di servizio pubblico, che credo sia la forma più alta di ciò che ancora chiamiamo televisione.
Per il momento, però, non è dato vederlo.

#70tv è la rubrica che vuole celebrare, attraverso alcune riflessioni di autorevoli operatori della comunicazione televisiva, i 70 anni della tv in Italia

Ultima modifica: Lun 8 Gen 2024