#70tv - La ricchezza dei territori e le occasioni perse

Negli anni, in tanti mi hanno chiesto perché non avessi mai tentato il ‘salto’ da una sede regionale a una testata nazionale.
La risposta, per me, è stata sempre semplice: ho sempre pensato a un impegno nel servizio pubblico d’informazione che riuscisse a fare crescere la comunità dove mi trovavo, ed era decisamente meno complicato in un territorio regionale.

A questa considerazione si è aggiunta la formidabile opportunità formativa offerta da una redazione regionale, rispetto a una testata nazionale: nelle sedi si fa davvero tutto, sia radio che tv, e poo fare conduzione, essere inviato e - negli ultimi anni - anche media social manager...

Non ci sono altre testate Rai che offrano la stessa possibilità. Vero è che il privilegio si paga, a volte, in termini di qualità, perché non è facile che un giornalista possa garantire la stessa qualità realizzando, come nelle testate nazionali, un solo pezzo (o radio o tv) e -come avviene nelle sedi regionali - dovendo realizzare, nello stesso tempo, spesso anche più pezzi, o dirette, sia per radio, sia per tv e magari anche sito internet o social.

L’informazione regionale articolata nelle sedi rimane, a distanza di decenni, è il valore aggiunto della Rai rispetto a tutte le altre aziende radiotelevisive. Per tanti anni il processo è stato in espansione e la Rai, anche grazie allo sviluppo dell’informazione territoriale, è stata l’unica a continuare a potenziare il suo servizio, perlomeno fin quando non è stata inspiegabilmente cancellata la terza edizione del te per essere poi collocata dopo la mezzanotte, all’interno di Linea Notte, ed essere, alla fine, cassata. Alcuni definivano quella presenza inutile e antieconomica e con questo pretesto è stata presa la decisione che ha portato alla chiusura.

In realtà quella micro-edizione del tg regionale garantiva l’apertura delle sedi regionali fino alla mezzanotte, rendendo tempestivi gli interventi su grandi eventi che si sono puntualmente verificati nelle ore notturne con copertura decisamente meno efficace rispetto al passato.

In realtà l’informazione regionale avrebbe potuto e dovuto essere un’estensione dell’informazione nazionale, o viceversa (esperienza tentata solo sulla terza rete, nella fascia serale) e spalmata sulle tre reti, perché appare anacronistico pensare (giustificazione addotta) che il problema tecnico fosse la territorializzazione della distribuzione del segnale in tutte le reti.

In questi giorni, in cui a reti unificate si ricorda come settanta anni di Rai abbiano modificato il costume del paese, sembra sgradevole mettere al centro il vero tema: cosa rimane di quel servizio pubblico al quale hanno lavorato nomi gloriosi, quali Vittorio Veltroni, primo direttore di Tg, Andrea Barbato, Enzo Biagi, Emilio Rossi, Albino Longhi, e via dicendo.

Il servizio pubblico si caratterizza essenzialmente per due caratteristiche: la tutela delle minoranze e il dovere di dare voce a chi non ha voce, quindi alle fragilità, a quanti non sono né saranno mai portatori di interessi economici che costituiscono il pilastro delle imprese commerciali; lo stile nella narrazione di settori delicati della nostra vita quotidiana, che dovrebbe essere particolarmente corretto, non parziale, volendo evitare la tentazione di scomodare la parola ‘obiettivo’.

Su questo stile narrativo sono stati versati fiumi d’inchiostro, come anche su un altro tema: come costruire, o anche solo teorizzare, una governance della Rai indipendente dai condizionamenti della politica. Dopo decenni di battaglie sindacali mi sto convincendo che si tratta di una battaglia persa.

Sono di natura ottimista, ma ritengo persa la battaglia che porti a individuare regole di garanzia. Qualunque meccanismo venga individuato, se c’è una volontà egemonica da parte della maggioranza, di qualunque colore, di controllare l’azienda di servizio pubblico, comunque ci riesce. Si dirà che c’è modo e modo, stile e stile, e sono d’accordo. C’è modo di esercitare un controllo, mantenendo alta la qualità, come c’è modo di esercitare un controllo riuscendo, volontariamente o meno, ad abbassarla, avvantaggiando quindi l’impresa privata.

Così, mentre sull’informazione politica, un antico maestro come Federico Scianò diceva che per garantirsi non basta incollare in un pezzo le microdichiarazioni di ogni singolo esponente politico, perché la gente ha diritto di capire i processi, non solo di sentire dichiarazioni raccolte con metodo apparentemente inattaccabile, così nella governance non se ne esce, se non concordando, maggioranza e opposizione, il principio secondo cui il servizio pubblico di informazione non può essere sottoposto a condizionamenti.

Se si concorda sul principio, una strada si trova. Uno strumento potrebbe essere una Fondazione intermedia tra politica e azienda. Se non c’è, tuttavia, una vera volontà di raggiungere l’obiettivo, la strada diventa comunque in salita, con una pendenza davvero inaccessibile.

#70tv è la rubrica che vuole celebrare, attraverso alcune riflessioni di autorevoli operatori della comunicazione televisiva, i 70 anni della tv in Italia

Ultima modifica: Lun 8 Gen 2024