Lo sguardo rinnovato dal Risorto

«Nell'azione cristiana c'è il successo dei fallimenti. I trionfi tardivi!».

Che senso ha accostare due parole tra loro agli antipodi come successo e fallimento? E che relazione c’è con la Pasqua che stiamo celebrando? Un nesso c’è ed è evidente per Alberto Hurtado che ha pronunciato questa frase nel 1939. Per il gesuita cileno, fondatore del mensile Mensaje e del Hogar di Cristo (una fondazione che da 80 anni offre una casa a migliaia di persone), la Passione vissuta da Gesù è un fallimento se viene letta secondo i criteri che in ogni epoca l’umanità ha seguito per tributare un plauso alle imprese riuscite e per lasciare che calasse l’oblio su quelle incompiute. Gesù è tradito da uno dei suoi discepoli e abbandonato dagli altri nel momento della cattura, accusato dai capi dei sacerdoti e scartato del suo popolo che preferì salvare Barabba, condannato dal potere romano e messo a morte in croce, il più infamante dei supplizi. Anche le sue parole e i suoi gesti sono dimenticati, incluso l’annuncio della Passione: «Cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Marco 8,31).

Tutto sembra concluso con la pietra fatta rotolare per sigillare la tomba dove è deposto, ma la morte non è l’ultima parola: dopo il venerdì santo c’è la domenica di Pasqua. Il fallimento si rivela solo apparente per chi ha la pazienza e la forza di attendere perché ama.

È così per Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome, menzionate dall’evangelista Marco (16,1), che al mattino presto del giorno dopo il sabato si recarono al sepolcro. Si chiedevano come avrebbero potuto spostare quella pietra enorme e trovano invece il sepolcro aperto. Erano andate al sepolcro per ungere il cadavere di Gesù con oli aromatici appena acquistati e non c’è alcun corpo, la tomba è vuota. Un sepolcro aperto e una tomba vuota: due immagini potenti per dire che la morte è vinta dall’amore, che la fine è in realtà un inizio. Chissà se si saranno ricordate le parole di Gesù: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Giovanni, 12,24).

Sono loro le prime testimoni, incredule e impaurite, di questo «trionfo tardivo» che è la Pasqua di Gesù, un trionfo che non è relegato al passato, come una pagina di storia ingiallita, ma continua a essere presente e a plasmare in modo silenzioso le nostre vite, il nostro mondo. Gesù è stato crocifisso duemila anni fa sotto gli occhi di tutta Gerusalemme, tra sguardi distratti, spaventati o carichi di violenza, ma l’incontro personale con il Risorto, che discretamente bussa alla nostra porta (Apocalisse, 3,20), non è confinato a un momento, non è appariscente, e non si stanca di interrogarci e provocarci affinché capovolgiamo le nostre logiche di successi e fallimenti.

L’augurio per questa Pasqua è allora quello di rispondere all’invito del Risorto e aprire la porta della nostra vita per contemplare con uno sguardo rinnovato ciò che siamo e ciò che viviamo come singoli e come comunità.

L'autore, Padre Giuseppe Riggio, è il consulente ecclesiastico nazionale dell'Ucsi

Ultima modifica: Sab 30 Mar 2024