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Due mesi dopo il terremoto - Le luci dei media e quelle della ripresa

Papa Francesco lascia le aree terremotate del Centro Italia. E’ il 4 ottobre. Arriva la sera. Dopo gli ultimi collegamenti in diretta con gli spazi informativi delle televisioni, si spengono i riflettori delle telecamere e davanti ai ruderi di Amatrice cala un sipario di buio e di silenzio. Si sentono solo i rumori degli anfibi dei militari che sorvegliano l’ingresso della zona rossa, così come ormai è chiamata l’area collassata del centro storico di Amatrice. Troppo facile dire che da allora i riflettori sono spenti su Amatrice, su Accumoli, su Arquata e Pescara del Tronto.

Piuttosto, dal terremoto del 24 agosto scorso, ancora non si accendono i riflettori sulla ripresa effettiva della piccola economia che consentirebbe alla comunità di avere degli appigli per rinascere nel proprio territorio.

Costantino aveva un negozio di prodotti tipici in Corso Umberto, fino ad agosto la strada principale del centro storico di Amatrice. Gran parte dei 30mila euro di merce sono ancora sotto le macerie. La sua attività prosegue nel garage di casa in una frazione di Amatrice risparmiata dal terremoto. Solo le richieste di ordini dall’esterno consentono a Costantino di guardare avanti.

Enrico è uno due fornai, sempre del centro storico collassato di Amatrice. L’altro, purtroppo, è morto. Lui è sopravvissuto. Il suo forno, invece, è un cumulo di macerie. Una ditta di Verona è disposta a regalargli un forno nuovo, ma non gli consentono di realizzare una struttura, anche provvisoria, per montarlo. E così, Enrico gira in continuazione per capire come riprendere a portare “il pane” a casa.

Fa riflettere la riflessione di Claudio: “Va bene riaprire la scuola per riportare i bambini nelle aule e per non spopolare Amatrice delle nuove generazioni. Ma se i genitori non riescono a ritrovare un lavoro nel territorio, saranno costretti ad andare via e quindi porteranno altrove i loro figli e Amatrice diventerà una città fantasma”. A quel punto non ci sarà bisogno neanche dei riflettori. 

I 33 anni del Centro Televisivo Vaticano

Trentatré anni fa nasceva il Centro Televisivo Vaticano, voluto da Papa Giovanni Paolo II nel 1983.

Scopo principale del CTV è quello di “contribuire all’annuncio universale del Vangelo, documentando con le immagini il ministero pastorale del Papa e le attività della Sede apostolica”, celebrazioni, udienze, Angelus, Messe, viaggi papali e altre manifestazioni, in collaborazione con organi di informazione nazionali e internazionali. Di particolare qualità la produzione di documentari in diverse lingue oltre alla presenza di un prezioso archivio di immagini televisive. Oggi il CTV è impegnato nell’utilizzo di nuove tecnologie per la diffusione del messaggio del Papa.  Negli anni, anche attraverso la guida di grandi esponenti del mondo televisivo come Emilio Rossi, e’ cresciuto guardando sempre al futuro e alla tecnologia

La riforma dei media vaticani voluta da Papa Francesco e che è affidata alla Segreteria per la Comunicazione, “condurrà ora ad un sistema multimediale unico con una direzione editoriale unitaria che terrà conto sia dell’aspetto multilinguistico che multiculturale”, come ha spiegato monsignor Dario Edoardo Viganò.

Usura e azzardo, i silenzi colpevoli dei media. Intervista a Sergio Rizzo

Usura e Azzardo, due facce della stessa moneta, un connubio mortale per la tenuta economica e sociale del nostro Paese. Oltre il dieci per cento del valore della spesa delle famiglie italiane è consumata in azzardo. Significa che le famiglie rinunciano alle spese mediche, alimentari e scolastiche e si indebitano per tentare la fortuna. Il giro di affari dell’azzardo, spesso nelle mani di società italiane ma basate quasi tutte all’estero, si aggira intorno ai 100 miliardi, contro i nove miliardi che lo Stato incassa ogni anno da Azzardopoli. Le concessionarie riversano su televisioni, stampa e affini montagne di soldi, con lo Stato che favorisce un fenomeno che ha contribuito a far crescere del 32 per cento nel solo mese di settembre la raccolta dei casinò on line. Oltre un milione sono i giocatori d’azzardo patologici in Italia che spesso finiscono nella morsa dell’usura a causa dei debiti del gioco. Numeri da capogiro, snocciolati a Bari nei giorni scorsi da Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera e scrittore, relatore del convegno “Usura e Azzardo, la parola ai Media", organizzato dalla Consulta Nazionale Antiusura “Giovanni Paolo II”, sui quali però regna disattenzione e silenzio di buona parte delle testate giornalistiche italiane. Lo scrittore de “La Casta”, ha fatto in Puglia una full immersion; la mattina all’Università di Bari ha parlato a una platea di studenti e professori, il pomeriggio, a Bitonto, ha risposto alle domande di commercialisti, avvocati e giornalisti. 

Sergio Rizzo, l’usura è un serpente che strangola famiglie e imprese e che ha uno stretto rapporto con l’azzardo, il quale non è un gioco, ma è la causa della rovina di famiglie, ragazzi e anziani, e mette anche a dura prova la tenuta sociale del Paese. Perché la maggior parte della stampa ne parla poco?

Penso ci sia un problema di sottovalutazione del fenomeno da parte dei mass media,  che relegano l’usura nella cronaca spicciola, trattandola alla stregua di un incidente stradale. Il problema invece è ben più complesso e insidioso, legato anche alla criminalità organizzata che ricicla tramite l’usura il denaro sporco”.

La "cecità" dei giornalisti sul tema dell’azzardo da cosa dipende?

“Io innanzitutto mi chiedo perché di un fenomeno così complesso e pericoloso, se ne debba occupare un prete. Mi riferisco a Mons. Alberto D’Urso, Presidente della Consulta Nazionale Antiusura, che mi ha  voluto a Bari per discutere di questi temi. E lo Stato che ruolo gioca? Di fondo c’è un doppio problema di ipocrisia. Ci sono in ballo troppi soldi perciò saltano gli ostacoli a livello mediatico, e non solo.

La prima ipocrisia riguarda il mondo giornalistico. Quando è uscita l’intervista di Gian Antonio Stella a Damiano Tommasi, Presidente dell’Associazione Calciatori Italiani, sulla questione Intralot che sponsorizza la Nazionale, dalla quale emergeva il disappunto dei calciatori azzurri sulla sponsorizzazione della società di scommesse, quasi nessun giornale l’ha ripresa. Il motivo è semplice, non ci si vuole schierare contro società che sostengono gli editori per  centinaia di milioni di euro. La seconda riguarda la parte che “gioca” lo Stato. È stata la FIGC a cercare la Intralot per chiedere la sponsorizzazione, quindi ha giocato un ruolo attivo. Il giro d’affari, che ammonta a 100 miliardi l’anno, corrisponde a quattro manovre finanziarie. Ma potrei fare un altro esempio. Lo Stato ha pensato di ricostruire L’Aquila con le macchinette mangiasoldi. La città terremotata è il primo territorio italiano per concentrazione di slot machine. E allora i giornalisti hanno sicuramente delle responsabilità, ma lo Stato dov’è?”.

Questo evidente conflitto di interessi dove porterà il sistema dei mass media? 

Si tratta di un’autocensura che mina la credibilità della nostra professione e non è dasottovalutare. È una questione di responsabilità etica che la professione giornalistica deve avere come fondamento.  Penso che i fenomeni dell’Usura e dell’Azzardo debbano essere affrontati in quest'ottica.

Carcere e querele temerarie per i giornalisti: incontro tra Fnsi el ministro Orlando

Abrogazione del carcere per i giornalisti, querele temerarie usate come strumento di minaccia nei confronti dell’esercizio del diritto di cronaca, sblocco della legge sulla diffamazione, attualmente ferma in quarta lettura al Senato: questi alcuni dei temi affrontati nel corso di un incontro tra una delegazione della Federazione della Stampa, guidata dal presidente Giuseppe Giulietti, e il ministro  della giustizia, Andrea Orlando.


La Federazione della Stampa, si legge in una nota pubblicata sul suo sito, ha sollecitato l’approvazione definitiva di una legge che recepisca finalmente le sollecitazioni arrivate dalle istituzioni europee in materia di abrogazione del carcere per i cronisti e soprattutto la definizione di una norma che scoraggi le querele temerarie diventate un vero e proprio strumento di minaccia nei confronti dei cronisti che indagano su mafie, corruzione e malaffare.Allo stesso modo è stata posta all’attenzione del ministro la necessità di tutelare in modo adeguato i cronisti che quotidianamente si occupano di queste materie ed esposti a continue minacce a tal punto che decine e decine sono ormai i cronisti costretti ad una vita blindata.

Il ministro, sottolinea la nota, non solo ha confermato il suo interesse e la sua sensibilità nei confronti di queste tematiche ma si è anche impegnato a definire un percorso di confronto che possa portare alla individuazione degli strumenti più idonei per arrivare alla definizione di temi che da troppo tempo sono all’attenzione delle istituzioni, ma non riescono a trovare una adeguata risposta. La Federazione della Stampa ha infine dato la propria più ampia disponibilità a partecipare nei modi e nelle forme che saranno definite nelle prossime ore ai gruppi di lavoro che stanno elaborando gli stati generali dell’antimafia e i progetti di educazione alla legalità e del contrasto al cosiddetto linguaggio dell’odio e della violenza. 

Giornalismo d'inchiesta: il mistero irrisolto su omicidio Alpi-Hrovatin

Un agguato senza perché per un delitto insoluto, che si porta via una giovane cronista televisiva ed un operatore. Sono passati 22 anni e il movente che potrebbe aver mosso la mano del killer, di colui che ha tirato il grilletto del kalashnikov, è un mistero che non è stato dipanato, neanche  con la assoluzione del “molto presunto” assassino, il somalo Hasci Omar Hassan. La mamma di Ilaria, la signora Luciana, lo dice abbastanza chiaramente: "sul caso hanno lavorato 5 magistrati e 3 procuratori che non sono riusciti a porre fine alle troppe bugie, ed ai troppi depistaggi che hanno caratterizzato questa vicenda. Ho l'impressione che gli inquirenti non siano mai stati interessati a scoprire la verità".

E' il 20 marzo 1994 quando Ilaria, viene uccisa. Insieme a lei c'è Miran Hrovatin, 45 anni. Omar Hasci Hassan è presto indicato come "facente parte del commando” e viene condannato dalla Corte d'Assise d'appello al carcere a vita. Dopo un annullamento della Cassazione e un nuovo processo di secondo grado l'imputato Hassan viene condannato a 26 anni di reclusione.Nel febbraio 2015, alle telecamere del tg3 e di 'Chi l'ha visto?' il grande accusatore di Hasci, il suo connazionale Gelle, ritratta: "Lui è innocente, io neanche c'ero. Mi hanno chiesto di indicare un uomo e l'ho fatto". Nel gennaio scorso la Corte d'appello di Perugia ha riaperto il processo per Hasci e il 19 ottobre è stato assolto per non aver commesso il fatto.

Immediato il commento della Fnsi:

“La liberazione di Hashi – hanno precisato il presidente Giulietti ed il segretario Lo Russo- rende ancora più evidente la mancata individuazione dei mandanti e degli esecutori di quell’atroce esecuzione. Spetta ora alle istituzioni, alle autorità politiche, agli inquirenti e ai magistrati chiarire una vicenda che è stata segnata sin dall’inizio da omissioni, bugie e soprattutto da ripetuti depistaggi. Un ringraziamento infine alla giornalista Chiara Cazzaniga della redazione del programma di Rai Tre “Chi l’ha visto”, che con la sua tenacia ha contribuito a svelare le bugie del cosiddetto superteste ‘Gelle’ che aveva aperto la strada all’inquinamento delle prove e all’arresto di Omar Hashi Hassan. La Federazione della Stampa resta a disposizione della famiglia Alpi e dei suoi legali per qualsiasi iniziativa dovessero decidere di intraprendere per continuare a reclamare verità e giustizia per le famiglie Alpi e Hrovatin”.