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CHIUDE AGENZIA MISNA, SOLIDARIETÀ E APPELLO DELLA FNSI: "PARADOSSALE, INTERVENGA LA CEI"

1ma1Anche l’estremo tentativo di salvare l’agenzia Misna si chiude con un nulla di fatto. Le quattro famiglie missionarie proprietarie della testata declinano l’ultima offerta della Cei e annunciano la chiusura. Ma la Fnsi, nell’esprime solidarietà e vicinanza ai colleghi, non intende rinunciare e rilancia: “Ci auguriamo un deciso intervento della Conferenza episcopale italiana per impedire che si arrivi al paradosso di oscurare la voce di chi non ha voce”."Non sono bastati gli appelli, le numerosissime manifestazioni di stima e solidarietà giunte nelle ultime settimane per scongiurare la chiusura della ’voce di chi non ha voce’: l’assemblea dei giornalisti di Misna apprende  che anche l’estremo tentativo di salvare la testata, grazie al contributo e a una soluzione sostanziale proposta dalla Conferenza episcopale italiana, è stato fatto naufragare". Così Alessia De Luca Tupputi, fiduciaria di redazione dell'agenzia di stampa, dà notizia degli esiti dell'ultimo incontro tra i rappresentanti del sindacato e delle quattro famiglie missionarie proprietarie della testata.

“Ieri pomeriggio – prosegue il resoconto della fiduciaria – i superiori generali dei quattro istituti soci dell’agenzia (Missionari comboniani, Missionari della Consolata, Missionari Saveriani e Pime) hanno lasciato cadere nel vuoto la mano tesa di chi proponeva una ‘exit strategy’ alla crisi dell’agenzia. Con un voltafaccia inatteso e contrario agli auspici di buona parte del mondo missionario, del volontariato e dell’editoria cattolica e nazionale, i rappresentanti delle congregazioni hanno fatto tramontare ogni speranza per il futuro della testata che da 18 anni racconta l’attualità dei Sud del mondo”.

Un vero e proprio tradimento nei confronti della redazione - che molto si era spesa in queste settimane per trovare una soluzione che ormai sembrava a portata di mano - ma soprattutto l’atto finale di un progressivo abbandono dell’unica realtà nella quale i singoli istituti religiosi erano chiamati a lavorare insieme.

“In tempi in cui si fa sempre più evidente la necessità di aprire al dialogo interreligioso ed ecumenico e all’inizio dell’anno del giubileo della Misericordia, è triste dover constatare che a spegnere la voce di Misna sia proprio l’incapacità delle diverse congregazioni missionarie a dialogare tra loro, mettendo da parte interessi particolari, a favore di un più ampio ‘bene comune’. Una sfida persa per il mondo dell’editoria cattolica, di cui a fare le spese – conclude Alessia De Luca Tupputi – saranno non solo le stesse realtà missionarie, confinate ognuna nel suo angolo, i dipendenti laici e le loro famiglie, ma le periferie del mondo su cui, da oggi, cala un po’ più di silenzio”.

Immediata la solidarietà ai colleghi del presidente e del segretario generale della Fnsi: “Siamo solidali con la redazione dell’agenzia Misna e ci mettiamo a completa disposizione loro e dell’Associazione Stampa Romana per qualsiasi iniziativa si renderà necessaria”, affermano in una nota Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti.

“Ma al di là degli aspetti contrattuali e sindacali – osservano Lorusso e Giulietti – non vogliamo e non possiamo credere che, in un momento in cui questo pontefice, papa Francesco, richiama ogni giorno e in ogni modo l’attenzione sulle periferie oscurate, si possa chiudere un’agenzia che storicamente è nata e si è distinta per la sua capacità di illuminare proprio le terre dimenticate. Una voce che è l’emblema stesso della capacità di rappresentare mondi e continenti spesso sconosciuti. Per questo ci auguriamo che ci sia un ripensamento all’interno delle quattro famiglie missionarie che sono gli editori dell’agenzia e che ci sia anche un deciso intervento della Conferenza episcopale italiana per impedire che si arrivi al paradosso di oscurare l’agenzia che ha dato luce e voce in questi anni a tante periferie dimenticate”. (FNSI)

CHARLIE HEBDO: SEGRETARIO FNSI LORUSSO, “LA LIBERTÀ DI STAMPA ANCORA SOTTO ATTACCO”

1anIl rischio di bavaglio resta in Italia, come in altri Paesi d'Europa. A un anno dalla strage che il 7 gennaio 2014 costò la vita a 12 persone, la libertà di stampa è ancora sotto attacco. In Italia, in Francia, ma anche in Paesi come la Polonia o la Turchia. “Proprio a sostegno della lotta dei colleghi turchi, FNSI e Usigrai – scrive il segretario Raffaele Lorusso – promuoveranno il 21 gennaio un sit-in di protesta davanti all’ambasciata turca a Roma. Perché, oggi come ieri, siamo tutti Charlie”.Ricordare le vittime della strage di Charlie Hebdo non può essere soltanto un normale tributo alla memoria. Se un anno fa, di fronte all’efferatezza delle immagini di quelle vite spazzate via dalla furia cieca dell’integralismo terrorista, eravamo tutti Charlie Hebdo, oggi dovremmo esserlo ancora di più. E non soltanto perché la minaccia terroristica non è stata allontanata, ma impone all’Occidente sforzi quotidiani per mantenere vivo e inalterato il complesso di valori e il patrimonio di libertà e di diritti individuali e collettivi che si sono affermati a partire dal XIX secolo.

Oggi come ieri, siamo tutti Charlie Hebdo perché la libertà di stampa, anche in Europa, in Italia come in Francia come in Spagna, per citare alcuni esempi, è sotto attacco. Non c’è soltanto la minaccia terroristica. C’è un nemico più subdolo che ogni giorno cerca di ridurre lo spazio della libertà di espressione e per rendere, se non innocuo, sicuramente più difficile l’esercizio del diritto di cronaca.

Quel nemico, nel nostro Paese, è un complesso di norme di legge che impongono lacci e laccioli alla libertà di stampa.

In Italia esiste ancora il carcere per i giornalisti. La proposta di legge che dovrebbe eliminarlo, se non modificata, rischia di rivelarsi un pasticciaccio brutto. Decisamente intollerabile è poi il fenomeno delle querele temerarie. A chiunque è possibile intimidire un giornalista o un giornale avviando azioni di risarcimento danni milionarie che, per quanto infondate, hanno il solo scopo di indurre il giornalista al silenzio, almeno per un certo periodo di tempo. Chi promuove queste azioni sa bene che, al massimo, rischia la condanna al pagamento delle spese del giudizio. Altra cosa sarebbe se, come raccomanda la Corte europea dei diritti dell’uomo, il responsabile dell’azione temeraria fosse condannato anche al pagamento di una sanzione proporzionata all’entità del risarcimento richiesto. Si tratterebbe di una regole di buon senso.

Così come il buon senso dovrebbe guidare il legislatore nel regolare la materia complessa delle intercettazioni e della pubblicazione di atti giudiziari. L’introduzione di un generalizzato bavaglio di Stato rappresenterebbe una duplice negazione: del dovere dei giornalisti di informare e del diritto dei cittadini a essere informati. In un caso e nell’altro, sarebbe calpestato il dettato costituzionale. Non soltanto con riferimento all’articolo 21, ma anche nell’articolo 1, nella parte in cui assegna al popolo la sovranità. L’esercizio della sovranità, che ha nel suffragio universale il momento di massima solennità, presuppone infatti una consapevolezza nell’opinione pubblica che soltanto la libera circolazione delle idee e delle informazioni può assicurare.

Non si tratta di invocare l’impunità per i giornalisti. Il cronista che sbaglia va sanzionato. Vanno previste norme efficaci, in grado di offrire in tempi ragionevolmente brevi soddisfazione a chi ha subito un torto. Il carcere e la censura preventiva sono però inaccettabili perché richiamano regimi autoritari e illiberali.

Non va poi taciuto il fenomeno dei tanti, troppi giornalisti costretti a vivere sotto scorta perché minacciati di morte dalla criminalità.

Per tutte queste ragioni non possiamo non essere tutti Charlie Hebdo. In Francia e in Italia. Ma anche in tutti i Paesi, come la Turchia, in cui la stampa viene perseguitata. Proprio a sostegno della lotta dei colleghi turchi, FNSI e Usigrai promuoveranno un sit-in di protesta davanti all’ambasciata turca a Roma, il prossimo 21 gennaio. Perché, oggi come ieri, siamo tutti Charlie.  (FNSI)

X EDIZIONE FESTIVAL GIORNALISMO 6-10/4 A PERUGIA

1f1aTorna a Perugia dal 6 al 10 aprile 2016 il Festival Internazionale del Giornalismo con la sua decima edizione. Il centro storico del capoluogo umbro, con i suoi teatri e le sale dei palazzi storici perugini farà ancora una volta da sfondo a dibattiti, interviste, presentazioni di libri, convegni e serate teatrali.    Più di 500 gli speaker, provenienti da ogni parte del mondo, che discuteranno di giornalismo, di attualità e di problemi dell'informazione. Tutto, come ogni anno, rigorosamente a ingresso libero. L’hashtag ufficiale della manifestazione è #ijf16. (ANSA)

QUATTRO FREELANCE SU DIECI GIORNALISTI A REDDITO ZERO IN ITALIA

1laaSono i dati più rilevanti segnalati dal Rapporto annuale sulla professione giornalistica a cura di Lsdi, che verrà presentato ufficialmente il 12 gennaio prossimo nel salone della Fnsi, a Roma.‘’Il processo di progressiva contrazione del lavoro dipendente e la parallela crescita del peso del lavoro autonomo – osserva fra l’ altro il Rapporto, giunto alla sesta edizione – continuano ad essere i tratti salienti dell’ evoluzione della professione in Italia, come mostrano i dati dell’ Inpgi e degli altri istituti di categoria relativi al 2014’’.‘’Un altro anno di profondo malessere – prosegue lo studio -, che ha visto acutizzarsi la crisi della professione e dei suoi organismi e indebolirsi ulteriormente il ruolo di polarizzazione dei media tradizionali nel campo del lavoro subordinato’’.“I dati su cui si basano le analisi che da qualche anno stiamo producendo sono esclusivamente quantitativi e quindi non permettono di analizzare appieno le trasformazioni qualitative che in questi anni hanno caratterizzato la professione e che richiederebbero un approccio diverso.E’ auspicabile che gli istituti di categoria della professione – Fnsi, Inpgi, Casagit, Ordine e Fondo complementare – mettano in campo un lavoro di analisi comune su questo piano, partendo semmai da una serie di spunti che già sono stati rilevati.Ci riferiamo in particolare ad una parte degli elementi raccolti dall’ Osservatorio sul giornalismo messo a punto dall’ Agcom, che ha prodotto recentemente un ampio Rapporto – ‘’Indagine conoscitiva su informazione e internet in Italia. Modelli di business, consumi, professioni’’ – e ai primi approcci del gruppo di lavoro ‘’Giornalismi’’ dell’ Ordine dei giornalisti (vedi il Rapporto ’’Nelle redazioni domina ancora la carta, ma la talpa del cambiamento sta scavando’’ ).Per quanto riguarda l’ Agcom, in particolare, la ricerca ha cercato di ‘’delineare alcune tendenze in  atto, con particolare riferimento agli effetti prodotti dalla pervasiva diffusione degli strumenti digitali. Nuovi modi di comunicare, nuovi modelli organizzativi e la necessità di rispondere ai mutati bisogni di informazione hanno avuto effetti dirompenti su cosa significa oggi essere giornalista’’.Tra le altre cose, il Rapporto ha ricostruito un quadro interessante delle attività svolte regolarmente dal campione che ha partecipato alla ricerca (2.300 giornalisti), la corrispondenza fra studi e argomenti trattati, gli strumenti e le fonti maggiormente utilizzate, il processo di verifica delle informazioni e il rapporto fra motivazione e retribuzione, oltre ad altri aspetti extra-economici associati alla soddisfazione per il lavoro.In quanto alla ricerca del Consiglio nazionale dell’ Ordine, è in corso la seconda parte del lavoro, che verrà presentata nelle prossime settimane.(LSDI)

MARIE CLAIRE, 5 GIORNI DI SCIOPERO CONTRO LICENZIAMENTO CAPOREDATTRICE: “APPLICATA LEGGE FORNERO”

1marie-claire-cover-675Cinque giorni di sciopero al mensile Marie Claire. E’ la risposta della redazione all’editore Hmc, che ha deciso di licenziare la caporedattrice Alba Solaro avvalendosi della legge Fornero. Secondo quanto riportato dal comitato di redazione, l’azienda ha giustificato la scelta con ragioni economiche, dettate da un calo della pubblicità. Ma la decisione ha scatenato la reazione dei colleghi, che hanno indetto uno sciopero parlando di un “clima di terrore”. E allo stesso tempo, questo licenziamento getta un’ombra di incertezza su tutti i giornalisti italiani, creando quello che il sindacato definisce “un brutto precedente”.Il provvedimento nei confronti di Alba Solaro – a Marie Claire dal 2002 e caporedattore dal 2007 – spiegano i colleghi, è stato comunicato all’interessata lo scorso 29 dicembre, a redazione semivuota. Il direttore del personale le ha consegnato una lettera che decretava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in poche parole per ragioni economiche. L’editore Hmc, che rientra nel gruppo Hearst, ha fatto riferimento alla legge Fornero: anche se il licenziamento sarà impugnato e ritenuto illegittimo dal giudice, alla giornalista non spetterà la reintegrazione al posto di lavoro, ma solo un indennizzo da 12 a 24 mensilità. Come fanno sapere dalla Fnsi, il sindacato dei giornalisti, ad applicare la legge Fornero “ci hanno già provato altre aziende in passato, ma senza riuscirci: sarebbe un brutto precedente, perché darebbe il segnale che chiunque è licenziabile”. Insomma, per i giornalisti italiani tira una brutta aria, dopo la disdetta unilaterale del contratto di lavoro da parte degli editori. “Il fatto oltremodo grave – spiega Sara Del Corona, giornalista del comitato di redazione di Marie Claire – è che mai un editore si era spinto fino a questo punto. Un’azione simile mette a rischio la qualità dei giornali: si smantellano le redazioni sfilando le professionalità che vegliano sulla qualità giornalistica dei contenuti”. In risposta al licenziamento di Alba Solaro, professionista milanese molto stimata (la sua bacheca su Facebook si è riempita rapidamente di attestati di solidarietà), i colleghi hanno dato vita a una serie di mobilitazioni. Innanzitutto, è stato indetto un pacchetto di cinque giorni di sciopero, tre dei quali messi subito in atto nei giorni 30 dicembre, 4 e 5 gennaio. Inoltre, il comitato di redazione ha annunciato anche il blocco degli straordinari nei prossimi giorni. I sindacati chiedono all’azienda il ritiro del provvedimento: un primo incontro tra le parti si terrà il prossimo 11 gennaio.“L’azienda ha parlato di problemi economici che investono il gruppo a livello internazionale, legati a un calo della pubblicità – spiega Del Corona – Per questi motivi, hanno deciso di sopprimere la figura del caporedattore centrale. Ma nell’ultimo incontro con l’editore, a ottobre, nessuno ci ha menzionato queste difficoltà. Anzi, si parlava di una previsione di profitto nel 2016. Qualcuno ci deve spiegare qual è il problema”. La solidarietà è arrivata da molti giornalisti, in particolare dai colleghi dell’editore Hmi, anch’esso parte del gruppo Hearst, che comprende testate come Elle, Cosmopolitan, Gente, Gioia. “Non è instaurando un clima di terrore, ricorrendo alla discutibile e aggressiva pratica dei licenziamenti individuali, che si può pensare di creare le basi per vincere le sfide del futuro”, scrivono i giornalisti. Ilfattoquotidiano.it ha contattato la segreteria dell’amministratore delegato di Hmc, che però non è risultato raggiungibile. (FNSI)