Giornalismo e post verità, una sfida deontologica. La tavola rotonda conclusiva della Scuola Ucsi di Assisi.

Ricostruire e dire la verità è la sfida deontologica più importante del giornalismo di tutti i tempi. Il giornalismo ha sempre avuto sete di verità, una verità “raccontata” ovviamente, penalizzata da un punto di vista, ma che in ogni modo deve rispondere alla realtà dei fatti. È stato questo il filo conduttore della tavola rotonda di domenica 24 settembre – dal titolo “Ricostruire e dire la verità. La sfida deontologica dei giornalisti nel tempo della post verità e dei neo populismi” –moderata dalla presidente Vania De Luca e con la quale si è conclusa la Scuola di formazione UCSI ad Assisi.

Nell’epoca attuale, l’epoca della Rete e dei social network, in cui le fake news subiscono un effetto moltiplicatore proprio a causa dell’ampia capacità diffusiva di internet, i giornalisti si trovano però a dover fare uno sforzo in più per raccontare la realtà.

Raccontare la realtà è un dovere deontologico che deve corrispondere ad una consapevolezza concreta, non un semplice “rispettare le regole”. Ed ecco che subentra la coscienza come luogo di riflessione e di analisi, all’interno del quale l’uomo, e quindi anche il giornalista (o la giornalista), matura le proprie scelte. “La cultura contemporanea sembra aver svuotato il significato antropologico di coscienza (sociale)” - ha affermato Padre Francesco Occhetta, scrittore de “La Civiltà Cattolica” e consulente UCSI - tutto ciò che in qualche modo comporta “la responsabilità verso l’altro”. In definitiva “la formazione di una coscienza sociale può essere garantita soltanto da un’opinione pubblica formata, capace di distinguere il bene dal male”. È qui che subentrano tutte le questioni legate alla post verità e al suo superamento come risoluzione della crisi di realtà alimentata dai mezzi tecnologici, che tendono a celare l’umano dietro uno schermo.

Il giornalismo non può ovviamente fuggire dalla tecnica o evitare la tecnologia e i suoi mezzi, ma non può nemmeno fuggire da ciò che è umano. Per superare la crisi dettata dalla post verità, e di conseguenza dall’inquinamento della realtà da parte delle fake news - che rappresentano una “malattia della Rete”, come ha affermato Guido Mocellin, giornalista e scrittore - occorre in sostanza ritrovare il valore dell’alterità, del prossimo. La crisi  è lavorativa ma prima di tutto antropologica, e pervade le nostre comunità.

Il giornalismo, pur non disprezzando i mezzi tecnologici preziosissimi per la professione, ha il compito, o meglio il dovere, di ricostruire e dire la verità considerandola una sfida deontologica, in un’epoca in cui post verità e neopopulismi tendono, soprattutto in Rete, a soffocare non solo le buone notizie ma semplicemente le notizie. “Siero per contrastare gli effetti della cultura della post verità sono la testimonianza e la capacità di dare buone notizie. Che difendano la vita, rispettino il dolore, costruiscano bene comune”, ha affermato Padre Occhetta.

Una delle caratteristiche del nostro tempo è lo “storytelling”, ossia la capacità di raccontare storie, ha sottolineato Padre Paolo Benanti, docente di Teologia morale e bioetica. Viviamo quindi in “un’epoca narrativa” in cui ciò che impera è il “narrative turn” come lo definiscono i sociologi. Ciò comporta una riflessione anche per il giornalismo chiamato a non ‘inventare’ delle storie (fake news), bensì a raccontarle sulla base di avvenimenti oggettivi, legati alla realtà di fatti e persone. Inoltre il “ruolo” del giornalismo dovrebbe essere di “formazione per la cittadinanza”: un ruolo di servizio da rendere alla società. Un “giornalismo generativo”, quindi, che riesca a nutrire e guidare le nostre comunità, che sia in grado di formare le coscienze invece che destrutturarle.

Per superare la “tristezza individualistica”, come l’ha definita Papa Francesco riferendosi allo stile di vita del nostro tempo - e quindi anche alle “comunità immaginate” che vivono all’interno dei social network - occorre in qualche modo riscoprire il valore dell’alterità, dell’Altro, mentre in molte situazioni “il prossimo è morto”, ha affermato Padre Francesco Occhetta. Nel mondo digitale, in particolare, l’Altro è un contatto da contabilizzare come “un like” o il risultato di un selfie, più che il volto di una relazione umana.

Ultima modifica: Mar 26 Set 2017