#lamiascintilla/12 - Il 'fuoco lento' della vocazione al giornalismo

L’esercizio di memoria, utile anche per rimotivarsi in tempi non sempre facili, mi porta immediatamente a dire che, rispetto alla mia scelta di fare la giornalista, non posso parlare di una vera e propria scintilla... piuttosto mi viene da pensare ad una cottura lenta.

Come un brasato che per diventare gustoso e restare morbido ha bisogno di tempo, giusta marinatura e saggezza culinaria, così la scoperta della mia vocazione professionale, perché tale è, ha avuto percorsi talvolta tortuosi, forse anomali, ma che alla fine hanno trovato convergenza nell’arte di scrivere per raccontare la realtà.

La passione per la scrittura mi ha abitata fin da piccola, anche se, non avendo illustri precedenti in famiglia, non pensavo mai di approdare al giornalismo. Talvolta l’idea mi accarezzava: ero affascinata dal modo in cui le notizie venivano raccontate alla tv ed incantata dalla radio; ero attirata dalla possibilità che la parola scritta offriva come spazio di narrazione. Allo stesso tempo ero avvezza all’arte: dal disegno, alla calligrafia, alla musica, amica cara, quest’ultima, cui ho dedicato molti anni di studio. Lo sport, sperimentato in tante discipline, ma mai sfociato in qualche podio mi ha forgiata alla determinazione e alla perseveranza. C’era l’amore per i paesaggi e le storie descritte nei libri che sfogliavo e leggevo spesso, tuffandomi un mondo “altro”. Crescevano, poi, in me, come vento sottile, la capacità di osservazione e l’amore per il bello: era mio padre, fotografo di professione (quel ramo della mia famiglia che, a Trieste, fu pioniere della fotografia industriale), ad insegnarmi come inquadrare una situazione, a giocare ad immaginare un possibile scatto, a porre attenzione ad una luce radente che cambiava la percezione di uno scorcio insignificante appena un attimo prima.

Poi gli studi economici, apparentemente fuorvianti, che hanno affinato in me la capacità di leggere la realtà attraverso i numeri, le teorie, i grafici, le scuole di pensiero... fino alla tesi sull’immigrazione che mi ha offerto un punto di osservazione privilegiato sulla realtà di tante persone in fuga dalla guerra. Dopo gli studi una prima svolta: una sostituzione di maternità in un ufficio stampa e passo dopo passo, anno dopo anno, la strada ha iniziato a delinearsi, all’inizio timidamente, poi con più convinzione, fino all’esame di Stato e alla professione prima in redazione, poi come freelance.

Molte le persone che mi hanno insegnato qualcosa di importante e alla quale sono grata: due in particolare (don Silvano Latin, il mio primo direttore, e Orazio Carrubba, mia saggia guida in preparazione all’esame) mi hanno offerto la “cassetta degli attrezzi” e le giuste “potature” per camminare con le mie gambe.
I momenti di buio in questi anni non sono certo mancati. Ma in questo buio alcune luci, a volte fioche a volte più decise, mi hanno incoraggiata a non mollare, specialmente quando la tentazione di cambiare lavoro si è fatta avanti con insistenza. Gli incontri, le storie e, perché no, anche i premi e riconoscimenti ricevuti (e inattesi) sono stati il segno che la strada era quella giusta.

E in tutto questo percorso, la presenza rispettosa, discreta e costante del Maestro che, con pazienza, ha seminato ad ogni tratto di sentiero ciò che un giorno in me sarebbe potuto fiorire e rifiorire.

Ultima modifica: Mer 28 Ago 2019