Le buone virtù di un artigiano della comunicazione - #ilmiopresepe/2

Mi ha sempre affascinato la figura di San Giuseppe. Il falegname di Nazareth ci richiama all’urgenza di ritrovare un senso di sana lentezza, di calma e pazienza. Con il suo silenzio ci ricorda che tutto inizia dall’ascolto, dal trascendere se stessi per aprirsi alla parola e alla storia dell’altro.

Il patriarca Giuseppe era un artigiano, un falegname che per sostenere la famiglia ha intrapreso un lavoro semplice e umile. Cosi come San Giuseppe anche il giornalista è un “artigiano della comunicazione”.

Il giornalista conosce il peso di ogni parola: comunicare (con i lettori, telespettatori, radioascoltatori, navigatori del web) è una cosa seria (forse oggi abbiamo perso la nostra missione a causa delle difficoltà lavorative e della mancata valorizzazione professionale). Questo mestiere ha bisogno di un lungo tempo in cui le parole vengono messe nell’incubatrice del silenzio e dell’ascolto, una sorta di luogo interiore dove si costruisce la trama della vera comunicazione.

Ogni parola ha il suo peso perché ogni parola o dà la vita o la distrugge. La figura del patriarca Giuseppe ci richiama allora alla nostra responsabilità di essere bravi e buoni artigiani della comunicazione, riprendendo il nostro ruolo all’interno del tessuto sociale e culturale, aprendoci all’ascolto, al discernimento per poi donarci agli altri.

Oggi la pandemia ha cambiato il nostro modo di vedere e di rapportarci, ma noi “artigiani - giornalisti”, guardando a San Giuseppe, dobbiamo essere anima silenziosa della società e della vita della gente dei nostri territori. San Giuseppe per primo ha realizzato questa comunicazione nella casa di Nazareth come custode ed educatore di Gesù insieme con la sua sposa, Maria. A ben vedere, dalla falegnameria di Nazareth alle nostre redazioni il passo non è poi così lungo!

Anche noi possiamo essere comunicatori di bene e di vero, testimoni appassionati e gioiosi capace di dire al mondo la bellezza del Vangelo! Un giornalista sa ascoltare: gli altri, la realtà, quello che gli succede attorno. E ascoltare è una specie di sguardo interrogativo, ma che non parte dal cervello perché darebbe subito risposte, valutazioni, conclusioni, separazioni. Parte dal cuore, dalle emozioni, dai sentimenti che si intrecciano per fare spazio, per comprendere, “prendere dentro”, il tutto di ciò che accade. E parte dalla capacità simbolica che abbiamo e che non utilizziamo come mezzo di lettura dei fatti.

Ultima modifica: Mer 23 Dic 2020