Raccontare con la penna della gentilezza. L'esempio della violenza di genere

Micaela Faggiani, autrice del contributo che segue, ha ricevuto il premio "Natale Ucsi - Genio della donna". Tra le sfide possibili del giornalismo inserisce quella del linguaggio. E della gentilezza che deve contraddistibguerlo.

MICAELA FAGGIANI

L’educazione è l’arma più potente che si può usare per cambiare il mondo” diceva Nelson Mandela. All’educazione affianco, almeno come monito, l’informazione, quella buona, quella scritta sui manuali per l’esame di Stato dei giornalisti, quella che segue il codice deontologico e “lo aggiorna”.

Parto da un tema a me caro, quello della violenza sulle donne per arrivare al nocciolo del mio discorso sullo stato di salute e sul futuro del giornalismo e dell’informazione. Perché con l’impegno che la categoria si è presa con il Manifesto di Venezia, quel 25 novembre del 2017, c’è proprio quello di promuovere un linguaggio rispettoso della persona e della parità di genere, così come la Convenzione di Instanbul chiarisce come, in tema di violenza sulle donne e femminicidi, l’elemento culturale sia fondamentale e assegna all’informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità.

Perché fare informazione oggi, nell’epoca della tv digitale, del web, della comunicazione veloce e immediata rende ancora più importanti la responsabilità e la deontologia professionale e, aggiungo, anche personale. Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”, soprattutto se ci si trova di fronte ad un fenomeno dilagante e così triste qual è la violenza di genere.  I mezzi di comunicazione non dovrebbero cadere cioè in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo.

Eppure è quel sensazionalismo che fa vendere i giornali o aumentare lo share, quel “l’ha uccisa per un raptus o per passione non corrisposta, l’ha massacrata perché lo tradiva”, dove al centro ci sta il colpevole e non la povera donna finita nella maggior parte dei casi all’altro mondo. Perché allora la colpa sta sì nella testa di chi legge o ascolta e crede di essere di fronte ad un fiction come Ncis, ma anche in chi sta raccontando una realtà tragica come un film, che però di inventato non ha nulla, visto che si sta parlando di vita, morte e di dignità delle persone.

Ecco perché il Manifesto di Venezia chiede ai giornalisti l’ impegno nell’inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i minori, quella di prestare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate.

IL Manifesto di Venezia non è però un dovere, ma solo un impegno in prima persona nel promuovere un linguaggio rispettoso della persona e della parità di genere, una sorta di atto condiviso tra colleghi e colleghe, che si impegnano a portare avanti in prima persona, questa modalità nella pratica quotidiana del lavoro professionale delle redazioni.

Perché il giornalismo non sia “imbruttito” come capita purtroppo sempre più spesso, serve una presa di coscienza forte e la consapevolezza che lo strumento che abbiamo in mano può modificare la rappresentazione del mondo. Ed è per questo che l’informazione attenta e rispettosa risulta fondamentale e va a braccetto con l’educazione.

Se la maggior parte dei colleghi provasse a fare così sarebbe più facile anche per il lettore e cittadino capire chi sta violando una norma non scritta ma fondamentale, quella del rispetto e dell’informazione corretta ed eventualmente segnalare e denunciare.

Perché chiariamo una cosa. Chi di noi giornalisti “si comporta male” fa ricadere sugli altri colleghi un’onta che già aleggia da tempo sulle nostre teste, quella di pennivendoli, di venditori di notizie, di ricercatori di click.

Sappiamo bene noi giornalisti che il valore di una notizia sta non solo nel racconto dei fatti ma nel raccontarli bene, con empatia e oggettività. Così come sappiamo in cuor nostro che al contrario un’informazione scorretta, può procurare anche distorsioni e danni gravi per la formazione dell’opinione pubblica, dell’immaginario collettivo e degli stereotipi di ogni genere.

E allora, da donna che si sta impegnando anche nel tempo libero, attraverso l’associazionismo, e da giornalista, non posso che cercare di mettere assieme queste due parole, educazione e informazione, perché l’abbinata è sicuramente un successo, non tanto come numero di click o di share ma sicuramente nel rendere la società più equa, paritaria, più gentile.

Sì, soprattutto più gentile, non gridata, che poi tradotto significa più educata, più rispettosa della verità, più empatica e giusta. Non credo sia un miraggio, nonostante i giornali e le tv debbano guadagnare, ma una prospettiva alla quale guardare tutti.

Sicuramente vedremmo e racconteremmo il mondo in maniera diversa.

Non è lo strumento che deve cambiare ma il modo in cui lo utilizziamo, pur con tutte le nuove tecnologie del caso, anzi proprio grazie alle innovazioni future è possibile davvero costruire un nuovo mondo.

E riscriverlo, con la penna della gentilezza.

Ultima modifica: Sab 11 Feb 2023