La responsabilità di chi 'racconta' una tragedia come quella di Genova

Quella di oggi, 15 agosto, è certamente una festa segnata dallo choc, dal dolore e dalla rabbia. La tragedia di Genova, che tutti noi abbiamo vissuto con emozione, incollati agli schermi della tv o del computer, offre però lo spunto anche per alcune considerazioni sul nostro lavoro.

La prima: l’eccezionale capacità di mobilitazione dei mezzi di informazione ‘mainstream’. Intendo quelli nazionali e più strutturati, ma anche quelli regionali e locali. Ciascuno di essi ha fatto la sua parte, con professionalità e tempismo, nonostante il periodo particolare dell’estate. E’ un segno evidente che proprio una ‘buona organizzazione’ è un valore aggiunto di ogni testata che impiega giornalisti veri, al di là di tante improvvisazioni e dell’estemporaneità che purtroppo caratterizzano una parte (rilevante) della comunicazione di oggi..

Seconda annotazione: la capacità indiscutibile della maggioranza dei giornalisti che sono stati impegnati nelle lunghe cronache di quel dramma di discernere tra ‘vero’ e ‘falso’, di mettere ordine nella babele di tweet e post, di selezionare i video e le immagini. Il giornalista è necessariamente un ‘discernitore’, è colui che vede, comprende e racconta la realtà. Anche quella realtà che oggi, in maniera sempre più massiccia, passa attraverso le reti sociali.

Questo mi porta ad una ulteriore, ultima considerazione: la tempesta di commenti fin dai minuti immediatamente successivi alla tragedia non ha ragione di essere, soprattutto quando a farli sono coloro che hanno responsabilità politiche e istituzionali. Mentre era in corso la conta delle vittime era già in atto un rimpallo delle colpe, una sorta di ‘campagna di convincimento’ a chi aveva ragione e chi torto. Una polemica sterile, in un'occasione che doveva essere invece di silenzio e di rispetto. Una propaganda inutile, in quei momenti.

Ci siamo mai chiesti allora cosa potrebbe accadere senza i giornalisti? Come potrebbe essere raccontata una tragedia così? Chi farebbe un’azione di selezione e mediazione? E chi vigilerebbe, nei limiti del possibile, sulla correttezza delle testimonianze e persino dei video e delle foto in circolazione, che sono taroccabili con sempre maggiore facilità?

Forse andremmo avanti, più di quanto già non accada oggi, con un ‘botta e risposta’ incessante, con un duello virtuale combattuto prevalentemente sui social. Ma che sarebbe molto distante da noi, dalla nostra vita, da quello che veramente vorremmo e che soprattutto ci servirebbe.

Ultima modifica: Mer 15 Ago 2018