Il 'supplemento d'anima' del giornalismo di Massimo Milone

Incredulità. Sgomento. E il buco nero del dolore di una perdita improvvisa che risucchia come un vuoto d’aria, a mozzare il respiro mentre il cuore pensante passa inesorabilmente alla moviola mezzo secolo di ricordi − privati e pubblici, personali e collettivi, umani e professionali − in gran parte condivisi: soprattutto in un percorso di comune militanza giornalistica con un “supplemento d’anima” − e di appartenenza esplicita a una fede laicamente aperta alla complessità delle sfide dei tempi.

È stato un comune amico, incontrato per caso al termine di una mattinata di faticoso impegno formativo in Archivio di Stato a Napoli, a darci la notizia della prematura scomparsa di Massimo: da poco andato in pensione dall’ultimo prestigioso incarico di Direttore di Rai Vaticano e ad appena un anno dalla morte del fratello Marcello, di cinque anni più giovane di lui, che tanto lo aveva provato. Il classico fulmine a ciel sereno. Di cui evidentemente non è facile parlare, per il coinvolgimento emotivo che comporta. Ma gli amici della famiglia Ucsina ce lo hanno chiesto e allora proviamo a farlo, come un sommesso ma sentito e doveroso omaggio al compagno di viaggio di tanti di noi: scusandoci preventivamente per qualche inevitabile pennellata soggettiva, affettivamente e intimamente autobiografica.

Correva la metà degli anni Settanta quando ci conoscemmo la prima volta, nella bella casa partenopea di Michele Prisco che con le sue due figlie e la moglie Sarah accoglievano abitualmente, in frequenti feste e momenti conviviali, gruppi di giovani appassionati di cultura, assetati di conoscenza, curiosi della vita, pieni di valori e sogni nel cassetto. Un vero e proprio cenacolo, oltre che luogo di aggregazione e ritrovo dove amicizie e amori, ideali e vocazioni si intrecciavano in un incessante confronto creativo, snodando destini. All’epoca ero adolescente, di passaggio per Napoli per le feste comandate durante le quali ritrovare amicizie consolidate durante le vacanze estive in Costiera: romana di nascita, cosmopolita per formazione, vivevo infatti all’estero e dovevo scegliere, di lì a pochi anni, a quale università iscrivermi. E per una carsica genealogia al femminile (per via di madre napoletana e nonna materna particolarmente amata, in una città di adozione altrettanto amata che per me è sempre stata uno straordinario, stimolante laboratorio-osservatorio antropologico) alla fine optai per l’università di Napoli Federico II.

Ricordo bene, di quegli anni, che nel gruppo di amici più grandi (che un po’ ci intimidivano) Massimo, estroverso e brillante studente di Giurisprudenza con il pallino del giornalismo, il ciuffo bruno ribelle non ancora incanutito, aveva già il piglio da leader, stemperato dalle battute ironiche di una napoletanità signorile che lo avrebbe accompagnato anche nei passi successivi della sua vita privata (l’amore per la moglie Barbara, e i loro due figli Alessandro e Andrea) e della sua carriera: dalle collaborazioni giovanili con il quotidiano «Avvenire» (scaturite dalla cura iniziale delle pagine di «Napoli 7», testata di uno dei primi inserti diocesani che nella sede di stampa di Pompei integravano ogni domenica la foliazione del quotidiano della Cei, con uno sguardo attento al Mezzogiorno, fino all’apertura della redazione di «Avvenire Sud», di cui Massimo divenne firma familiare, anche come corrispondente nazionale del giornale da Napoli), attraverso la cura della comunicazione per la Diocesi di Napoli e per la Democrazia Cristiana, all’ingresso in Rai nel 1979 (dove è stato a lungo caporedattore centrale incline al dialogo dopo aver seguito da inviato e cronista di rango di alcuni dei più importanti avvenimenti di cronaca, politica, attualità), fino all’approdo alla guida di Rai Vaticano.

Un suggello (l’ultimo) per la sua esplicita appartenenza al mondo cattolico in cui ha saputo ritagliarsi un ruolo di punta: da affabile mediatore e punto di riferimento come esponente di una tradizione cattolico-democratica di stampo sturziano, attenta al servizio pubblico come “servizio”, appunto, sociale, ovvero dalla parte dei cittadini più che del potere e dei suoi giochi.

L’”infoetica”, ossia l’etica dell’informazione, era una delle sue preoccupazioni costanti. Un tema su cui, collaborando con l’università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha tenuto fra il resto anche corsi e conferenze, oltre a pubblicare diversi libri nutriti delle sue competenze giuridiche, della conoscenza della dottrina sociale della Chiesa e del pragmatismo delle sue doti comunicative di immediatezza, chiarezza di linguaggio e lucidità di analisi (virtù riversate anche in alcune pubblicazioni meno note ai più e rivolte ai lettori più giovani: tra i quali Il segreto di Caterina, storia di un amore diverso e il libro Sulle sponde del fiume Han. Storia di un missionario, di una imperatrice crudele, di un paese lontano..., entrambi editi da L’isola dei Ragazzi nel 1999 come La notte di Bartolo, 2000). Rientra in questo solco anche la lunga e operosa militanza nell’Unione Cattolica Stampa Italiana, di cui è stato presidente nazionale per due mandati, dal 2002 al 2008. E fu proprio nel 2002 (quando, mentre io intanto lavoravo dall’inizio anni ’80 alle pagine culturali del «Mattino» di Napoli ed ero diventata pure Segretario Generale della Fondazione Premio Napoli) che Massimo mi ricontattò: per convincermi a rilanciare l’Ucsi campana, che viveva un momento di stallo delle sue iniziative dovuto soprattutto a una mancanza di ricambio generazionale dei soci (compreso l’anzianissimo consulente ecclesiastico di allora).

Rammento le mie (legittime) resistenze, e la sua affettuosa insistenza. Che alla fine mi convinse ad accettare la sfida di un’elezione a presidente regionale di cui avvertivo tutto il peso e la responsabilità. Ma «è proprio a chi è pieno di impegni che bisogna chiederne altri, perché chi già fa trenta, può riuscire a fare anche trentuno» fu la chiosa sorniona di padre Pasquale Borgomeo, il compianto gesuita a quei tempi consulente ecclesiastico nazionale dell’Ucsi che amava parafrasare spesso il Vangelo di Giovanni: «Se non ascolti e non comunichi con il fratello che vedi, come puoi comunicare con Dio che non vedi?».

Avevano entrambi ragione: gli oltre vent’anni trascorsi in Ucsi (fino alla vicepresidenza nazionale, al fianco della presidente Vania De Luca nella storica svolta “rosa” del congresso di Matera), progettando percorsi di servizio culturale, inclusione sociale, formazione di colleghi più giovani − nel segno di un altro compianto e profetico grande amico al quale è stata intitolata non a caso la Scuola di Assisi, Giancarlo Zizola – e rilanciando fra il resto in giro per il Paese la rivista di cultura della comunicazione Desk in cui Massimo credeva fortemente, con la consueta lungimiranza, sono obiettivamente stati una delle stagioni più intense e memorabili di un percorso comunitario tra colleghi di tutta Italia, vissuto con laico e fraterno entusiasmo (che ha generato nuovi rapporti di amicizia e consolidato vecchi legami) all’interno della Chiesa. Non a caso Massimo, attentissimo all’evoluzione del magistero papale (e non solo) dal Grande Giubileo del Duemila, ha dedicato numerosi saggi a figure carismatiche offrendo, puntuale, la sua asciutta analisi da un punto di vista appassionatamente meridionalistico. Mai dismesso, nemmeno dall’ultima prospettiva romana.

Ne sono testimonianza, in particolare, alcuni testi che vorrei ricordare in quest’ottica: Dal Sud per l’Italia. La Chiesa di Papa Francesco, i cattolici, la società (Guida editori, 2017), ad esempio, libro corale e dialogico che intreccia voci di prelati, economisti, imprenditori del Sud, è emblematico dello spirito meridionalista sturziano citato prima, e non solo, prezioso per andare oltre gli stereotipi della questione meridionale in prospettiva laicamente ecclesiale, ad adombrare anche il buon senso di don Lorenzo MiIani, Priore di Barbiana, con il suo monito civico-educativo lanciato, 50 anni fa, con Lettera a una professoressa: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia». Perché in questo libro su Chiesa e Mezzogiorno, sul ruolo dei cattolici nella società italiana ai tempi della “rivoluzione spirituale” di papa Francesco e sulle irrisolte contraddizioni dello sviluppo di una Italia dalla doppia velocità (seconda potenza industriale europea dopo la Germania, ma anche scenario di svantaggi strutturali e diseguaglianze ancora oggi diffuse soprattutto al Sud) Massimo poneva al centro della riflessione degli analisti i danni dell’individualismo egoistico e della mancanza di coesione sociale e, ripercorrendo l’identità plurale del Sud tra buone pratiche e scacchi di una crisi epocale e globale, soprattutto di valori non negoziabili, prima ancora che economica, delineava – ben prima della crisi pandemica e della guerra in Ucraina − la necessità di tornare a un welfare comunitario con un’economia più attenta al capitale relazionale e sociale. E in tale ottica, l’isolamento (e l’insignificanza, tra miriadi di buone pratiche) di una pur valida minoranza “eticamente determinata”, portatrice sana della “differenza cristiana”, veniva così interpellato senza sconti da ciascuno, in un libro che giunse opportuno e puntuale come strumento di approfondimento, in occasione della due giorni su «Chiesa e lavoro, quale futuro per i giovani nel Sud?». Grazie, anche, alla sua dovizia di dati (e una preziosa appendice con tutti i documenti della Chiesa italiana sul Sud: da I problemi del Mezzogiorno, del 1948, attraverso lo storico approfondimento del 1989, Sviluppo nella solidarietà, seguito dal documento Per un paese solidale, del 2010, fino ad arrivare al discorso a Scampia di Papa Francesco in occasione della sua visita pastorale a Napoli nel 2015) e sintesi critiche tra memoria, attualità e profezia i cui lucidi contributi intrecciavano interrogativi, riflessioni e sguardi diversi (laici e religiosi) per un’analisi condivisa, e costruttiva, di annose criticità tutt’ora attuali e da superare - nell’attuale orizzonte di crisi epocale e globale sotto gli occhi di tutti ma che penalizza, soprattutto in Italia, i più giovani – con la stessa consapevolezza che animò il celebre appello da Napoli nel 1923 di don Luigi Sturzo: «Il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno! La redenzione comincia da noi».

Un richiamo forte per un nuovo, necessario umanesimo integrale, solidale e al passo con i tempi: che impongono di coniugare senso identitario e spirito comunitario, impegno personale e civile, ma anche Vangelo, cultura e responsabilità sociale e formativa, contro il dilagare della piaga della povertà educativa. Buone pratiche di un “Sud profetico” contro gli scacchi di uno svantaggio strutturale, che ha prodotto e produce uno sviluppo dimidiato, sullo sfondo di una crisi epocale globale che investe economia, politica, società, ma anche cultura e informazione, nella cosiddetta era della “disintermediazione digitale” in cui a vacillare, con i valori, sono proprio l’orientamento, il senso, la direzione da imboccare con quel «supplemento di pensiero» radicalmente umanista (e orientato alla centralità della persona), additato oggi da economisti “civili” come Stefano Zamagni (nella scia dell’illuminista Antonio Genovesi, padre dell’economia civile, e dell’”Economy of Francesco”) e densi documenti pontifici (come l’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, o l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco, “motore” per l’enciclica bergogliana Laudato si’, per citare solo i testi più recenti).

Testi pontifici ben noti a Massimo, commentati nei suoi racconti non solo televisivi sulle transizioni della Chiesa, del suo linguaggio, dei suoi gesti, delle sue scelte comunicative presenti anche in altri suoi libri, come Pronto? Sono Francesco. Il Papa e la rivoluzione comunicativa un anno dopo (Libreria Editrice Vaticana, 2014), pubblicato appunto a un anno dall’elezione al soglio pontificio del primo Papa gesuita, argentino, venuto «quasi dalla fine del mondo» con le periferie nel cuore, dopo il gesto rivoluzionario di ritiro in vita di Benedetto XVI ma pubblicato anche a un anno dalla nomina di Massimo a direttore di Rai Vaticano proprio l’11 febbraio 2013, giorno dello storico annuncio delle “dimisioni” di Ratzinger. Una svolta che gli ha cambiato la vita, sulle orme di papa Bergoglio a lui caro che ha scelto di chiamarsi Francesco trasformando, da subito, le modalità comunicative della Chiesa pur in continuità con il Magistero dei suoi predecessori. Massimo lo ha narrato efficacemente, stavolta da una speciale prospettiva ravvicinata, in questo libro concepito come una sorta di “taccuino d’appunti” di un testimone o, meglio, una “lettera aperta” dell’autore a se stesso, ai propri figli, ma soprattutto ai giornalisti − colleghi, maestri, amici − che sentano vivo il peso della responsabilità di una (in)formazione capace di scansare i «buchi neri» delle «cattive abitudini», dell’«opacità etica» e dell’«ipocrisia» dei poteri forti facendosi invece interpellare in profondità dalla ricerca (e dal bisogno) di verità, di senso e di bellezza irradiati da un Pontefice che, con uno stile diretto e colloquiale, sprona ciascuno alla bontà. Con un’empatia senza la quale – lo ricordava anche un reporter come Kapuscinsky, in Il cinico non è adatto a questo mestiere, edito da e/o, 2002 – non si può essere nemmeno buoni giornalisti. In Pronto? Sono Francesco Massimo intreccia non a caso, con il suo consueto metodo di indagine giornalistica, 14 significativi documenti papali (discorsi di udienze ai rappresentanti dei media, come il primo incontro del Pontefice con seimila comunicatori sociali, il 16 marzo 2013, accanto a testi, messaggi, contributi del Papa e interviste con i giornalisti) a riflessioni personali dell’autore: particolarmente attento, nelle sue considerazioni e domande sul ruolo e sull’orizzonte della comunicazione e del servizio pubblico televisivo, anche a far memoria di una teologia dei volti con il “respiro lungo della storia”, auspicato da un maestro di giornalismo come Emilio Rossi. Una testimonianza appassionata, la sua, arricchita alla fine del libro da un corpus di documenti sulla Mediaetica - progetto e laboratorio dell’UCSI lanciato da Giancarlo Zizola - oltre che da un’utile sitografia e bibliografia che non devono mai mancare, nella cassetta degli attrezzi di un giornalista di razza.

Per una singolare coincidenza, proprio nella Chiesa dell’Arciconfraternita dei Pellegrini alla Pignasecca, annidata nell’amata città natia (dove il suo cuore ha cessato di battere) dove vengono celebrate le sue esequie, Massimo aveva presentato poco più di un mese fa il suo ultimo libro, di bilancio sul magistero di Bergoglio: Da Francesco a Francesco. Dieci anni di un Pontificato innovatore (Casa editrice Francescana di Assisi 2023). Ancora un contributo di amore ecclesiale. L’ultimo. Quasi un testamento spirituale involontario, echeggiato da un eloquente auspicio nello stile dell’autore: «Sulle orme di San Francesco − scrive − ci incamminiamo con Papa Francesco con la consapevolezza che mettendo insieme tutti i volti, anche feriti dell’Umanità, si può vincere, si possono sconfiggere le guerre, limitare la povertà, arginare i cambiamenti climatici, dialogare tra diversi, costruire insieme un mondo diverso».

Ultima modifica: Mar 9 Mag 2023