Turchia, la più grande prigione per giornalisti del mondo

Più della Cina, peggio di Egitto e Iran. La Turchia è oggi la più grande prigione per giornalisti del mondo. Lo dicono tutti gli osservatori internazionali, dal Committee to Protect Journalists a Reporters sans Frontières. Lo confermano quelli locali.

Alla fine di marzo, quasi 150 dietro le sbarre. Ma i numeri cambiano velocemente, e aumentano sempre. Per il governo, però, nessuno è in carcere per la sua attività di reporter, ma solo per “terrorismo”, che sia di matrice ‘gulenista’ o curda. Poco conta, per Ankara, che nella lista ci siano giornalisti veterani ed editorialisti apprezzati in tutto il mondo, da Ahmet Altan a Kadri Gursel. Secondo Erdogan, “sono tutti ladri, pedofili e terroristi”.

Da febbraio, in galera c’è anche il corrispondente della Welt con doppio passaporto turco-tedesco, Deniz Yucel. Manco a dirlo, è accusato di “terrorismo”. Erdogan l’ha definito una “spia” di Berlino. Che però si chiede come possa dirlo, visto che il processo a suo carico deve ancora iniziare. Un rapporto sempre più difficile, quello con la Germania. Lì è riparato Can Dundar, ex direttore del quotidiano Cumhuriyet, baluardo dell’intellighenzia laica. Ricercato da Ankara, a Berlino è stato accolto persino dal Capo dello Stato.

Poi, ci sono le altre ombre della libertà di stampa: almeno 170 media sono stati chiusi dopo il golpe, centinaia di accrediti cancellati e diversi reporter stranieri cacciati, ub un clima di auto-censura diffusa anche tra molti giornali un tempo considerati di opposizione. E poi, naturalmente, c’è un impero mediatico vicino al presidente Erdogan.

Ultima modifica: Mar 28 Mar 2017