Vorrei un giornalismo che colga e coltivi segni di speranza (nel solco di La Pira)

Nel giugno 1970 il professor Giorgio La Pira si stabilì a Casa Gioventù, in via Gino Capponi 28 a Firenze, dove ancora oggi sorge la sede dell’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira (www.operalapira.it) che conserva intatta la stanzetta il cui il Sindaco santo ha alloggiato fino alla morte, avvenuta il 5 novembre 1977.

Lì, in quegli ultimi anni di avventura terrena, insieme a Pino Arpioni, fondatore dell’Opera Villaggi per la Gioventù e collaboratore lapiriano fin dal primo mandato da sindaco nel 1951, il professore ebbe modo di condividere un tempo bello e intenso a contatto con i più giovani, quasi a passare loro il testimone della sue tesi – quanto mai attuali in questo frangente storico – per l’unità delle famiglie abramitiche a partire dalle sponde del Mediterraneo, per il dialogo tra Occidente e Oriente, per il disarmo e la pace di Gerusalemme.

Fu proprio in quei mesi di primavera e di inizio estate del 1970 che nacque Prospettive, “foglio di collegamento degli amici del Cimone e della Vela”, rivista periodica – tuttora esistente – che veniva redatta e ciclostilata dai giovani di Casa Gioventù per essere inviata a tutti i ragazzi che frequentavano i campi estivi ed i momenti formativi dell’Opera Villaggi per la Gioventù.

Ebbene, fin dal luglio di quel 1970 La Pira ispirò la presenza, all’interno di Prospettive, della rubrica “Segni di Speranza”, perché secondo la sua visione teleologica della storia, attraverso l’impegno e le vocazioni degli uomini, la speranza era chiamata a sorgere contro ogni speranza (secondo il motto paolino “Spes contra Spem”), proprio nei momenti storici più critici e lungo il crinale apocalittico dei passaggi più delicati, quali erano gli albori di quegli stessi anni ’70 tra i delicati equilibri internazionali della guerra fredda, le minacce nucleari, il terremoto sociale e politico del 1968 e l’inizio dei cosiddetti anni di piombo in Italia.

La rubrica “Segni di Speranza” voleva rappresentare esattamente il germoglio che sboccia nel contesto apparentemente meno favorevole, in cui le cattive notizie sembrano prevalere: lo stesso La Pira tratteggiava lucidamente questo concetto due anni dopo, il 27 aprile 1972 a Sofia, durante la Conferenza mondiale delle città europee, ben sintetizzato dalle parole di padre Alessandro Cortesi: "In quella circostanza La Pira presentò un tema a lui caro: il suo sguardo sul crinale apocalittico della storia, crinale posto tra la “frontiera apocalittica della distruzione”, e l’altra frontiera, alternativa, “quella millenaria della unità, del disarmo, della pace, della giustizia, della elevazione materiale e spirituale della intera famiglia dei popoli” [Apoc. 20,1]. E’ quest’ultima la frontiera di Isaia, la ‘frontiera di Betlemme’, la ‘stella di Betlemme’ “verso cui tende ‘nonostante flussi e riflussi’, con un movimento in certo senso irreversibile ed invincibile, la storia totale del mondo!”.

Dopo aver evocato questo crinale egli indica con una metafora evocativa le tre pietre su cui vedeva potersi orientare il movimento “verso quella terra promessa, quella ‘terra messianica’ di unità, progresso, libertà e pace che il piano storico visto dai profeti – ed in certo senso anche da Marx – riserva alla fioritura della famiglia umana!”. La pace tutto edifica ed egli intravede tale edificazione in una ‘civiltà dell’universale’ (terminologia che mutua dal grande poeta africano Senghor), e “troverà di nuovo in Europa le tre fondamentali ed infrangibili pietre su cui edificarsi: la pietra profetica, di cui sono insieme, attraverso i profeti d’Israele ed attraverso i successori di Pietro, immagini viventi Gerusalemme e Roma; la pietra metafisica, la pietra giuridica”. La Pira suggerisce in tali termini un ritorno all’Europa che scopre il mandato di “aiutare tutte le iniziative continentali che tendono al negoziato globale” e di “collaborare efficacemente alla pacificazione del mondo”: “L’Europa riemerge (e nell’Europa includiamo il Mediterraneo, il grande lago di Tiberiade); riemerge la sua storia: riemerge la sua fondamentale cultura e spiritualità”.

Al di là del valore profetico di queste parole, prendo in prestito il pensiero lapiriano e la sua iniziativa, insieme a Pino Arpioni e ai giovani di Casa Gioventù, di introdurre la rubrica “Segni di Speranza” nelle pagine di Prospettive, per condividere l’auspicio per il giornalismo dell’anno venturo: un giornalismo che sia contemplativo nell’azione, che attinga alle radici del pensiero, che non si accontenti di inseguire lo scoop e di rimanere in superficie ma abbia il desiderio di approfondire, di accostarsi ai fatti con umiltà e oggettività e di studiarne le ragioni più intime, un giornalismo insomma che sappia coltivare la speranza anche in questo tempo di guerre e di buio, di egoismi e di ingiustizie, di dominio della logica del denaro e dell’edonismo quale unico orizzonte dell’agire umano. Come giornalisti e come cristiani non possiamo piegarci a questa logica, inseguire ed assecondare tale dinamica senza provare ad invertire l’ordine: le nostre notizie tornino allora a cogliere la luce nell’oscurità, a seminare la speranza in quei terreni a prima vista aridi e poco fertili, a rimettere al centro la persona, le relazioni, il valore di un umanesimo integrale capace di indicare il vero fine teleologico della storia, orizzonte di respiro e di pace per l’umanità.

Non si tratta, quindi, di fare forzature per vedere le cose buone dove non ci sono, ma di andare oltre la cortina della superficialità, che si ferma al primo ed immediato impatto, e alla brevità di un consenso figlio di un like, per scorgere le storie buone dove sono più nascoste e ritrovare così l’essenza di una narrazione che ispiri le cose buone, le azioni buone, la vita buona. Come avrebbe detto San Francesco, che a Greccio 800 anni fa si inventò una modalità di comunicare la nascita di Gesù incredibilmente innovativa ed originale qual è il Presepe, abbiamo bisogno di un giornalismo che sia davvero foriero di pace e di bene: “pax et bonum”. Troppo spesso noi ricordiamo che lavoriamo con le parole ma dimentichiamo che esse dovrebbero essere radicate anzitutto in un pensiero solido. Il mio augurio per il nostro 2024 di giornalisti è che ognuno di noi, nella vita professionale ma anche in quella relazionale, possa recuperare questo primato del pensiero quale fonte ispiratrice del racconto. È proprio il caso di dirlo: Spes contra Spem.
Buon 2024 a tutti!

Ultima modifica: Dom 31 Dic 2023