Tre proposte per raccontare le troppe povertà di oggi

Questo povero grida e il Signore lo ascolta”, recita il Salmo 34 che Papa Francesco richiamava già nel messaggio per la prima Giornata mondiale dei poveri, uno dei ‘frutti’ del Giubileo della Misericordia. Era il 2017, quattro anni fa. Nel mezzo c’è stata anche la pandemia, acceleratore drammatico di disuguaglianze e moltiplicatore di sofferenze.

Ecco, le povertà (vecchie e nuove) ci interpellano ogni giorno, nel nostro lavoro. Non a caso, alla vigilia di questa celebrazione, lo stesso pontefice aveva richiamato i giornalisti a vivere nel mondo reale, consumando la suola delle scarpe e non restando sospesi nel web (leggi qui). Dobbiamo comprendere, analizzare, approfondire, spiegare, contestualizzare. Per farlo servono occhi attenti e menti allenate.

Raccontare giornalisticamente le povertà non è facile, richiede conoscenza e attenzione, studio ed empatia. E non è facile neppure dare il taglio giusto a queste notizie, sforzandosi di evitare ogni forma di retorica e di sterile pietismo. E’ una sfida complessa anche perché lo è, ogni giorno di più, questo fenomeno: i giovani sono più poveri dei loro genitori e anche dei nonni, il lavoro (di per sé certo una grande ricchezza) da solo può non essere sufficiente, si riacutizza un divario culturale significativo tra chi può studiare e chi no. Anche molti giornalisti oggi sono poveri perché il salario che ricevono non è equo e neppure dignitoso.

Basta poi fare un giro con i volontari della carità che, nelle nostre parrocchie, portano vestiti e pacchi alimentari, per rendersi conto che le cose sono molto cambiate, oggi ancora più di due anni fa. A fare la fila, con il volto coperto per un sussulto di dignità, ci sono persone che non ti immagineresti mai. Ci parli e scopri che la vita li ha incastrati senza preavviso, hanno perso il lavoro, la casa, gli affetti, e ora stanno rinunciando anche alla speranza. Nella regione in cui vivo (la Toscana) nel 2020 si sono registrati 16mila poveri in più. Non sono numeri, sono volti e storie.

Noi non possiamo restare indifferenti, non possiamo, nei nostri articoli o servizi, parlare solo d’altro. Stiamo entrando nel periodo più consumistico dell’anno, ma nel mondo di oggi, nell’Italia di oggi, oltre alle luci dell’albero e alle meraviglie della tecnologia, c’è anche chi potrà solo guardarle, quelle cose. Con invidia o rassegnazione non lo so, ma so per certo che il mio dovere di giornalista, anche in un media ‘laico’, è quello di raccontare anche l’altra realtà, sempre più grande e significativa.

Allora, nel mio piccolo, propongo di seguire tre strade: coinvolgere le associazioni di volontariato (tutte) che si occupano di questi temi, puntando molto sul ‘racconto giornalistico delle esperienze’; evidenziare il più possibile nei servizi televisivi i dati (veri, oggettivi) delle diseguaglianze nella società di oggi, ben oltre gli indicatori del Pil o della eventuale e auspicata ripresa economica; moderare il più possibile i riferimenti ai ‘must’ del momento (quello zaino griffato, quel telefono di tendenza, quel capo alla moda). In questo modo, magari qualche voltam anche‘i poveri fanno notizia’.

C’è un’altra sfida, una delle più difficili, ed è chiaramente quella del linguaggio da utilizzare nel descrivere certe situazioni. La scuola, in questo caso, non può che essere quella della strada, o meglio di chi in strada ci va ogni giorno per vedere (e provare a risolvere) quell’emergenza povertà che oggi è sempre più accanto a noi.

Ultima modifica: Sab 13 Nov 2021