Ogni parola pesa/2. Come la Rai raccontava l'alluvione di Firenze

Anche io, quando Antonello scriveva quelle righe su informazione e terremoto, pendevo dalle tv saltellando dall’una all’altra per capire cosa stava succedendo in quelle zone interne e montane di un’Italia così spesso frequentata da terremoti grandi e piccoli. E pure io, nel massimo rispetto di colleghi chiamati all’improvviso in un ruolo difficile, ho avuto le stesse impressioni del nostro vicepresidente.
Sono balzato quando il tg dell’ottimo Mentana prima, comunque con cautela, ha passato un lancio di agenzia che annunciava “morti” e poco dopo è stato costretto a far presente che, quel lancio, la stessa agenzia lo aveva “annullato”. Facile intuire cosa stesse dietro una notizia data per battere sul tempo la concorrenza ma poi, e per fortuna, rivelatasi falsa.
E mi è tornato in mente, a proposito di disastri “naturali” (un terremoto lo è di sicuro. L’alluvione 1966 lo fu un po’ meno) la asciuttezza e l’efficacia di due colleghi davanti all’acqua, e al fango, che avevano invaso Firenze in quel 4 novembre di mezzo secolo fa: Marcello Giannini e Paolo Bellucci.
Il primo con l’escamotage del microfono fatto scendere in via Cerretani, dalle finestre della sede Rai, per far ascoltare, a chi nelle stanze Rai di Roma forse non ci credeva, il rumore di un fiume impazzito. Il secondo con l’asciuttezza e l’eleganza dei suoi racconti su una Firenze offesa ma non domata. Giornalismo di altri tempi per media di altri tempi.
Da qualche anno, sulla montagna pistoiese ci siamo inventati un piccolo premio giornalistico nel ricordo del compaesano Paolo Bellucci: un aspetto che di lui mi ha sempre colpito è la sua ritrosia a farsi riprendere in volto. Forse era solo timidezza. Ma forse era anche il desiderio di non diventare troppo protagonista, lui, rispetto al “peso” del protagonista vero: le notizie da raccontare.

 

Ultima modifica: Gio 27 Ott 2016