Esiste ancora un'etica del commercio? A noi giornalisti il dovere di raccontarla

RACCONTARE IL LAVORO - STORIE/1

Cagliari. Pochi giorni fa. E’ quasi l’ora della pausa pranzo. Siamo in un piccolo negozio del centro cittadino che in questi anni è stato un punto di riferimento imprescindibile per i bambini e gli appassionati di giochi di ruolo cagliaritani. Oltre Roberta, la responsabile del negozio che ventotto anni fa ha fondato l’attività per poi cederla, nel 2011, ad una nota catena nazionale (di cui volutamente si omette il nome), ci sono le altre due dipendenti, Simonetta e Sarah.

Nel negozio ci sono anche i vertici nazionali della catena, che ha negozi in numerose città italiane. L'amministratore delegato del Gruppo e qualche altro componente del board dell’azienda sono giunti a Cagliari per comunicare qualcosa di molto importante alle tre dipendenti. Per farlo attendono che l’ultimo cliente sia uscito, poi chiudono la serranda e appendono un cartello: chiuso per inventario straordinario.

Mentre fuori altri clienti attendono di poter rientrare a fare i loro acquisti, dentro il negozio si consuma il dramma. Un dramma abbastanza frequente, purtroppo, a Cagliari come in tante altre città d’Italia.

Che negli ultimi anni nel negozio cagliaritano le vendite non andassero bene era cosa abbastanza nota, ma Roberta, Simonetta e Sarah, credendo fortemente nel loro lavoro, erano disposte anche a rinunciare a una parte dello stipendio pur di proseguire l'attività. Non erano di questo avviso i dirigenti della catena, giunti a Cagliari proprio per comunicare la drastica chiusura del negozio e il licenziamento in tronco delle lavoratrici.

Non interessa in questo contesto analizzare se effettivamente il piccolo negozio cagliaritano potesse essere salvato. Quel che rileva è il modo in cui è avvenuta la chiusura. Senza il minimo preavviso per le lavoratrici, che - come loro stesse hanno raccontato- si sono trovate in mezzo ad una strada da un momento all’altro, e senza una spiegazione ai tanti clienti che per anni hanno considerato quel marchio come un simbolo di importanti valori etici ed educativi per i loro figli.

Ai tantissimi che acquistando alla [...] in questi 28 anni hanno creduto in questi valori e nella competenza di chi li trasmetteva, dedico queste parole come un immenso ringraziamento“, ha scritto Roberta, annunciando con un lungo post su Facebook l’avvenuta chiusura del negozio da lei fondato 28 anni fa, ringraziando di cuore i clienti e spiegando il perché di questo epilogo. “Il rapporto che lega un cliente ad un marchio è anche fatto di emozioni, di esperienze coinvolgenti legate a momenti importanti della vita. Quando finisce, è un dovere per chi l’ha vissuto salutare e dire grazie”. E magari anche “scusateci”, se qualche volta non siamo stati all’altezza. Non solo. Sento anche il dovere di raccontare perché e come siamo arrivati a questo epilogo triste. Senza segreti, senza nascondersi o vergognarsi. Un dovere verso chi per tanto tempo ha amato la [...] ed è bello che sappia anche come un’avventura finisce. Un marchio ha anche il dovere di spiegare, ringraziare e salutare quando le cose non vanno più bene: è una parte importante nella moralità del commercio, come di tutte le cose. Lo facciamo noi dipendenti del negozio di Cagliari, perché sembra che la casa madre, il Gruppo [...] nazionale, incredibilmente non senta questa esigenza e non voglia manifestare questo rispetto per i suoi clienti affezionati da tanti anni. Rispetto che a noi sembra irrinunciabile“.

Spesso, soprattutto in tempi di crisi economica, noi giornalisti dobbiamo raccontare il lavoro nei momenti più drammatici. Ma in questo caso, raccontare la vicenda delle tre dipendenti del piccolo negozio del centro di Cagliari, licenziate senza alcun preavviso, vuole essere un modo per accendere una luce di speranza. Un modo per dare dignità al lavoro, anche nel momento in cui questo viene a mancare.

Non tanto ovviamente per le modalità con cui si è conclusa un'attività commerciale nata quasi trent’anni fa. Modalità che se fossero avvenute in una realtà più grossa avrebbero sicuramente scatenato un finimondo sindacale. Quanto per lo spirito di servizio e la lezione di civiltà arrivata dalle tre lavoratrici in un momento così drammatico. Questo spirito, questa consapevolezza di svolgere un servizio utile agli altri, questo rispetto verso i clienti, ma più in generale verso le persone, sono valori che dobbiamo salvaguardare se vogliamo ancora sperare in un mondo del lavoro fatto di correttezza e lealtà e non soltanto di scambi di denaro e valutazioni puramente economiche. E sono valori che noi giornalisti abbiamo il dovere primario di raccontare e valorizzare.

Ultima modifica: Sab 6 Mag 2017