Tra social network e tribù digitali, la mediazione giornalistica serve ancora

La pandemia ha cambiato il nostro rapporto con le istituzioni, con la politica e la democrazia. Nel frattempo alle porte dell'Europa il conflitto russo-ucraino non accenna a fermarsi. In questi anni è cambiata la comunicazione e sono cambiati i comportamenti sociali. Il percorso di costruzione identitaria dell’individuo è incentrato sulla rappresentazione del sé attraverso i social e sul consenso che ne riesce ad ottenere. Si tratta di fatto dell’evoluzione e dell’estremizzazione dei concetti base della società del consumo.

In questo quadro si innesta la generale crisi del sistema dei media: la rapida diffusione dei social, la tecnologia sempre più a misura di click, ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare e relazionarci. I media, anni fa, esercitavano un potere di dog watching, di controllo sui poteri istituzionali ed economici nel perseguimento dell’obiettivo di fornire, attraverso la narrazione del fatto, quegli strumenti di conoscenza che dovrebbero aiutare gli individui a comprendere la realtà e a formare la propria opinione.
Il giornalismo vive una crisi evidenziata dall'arrivo dei social network che, sempre più spesso, contribuiscono alla nascita di processi distorsivi della realtà.

La sfida più difficile, che il giornalismo dell’era digitale deve affrontare, è proprio quella di riuscire a sfruttare la velocità a favore della profondità, guidando la relazione con l’utente e non cadendo vittima della logica del pay per click.
Quindi se per anni la presentazione delle notizie è stata delegata alla struttura delle 5W (chi?, che cosa?, quando?, dove?, perché?), oggi è necessario aggiungere una serie di accortezze legate al mondo del web. In tutto questo ci sono diversi rischi da combattere, tra cui la molteplicità delle fonti e i pericoli annessi.

Il “giardino sicuro”

La formazione di reti sociali sul web, che si alimentano e trovano una loro dimensione all’interno di contesti di mobilitazione, rappresenta uno di quegli elementi che stanno contribuendo a minare la relazione tra media e opinione pubblica, così come sta avvenendo per la politica e le istituzioni nel loro complesso.
La veicolazione dei contenuti e l’accesso alle informazioni avviene in una dimensione digitale, laddove queste diventano oggetto di discussione e di condivisione con il proprio network, che non è più configurabile semplicemente come un ambiente virtuale ma riveste ormai per gli individui un ruolo centrale nel proprio sistema di relazioni sociali, rappresentando la comunità di riferimento.

La realtà fattuale e la sua rappresentazione si definiscono attraverso la circolazione di informazioni a cui viene attribuito valore di verità, perché provengono dai membri della comunità alla quale è riconosciuta una credibilità derivante proprio dalla relazione costituita all’interno del network.

La società digitale ha superato e quasi annichilito il ruolo di mediazione del giornalismo: Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp, sono i nuovi luoghi di narrazione della realtà o di quella che si ritiene essere la realtà. Siamo entrati nell’era della post-verità, la misinformation, le fake news, le verità alternative, proliferano sui social, intorno ad esse si costruiscono e si rafforzano gruppi e comunità che si caratterizzano per visioni polarizzate del mondo.

Alcuni studi hanno evidenziato quello che sta accadendo e il professore Byung-chul Han ha descritto quest'era: «È il capitalismo dei like che dichiarano repentinamente la positività della nostra esistenza e anche delle nostre volontà, le quali sono guidate dall’illusione di volere e desiderare, mentre in alternativa non si dà negatività ma, semmai, una non esistenza. Un nuovo potere. Il potere del controllo delle menti è il controllo virale che attraverso la virtualità ci accarezza benevolo e ci suggerisce quello che ritiene conveniente; Il nuovo potere non osserva, il nuovo potere registra».

In questo senso il percorso di costruzione identitaria si trasforma in una rappresentazione del sé che ci faccia sentire parte del network.
In un contesto sociale estremamente fragile, dove le spinte a chiudersi e le paure continuano ad aumentare, i social network rappresentano il “Giardino sicuro”.

Il luogo in cui diamo vita alla rappresentazione dell’Io come evento pubblico, condividiamo con pubblici connessi diretti (gli amici, i followers eccetera) e con i pubblici indiretti (gli amici degli amici eccetera) quell’identità sociale che proprio attraverso la connessione e rappresentazione cerchiamo di rafforzare e mantenere viva. I social network stanno diventando il nostro “giardino sicuro” sotto la spinta dei grandi player che ci forniscono continuamente nuove applicazioni che ci danno la sensazione del “su misura”. Le spinte del marketing si mescolano con le opportunità che i social possono offrire, non solo “giardino sicuro” ma anche “luoghi di sperimentazione”.

A CHI CREDERE?

La riduzione dei codici linguistici apre però ad una nuova dimensione critica, quella relativa alla minore capacità di comprendere il reale. Ciò pone un interrogativo su come si modifica il concetto di credibilità informativa: se da un lato abbiamo un narratore che utilizza un linguaggio sempre più ridotto e meno chiaro, la semplificazione e l’immediatezza del simbolo non è di per sé esaustiva dell’espressione del concetto, e dall’altro un pubblico meno capace di interpretazione critica. A venire meno è il concetto di credibilità.

La credibilità informativa è la credibilità che si attribuisce al “narratore” o al testimone che si colloca come mediatore tra noi e i fatti, gli eventi che vengono riferiti.

Il sociologo Walter Lippman ha spiegato il ruolo dei mezzi di informazione e la professione giornalistica: «mentre coloro che hanno accesso diretto al teatro degli avvenimenti possono fraintendere quello che vedono, nessun altro può decidere in che modo lo fraintenderanno, sempre che non sia in grado di decidere dove guarderanno e che cosa».
Proprio per questo, in un momento storico nel quale così tanti cittadini consumano notizie attraverso i social media, il compito sociale del giornalista consiste anche nello smontare false voci, una volta che superino una certa soglia di visibilità.

L'urgenza è quella di ricreare autorevolezza e credibilità. Recenti ricerche dimostrano che anche se ai membri dei gruppi “politici” sui social spieghi che quella diffusa in rete è una bufala e ne porti le prove, non ci credono e continuano a farla girare e commentarla, come se fosse una verità alternativa.
Ha preso il sopravvento un particolare effetto di alterata informazione e si basa sul fatto che in presenza di molte notizie il lettore, generalmente, non le confronta in maniera critica, ma sceglie o l'ultima in ordine di tempo, o la più semplice o quella che l'ha colpito di più.

Un meccanismo inconsapevole, che altera i nostri ricordi e che è legato a limiti nel funzionamento dei nostri processi cognitivi, si somma al cosiddetto egosurfing, la tendenza a ricercare nelle notizie la conferma di un'opinione che il lettore ha già.

LA MEDIAZIONE GIORNALISTICA

Al giornalista è in primis attribuito il ruolo di mediatore, e questa connotazione tipica non può cambiare né in funzione dell’ambito in cui la professione viene esercitata né tantomeno in relazione al passare del tempo o delle modifiche che intervengono nel tessuto sociale.
Nel corretto esercizio di questa funzione si esplica il fattore credibilità e bisogna affrontare una sfida che si concretizza nella capacità di andare oltre, di utilizzare l’ascolto per scovare quelle notizie che non sono ancora entrate nel flusso social, nel far crescere la propria professionalità, avendo consapevolezza che paradossalmente alla velocità di fruizione dell’informazione oggi si affianca una maggiore durata nel tempo.

La comunicazione assume un grande rilievo nel processo di crescita della società e non può assolutamente appiattirsi. Non bastano i contenuti e i fatti, ma servono anche quei valori che permettano al cittadino di sentirsi parte di una comunità. Non c’è più tempo da perdere e la credibilità deve essere riconquistata.

Sul tema della credibilità dell’informazione, leggi anche: Appunti per governare la mediamorfosi: negoziare l’algoritmo per l’autonomia professionale di Michele Mezza

Ultima modifica: Sab 17 Giu 2023