Vivere la Gmg dentro un carcere

Andare a Lisbona? Come vivere la Gmg? La risposta è arrivata da due amici: Daniela Pozzoli, di Avvenire, e don Francesco, prete di Fano che da sempre è un grande ‘creatore’ di opportunità. L’invito: vivere la Gmg dentro un carcere.

Certo non era quel che pensavo, ma la vita è fatta sempre per stupirti. Conoscevo il carcere di Fossombrone per lavoro, grazie alla pluridecennale attività dell’ormai ex cappellano, don Guido Spadoni. A parte lui e la secolare struttura a forma di croce greca, era ormai cambiato tutto...
Nuovo il direttore, Orazio Sorrentini. Nuova la cappellania, con don Desirè e suor Catherine. Un nuovo mondo da esplorare.

Il 20 maggio i giovani della diocesi avevano incontrato i 90 detenuti (massima sicurezza) nel percorso di preparazione per Lisbona. Nel giorno della via Crucis, tuttavia, si andava preparando una cosa nuova e molto bella: una via crucis dei detenuti in sintonia con il papa a Lisbona. Era quello l’evento da seguire, in esclusiva per Avvenire. Le condizioni apparivano già di per sé proibitive: una via crucis serale, da seguire senza device elettronici per collegarsi in tempo reale con la redazione, che la sera ha tempi ‘terribili’. Una mission impossible.

Quando le cose sono ‘ispirate’, tuttavia, accadono, e accadono bene. Avvenire tra l’altro immagina il reportage nell’inserto sulla giornata centrale della Gmg, un’occasione da non perdere...
Così, ‘vertice’ nel carcere, con una direzione disponibilissima e cambio di programma: via crucis sempre in sintonia con Lisbona, ma alle 9 del mattino con la possibilità riconosciuta dal Ministero al giornalista, eccezionalmente, di portare dentro anche il cellulare, solitamente depositato, con tutti gli effetti personali, in portineria.

E così, nel giorno fatidico, mentre i giovani della diocesi, a Lisbona, consegnano i doni dei detenuti ( una bandiera-striscione, striscione, una bellissima icona di Cristo e uno scrigno vuoto, da riempire con emozioni e speranze...), contemporaneamente, nella casa di reclusione si celebra una via Crucis molto particolare, come, in questa giornata, tutto è particolare. La struttura carceraria dimostra tutta la sua età e mentre la si percorre per raggiungere il teatro, la pelle avverte il vissuto di centinaia, migliaia di detenuti che in questi decenni sono passati, vivendoci per un tempo spesso infinito.

In platea prendono posto gli ospiti che hanno accettato questa proposta: non sono tutti, sono comunque tanti. Sul palco un grande crocifisso in legno, realizzato da un detenuto, Nicola, con gli scarti di lavorazione del laboratorio di falegnameria. Nicola non è un artista, né falegname, ma si è improvvisato quasi per gioco, per ingannare il tempo, e si è scoperto bravo. Su quella croce gli ospiti caricano tante sofferenze, ma anche il desiderio di riscatto, maturati in questi anni.

“Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”: a questo passaggio del Vangelo di Giovanni ci si è ispirati Nicola, un detenuto con l’hobby del legno, che ha lavorato le eccedenze di precedenti lavori, destinati allo scarto, invece ritagliati ed elaborati, verso la nuova creazione. Una croce da 186 centimetri, con un frontale spigoloso, “espressione, spiega suor Catherine, delle sofferenze quotidiane di ogni detenuto, delle loro vittime e delle loro famiglie". Al posto dei chiodi delle mani, due cuori, circondati da spine e attraversati da una spada: “Sono i cuori di Gesù e di Maria, o anche delle mamme, capaci di stare accanto ai figli con amore incondizionato, abbracciando sofferenze e umiliazioni infinite...”

Il dorso della croce è ritagliato dal legno usato per i letti delle celle, dove hanno dormito uomini arrestati, condannati, forse anche innocenti, che hanno pianto, pregato, provato rimorso e pentimento, o che hanno passato notti in bianco. Nel nome: “Voci dal silenzio”, c’è una convinzione: come per Gesù, questa sofferenza non va perduta, ma trasformata, trasfigurata e redenta”. Sotto la croce, seduti, nove detenuti. La celebrazione tradizionale in carcere non è possibile, così la la cappellania, con la regia di suor Catherine Southwood, che ne fa parte, ha ridotto le stazioni a nove, con una croce più piccola che - di stazione in stazione - è passata nelle mani di altrettanti detenuti.

Guida la celebrazione fra Fabio, mentre padre Erik introduce ogni stazione, con le testimonianze degli ospiti, in parte originali, in parte riprese da analoghe situazioni, perché “le sentiamo assolutamente nostre...”. Sono parole che fanno venire i brividi, e non raccontano solo i vissuti dei detenuti, ma di tutti i vari mondi che si incrociano nell'esperienza carceraria.

C’è un condannato all’ergastolo: “la mia crocifissione, confessa, è cominciata da bambino, emarginato e bullizzato...” E poi, genitori cui hanno ucciso una figlia: “Non troviamo pace, ma quando la disperazione prende il sopravvento, il Signore, in modi diversi, ci viene incontro e ci prende per mano...”

Un altro detenuto racconta: “Da fuori il carcere era un ‘cimitero di morti viventi’, poi l’ho vissuto da dentro e da paese straniero è diventato la mia casa, in cui, tra l’altro ho condannato a entrare anche i miei genitori...”

Poi, la mamma di un detenuto: “Da quel giorno l’intera famiglia è entrata in prigione con lui...” e una figlia: “A chi mi chiede cosa provo per le vittime di mio padre rispondo che la prima vittima sono stata io...”

Un detenuto di Fossombrone: “Una delle sofferenze peggiori è perdere una figlia, ma adesso abbiamo recuperato e lei dice che è successo grazie all’amore di Dio...”

Alla fine da detenuti e volontari un’ultima preghiera attorno alla croce costruita da Nicola. Al direttore, Orazio Sorrentino, il ringraziamento per avere incoraggiato questo momento, animato liturgicamente da un gruppo del Rinnovamento nello Spirito. In questa struttura ormai secolare, costruita a forma di croce greca, risuonano le parole di don Desirè: “Non sono solo i detenuti a lavorare su se stessi: anche chi ha la libertà fisica è opportuno trovi il modo e il momento di valutare se non sia schiavo, detenuto di altre prigioni, come quelle interiori, morali, ideologiche...”

La via crucis, ricorda in chiusura don Fabio, non è la celebrazione di una morte, ma di una resurrezione. Solo il fatto di sentirsi ascoltati, di poter esprimere pubblicamente sofferenze, angosce, speranze, alleggerisce un peso che schiaccia le esistenze. Prima di lasciare il teatro e tornare in cella, i detenuti ringraziano quanti hanno reso possibile la celebrazione. A distanza, ma fra cuori non c’è distanza, ringraziano anche papa Francesco e i giovani a Lisbona. Ricomincia la vita di ogni giorno, ma, almeno oggi, nell’aria c’è quella letizia che aiuta ad affrontarla con maggiore energia.

Ultima modifica: Sab 5 Ago 2023